Khin Myo Chit è una delle ultime vittime di appena sette anni della brutalità dei militari birmani, uccisa mentre correva verso le braccia del padre, in un ennesimo episodio di odio verso la popolazione civile.
Secondo l’associazione di assistenza per i prigionieri politici, AAPP, sono 261 le vittime accertate della repressione nelle strade del Myanmar, molte delle quali colpite con proiettili che portano il marchio di fabbrica italiano, come munizioni per fucili da caccia, e che non sarebbero mai dovute arrivare in Myanmar, perché la UE e l’Italia proibiscono la vendita di armi al Myanmar.
La sorella grande della piccola Khin Myo Chit racconta che la polizia conduceva delle perquisizioni nel loro quartiere a Mandalay quando sono entrati sfondando la porta della casa.
La piccola per lo spavento è corsa verso le braccia del padre per sedersi in grembo ma i militari hanno sparato colpendola. La bambina poi è morta nella corsa verso un ospedale.
La stessa sera le forze di sicurezza birmane sono tornate alla casa della bambina per reclamarne il corpo, ma la famiglia temendo ciò che era già accaduto ad altre famiglie si era già data alla macchia.
Sempre a Mandalay un altro ragazzino di 14 anni era stato ucciso giusto il giorno prima, sempre a casa, nel più completo spregio della vita umana.
Nel frattempo sono stati rilasciati 600 detenuti dalla prigione di Insein, giovani universitari, ed alcuni giornalisti tra i quali Thein Zaw.
Le proteste stanno assumendo una nuova forma di silenzio con tutti i negozi chiusi e con riunioni serali alla luce di candela.
Nel cuore delle proteste nel Myanmar
Quando la militante dei diritti delle minoranze Esther Ze Naw si preparava alla prima manifestazione contro il golpe quel 6 febbraio, era ben conscia del rischio che le forze di sicurezza avrebbero potuto aprire il fuoco, come avevano fatto in passato.
“Non c’è nessuno che non ha paura, ma allora temevano di più che nessuno si sarebbe presentato, che non sarebbero venuti in strada se accadeva qualcosa quel giorno” racconta.
Erano paure infondate. Dopo quella protesta che raccolse circa 5000 persone, Yangon ed altre città del Myanmar esposero con settimane di continue manifestazioni dove si domandava il ritorno alla democrazia e la fine del golpe del primo febbraio, nel giorno in cui si sarebbe insediato il nuovo parlamento eletto.
La maggioranza di loro sono sostenitori del partito NLD e di Aung San Suu Kyi leader detenuta. Eppure tanti di coloro che hanno acceso e mantenuto vive le proteste a Yangon non erano membri del NLD che vede la stragrande maggioranza dei propri leader in arresto.
La prima protesta fu guidata dai militanti dei diritti delle minoranze come Esther Ze Naw, dai sindacati, dai lavoratori delle confezioni, dai gruppi studenteschi che si erano scornati con il NLD durante il suo breve periodo al potere.
Mentre il mondo guardava alla guida politica agli arresti, alcuni di coloro che guidavano le proteste si sono fatti sentire per attirare l’attenzione alle tante richieste dei diritti civili in Myanmar.
Aung San Suu Kyi e il partito si sono attirati le critiche perché durante il loro governo non hanno portato avanti riforme significative particolarmente rispetto alle minoranze etniche tra cui i Rohingya musulmani. I sostenitori del NLD sostengono che la presenza dei militari limitava il partito perché la costituzione del 2008 metteva il partito in un accordo di condivisione di potere con le forze armate.
Ma dopo che i militari hanno violato la loro costituzione con il golpe, molti cittadini sono ora disposti a cambiamenti più radicali piuttosto che tornare alla situazione precedente al golpe.
Diritti delle minoranze
Esther Ze Naw, una giovane donna etnica Kachin, si è fatta conoscere quando ha protestato contro Aung San Suu Kyi per la sua difesa dei militari birmani dall’accusa di genocidio dei Rohingya al ICJ de L’Aia a novembre 2019.
Dice di essersi coinvolta nel 2011 quando terminò un cessate il fuoco tra i militari di Myanmar e il gruppo etnico armato KIA del Kachin ed operò nel Myanmar settentrionale sfidando da ragazzina le bombe e gli scontri per assistere la popolazione civile:
“Sin da allora lavoro da militante etnica ed umanitaria”
Dopo la vittoria elettorale del NLD nel 2015 alle prime elezioni democratiche, iniziò a pensare che era necessario un completo cambiamento che includesse l’abolizione della costituzione dei militari, con la quale è garantito loro il 25% dei seggi nel parlamento, e che istituisse un sistema federale per dare alle minoranze etniche più potere.
Sentiva che sia i militari che NLD erano di ostacolo a questi cambiamenti.
Lei dice che i politici del NLD “negano tutte le questioni delle aree etniche” facendo delle minoranze “cittadini di seconda classe nel nostro paese”.
Esther Ze Win dice che protesta insieme ai sostenitori del NLD finché si è d’accordo sulle stesse richieste fondamentali che i rappresentanti del partito sempre più appoggiano.
Il Comitato di Rappresentanza del Parlamento, CRPH, fatto in gran parte di parlamentari NLD eletti a novembre scorso, ha promesso di abolire la costituzione ed istituire una vera democrazia federale.
La stragrande vittoria del NLD è stato un risultato che i militari hanno rifiutato di riconoscere facendo accuse senza prove di brogli.
Ma il golpe è più da attribuire alle ambizioni politiche del Comandante in Capo Min Aung Hlaing che ha compreso che per lui non era possibile una vittoria democratica dopo questa seconda sconfitta elettorale umiliante.
Lavoratori ribelli
I lavoratori del pubblico e del privato hanno giocato un ruolo chiave nel movimento coltro il golpe, come i lavoratori del sindacato della confezione che sono stati alla testa di molte manifestazioni, mentre i lavoratori pubblici hanno menomato il governo birmano con i loro scioperi in massa.
Moe Sandar Myint, leader sindacale, è stata una figura importante nelle proteste del 6 febbraio insieme a migliaia di altre donne del settore delle confezioni. Lei si è sindacalizzata nel 2015 negli scioperi della sua fabbrica.
“Nel 2015 il governo fissò la paga minima ma la compagnia dove lavoravo non seguì questa legge. Non ci pagavano secondo la legge e dovemmo lottare per mesi” dice la donna che fu licenziata per questo scontro sindacale.
Dice di essere stata delusa da cosa NLD ha fatto sui diritti del lavoro. “Individuavano i capi sindacali per incriminarli e metterli in carcere. Non ci hanno dato libertà di fondare sindacati e permettevano ai datori di lavoro di opprimerci”
Kyaw Myo capo sindacale di All Burma Federation of Trade Unions ABFTU è uno che per il sostegno dato alle manifestazioni sindacali entrava ed usciva dal carcere durante il governo NLD. Fu condannato a sei mesi di carcere per lo sciopero a Naypyidaw del 2016, due mesi per aver protestato contro la repressione violenta di una manifestazione sindacale a Yangon ed altri 3 mesi per un’altra nel 2020.
“Non sostengo NLD né alcun partito sotto la costituzione del 2008”.
ABFTU organizzò manifestazioni silenziose subito dopo il golpe con i lavoratori che portavano fiocchi rossi il 3 febbraio prima di unirsi alle manifestazioni di massa di cinque giorni dopo.
La maggioranza donne
Moe Sandar Myint dice che i gruppi del lavoro erano nella posizione migliore per far partire le proteste dato che loro erano tra i pochi gruppi che non si sono mai fermati con NLD.
“I lavoratori lottano da sempre per la giustizia. La dittatura militare si basa su un sistema ingiusto e non abbiamo una forza potente per combattere ogni ingiustizia” dice ed aggiunge che i sindacato erano già molto più organizzati di altri gruppi civili.
Una femminista dice che i lavoratori “sono la sola forza politica con una base di massa” e sono in grado di un’organizzazione più veloce ed efficace. Nell’anonimato dice:
“La maggioranza dei lavoratori sono donne, giovani finanche di 16 anni, che arrivano da tutto il paese… il 6 febbraio chi è sceso in strada per lottare contro la giunta militare erano le giovani lavoratrici delle fabbriche”
“E’ triste” che nessuno da loro credito sufficiente, dice: “Nessuno riconosce che le operaie hanno catalizzato le proteste di massa a Yangon” a riflettere la mancanza di coscienza di classe in Myanmar, che lei crede deve esserci se si vuole “la vera emancipazione e non una democrazia addolcita”
Mentre il 6 febbraio non ci furono proteste violente, le proteste successive si sono fatte piene di sangue. Le forze di sicurezza hanno ucciso oltre 250 persone secondo un’associazione di ex prigionieri politici AAPP, Assistance Association for Political Prisoners.
Il massacro peggiore sinora lo si è avuto a Hlaing Tharya, un’area industriale con 850 industrie ed un’immensa popolazione operaia. Si crede siano morte oltre 50 persone il 14 marzo lì che ha spinto tantissime migliaia di persone a lasciare l’area.
Scioperi operai
Mentre le proteste sono calate di fronte all’ondata di violenze, molti credono da tempo che il vero percorso per la sconfitta della giunta non sia per le strade.
Lo sciopero nazionale degli impiegati del Movimento di Disobbedienza Civile fu lanciato dopo il golpe a Mandalay, la seconda città del Myanmar, da militanti legati al NLD.
Il movimento iniziò con i medici che si rifiutarono di lavorare per diffondersi a tutta la burocrazia del governo paralizzandolo.
Una dottoressa di Mandalay, anonimo e nascosto, dice che lei si unì al movimento il 3 febbraio.
“Quasi tutti i dottori si unirono al CDM, e poi dicemmo che tutto il personale del governo di tutti i settori unirsi si sarebbe dovuto unire al CDM. In pochi giorni quasi tutti i settori furono coinvolti”
Oltre ai lavoratori della sanità, insegnanti, ferrovieri, diplomatici e vari funzionari dei ministeri erano scesi in sciopero nel paese. Il movimento ha ricevuto una risposta sempre più dura dalle autorità rafforzando il credo che stesse funzionando.
La dottoressa di Mandalay ha detto che alcuni suoi colleghi in sciopero sono stati arrestati la notte.
“Non oso vivere a casa mia. Non dormiamo molto la notte. Vengono la notte e fanno arresti senza una ragione” dice.
La sua ragione principale per essersi unità alla resistenza era il desiderio di democrazia e l’amore per Aung San Suu Kyi, la consigliera di stato deposta nel golpe.
“Non amiamo il golpe militare. Cercano solo gli affari loro, non i nostri. Vogliamo democrazia e amiamo la nostra madre Aung San Suu Kyi, ha acceso la luce per Myanmar.”
Mentre i militari affermano di essere intervenuti per salvare la democrazia la cosa non convince la gente.
“Dicono sempre che lo fanno per la democrazia, ma dove e quando” domanda la dottoressa. “Non dicono mai la verità”
Andrew Nachemson NPR