La barca numero 7 dell’esodo di Rohingya in Bangladesh

La barca numero 7, la settima barca ad intraprendere il viaggio da novembre, fa parte di un esodo maggiore di Rohingya che fuggono alle condizioni perniciose in Bangladesh.

Lungo i 1200 chilometri della costa del Mare delle Andamane, continua a risuonare un racconto orribile mentre i rifugiati Rohingya si avviano ad un viaggio pericoloso nel cercare un rifugio lontano dal dolore e l’incertezza della loro patria e dai campi del Bangladesh.

barca numero 7 rohingya

L’ultimo capitolo della saga in corso ruota attorno alla Barca Numero 7 avvolta dall’angoscia e dall’incertezza.

A dicembre 2023 sono cresciute le paure tra le famiglie in ansia dei campi profughi del Bangladesh che temevano sempre più che la barca numero 7 sia sprofondata in mare.

La barca numero 7 che si chiama in questo modo perché era la settima barca ad intraprendere il viaggio da novembre fa parte di un esodo maggiore di Rohingya che fuggono alle condizioni perniciose in Bangladesh.

Le notizie indicano che da novembre 2023 sono 2330 i Rohingya finiti vittime delle reti di traffico umano nel tentativo di raggiungere la costa indonesiana.

Mentre sono 1731 i Rohingya che sono approdati nella provincia di Aceh, il destino di molti altri, tra cui coloro che erano sulla barca numero 7, resta incerto.

Il giornalista Rohingya Saiful Arakani è in prima linea nel raccontare la precaria odissea dei rifugiati Rohingya concentrando la sua ricerca sui viaggi recenti di 14 barche verso Indonesia e Malesia.

La storia della barca numero 7 resta comunque avvolta nell’apprensione e nel mistero. Benché non ci siano conferme sul suo destino, circolano dicerie nella comunità dei rifugiati e tra le loro famiglie che temono il peggio anche se sperano di ricevere notizie della loro sopravvivenza.

Dalle interviste di 20 famiglie che hanno perso i contatti con i loro cari quando la barca è scomparsa il 27 novembre scorso si ha un racconto di tradimento e disperazione. Quelle famiglie soverchiate dall’incertezza del destino dei loro parenti, hanno fatto conoscere il racconto degli eventi fino alla partenza della barca.

“La vita nei campi è stata una battaglia costante per la sicurezza. La disperazione ha spinto mio fratello a rischiare” dice Korim Ullah il quale racconta come Mohammed Nozim, trafficante che vive in Indonesia, visitò i campi profughi offrendo una falsa speranza per la gente.

“Lui disse di aver fatto il viaggio in Indonesia più volte e promise un passaggio sicuro per una cifra così piccola nella nostra situazione disperata per la possibile di una vita.”

Zahid, fratello di Korim, catturato dalle promesse di Nozim, pagò una somma ricca di 7 lakhs al padre di Nozim a Cox’s Bazar per i membri della sua famiglia. La famiglia fu poi spostata di nascosto da Katupalong alcuni giorni prima della prevista partenza del 21 novembre.

Con la voce tremante Ullah aggiunge: “Trovo difficile credere che mio fratello e la sua famiglia siano ancora vivi da qualche parte”.

Il racconto si fa ancora più fosco per le accuse che Nozim non fosse solo un facilitatore quanto un passeggero su una di queste barche. Ullah sentì voci secondo cui Nozim aveva favorito i propri familiari che trasferì su una barca con un motore funzionante quando le cose si fecero cattive.

“E’ come se giocassero con le nostre vite decidendo chi deve sopravvivere e chi no” dice Ullah con la voce disperata. Infatti le due barche numero 7 e 8 salparono insieme dall’isola di Saint Martin il 21 novembre 2023.

Mohammed Nozim e Mohammed Hossain che non erano solo soci ma anche con legami familiari sono stati identificati come i primi proprietari di queste due barche. Ogni famiglia che cercava il passaggio ha dovuto pagare 1 lahk della moneta del Bangladesh per testa, 830 euro circa.

Il 21 novembre il loro viaggio dall’isola di Saint Martin diretti in Indonesia.

Mentre la barca numero 8 ha raggiunto Aceh Pidie in Indonesia il 10 dicembre con 202 cercanti asilo, la barca numero 7 con oltre 200 individui è diventata la fonte di crescenti dubbi e preoccupazioni.

Le famiglie di chi era a bordo della barca numero sette ricordano i dettagli struggenti ascoltati nell’ultimo contatto con la barca. Le loro storie descrivono un quadro vivido della lotta per la sopravvivenza nella barca dopo che fu danneggiata l’elica del motore. Alla deriva e in balia dei capricci del mare, la barca numero 7 è stata temporaneamente legata a un’altra imbarcazione di Mohammed Amin e Mohammed Nozim, nel disperato tentativo di mantenere la rotta.

Questa soluzione salvavita temporanea non dovette durare molto. Nel giro di eventi che avrebbero esacerbato la difficile situazione, alcuni individui furono trasferiti dalla barca numero 7 alla barca numero 8 dopo lo spegnimento del motore. Questo offrì una speranza a pochi ma favorì la decisione successiva che avrebbe alterato il destino di chi rimase sulla barca numero 7.

Le famiglie, riportando i racconti ricevuti dai sopravvissuti arrivati sulla barca numero 7, hanno parlato di una decisione straziante presa dai trafficanti. Con una mossa che ancora oggi tormenta chi l’ha sentita, Mohammed Hamid, il barcaiolo, tagliò la corda che collegava le due imbarcazioni mandando la barca numero 7, ormai priva del suo traino di fortuna, alla deriva nel Mare delle Andamane.

I parenti in Bangladesh, che erano in contatto con i richiedenti asilo sulla barca numero 8 dopo il suo sbarco, hanno condiviso i terrificanti dettagli di questa decisione. Hanno descritto il palpabile senso di orrore e incredulità nell’apprendere che la barca numero 7 era stata abbandonata al suo destino.

Habez Ullah, che aveva quattro membri della famiglia divisi tra le due imbarcazioni, ha raccontato una storia particolarmente straziante. Secondo i sopravvissuti della barca numero 8, il barcaiolo Hamid ha deciso di tagliare la corda che collegava le imbarcazioni.

“Dopo aver tagliato la corda e quando la nostra barca non era più in vista, hanno sentito un rumore”, ha raccontato Ullah, con la voce pesante di dolore e rabbia. “Se Hamid fosse stato davanti a me, l’avrei ucciso. Gli avevo affidato la mia famiglia”. La perdita è stata personale e profonda, anche per la figlia di 14 anni di Ullah.

Le registrazioni delle telefonate tra Mohammed Nozim e Mohammed Hossain, condivise con Saiful Arakani, offrono una visione agghiacciante delle loro discussioni mentre il motore si guastava nel Mare delle Andamane. Queste telefonate sono diventate fondamentali per risalire agli ultimi momenti conosciuti della barca numero 7.

Saiful Arakani ha espresso un profondo shock per ciò che stava sentendo dalle famiglie. Ha detto: “La notizia che una barca piena di persone indifese sia stata deliberatamente abbandonata è assolutamente scioccante”.

Arakani ha raccontato un episodio significativo che ha coinvolto Nozim: “Nozim mi ha chiamato per contestare un articolo che avevo pubblicato sul taglio della corda”, ha detto Arakani. “Ha insistito sul fatto che è stato il vento a separare le barche, non un’azione deliberata. Ma questa versione è contraddetta da quanto mi hanno detto le famiglie. Sono convinti che la corda sia stata tagliata intenzionalmente”.

In un ulteriore sviluppo, lo scafista Hamid, implicato nelle operazioni di traffico, è apparso sfacciatamente in un servizio televisivo indonesiano. Con i sopravvissuti della barca numero 8, Hamid ha parlato in indonesiano, mascherandosi da rifugiato. Questo audace atto di inganno da parte di Hamid, che in realtà è un trafficante, è stato trasmesso dalla televisione nazionale.

Uno sguardo più profondo alla rete di traffico umano dietro questi viaggi rivela una rete complessa familiare di operazioni orchestrata dagli stessi Rohingya a livello di base.

Al centro di questa rete ci sono Mohammed Nozim che è coinvolto nella rete di traffico umano dal 2012 e Hamid, lo scafista sin dal 2000.

È interessante notare che queste figure chiave non sono solo partner nel crimine, ma anche legate da vincoli di sangue e matrimonio. Le operazioni, gestite con agghiacciante efficienza dall’Indonesia, sono diventate un incubo ricorrente per la comunità Rohingya.

Questo disegno non è tipico solo della Barca Numero 7 ma sono emerse storie simili da altre barche che hanno lasciato la costa del Bangladesh negli ultimi due mesi.

Mentre i responsabili a livello locale sono spesso gli stessi Rohingya, intrappolati in un circolo vizioso di sfruttamento, la portata della crisi è sostenuta da una vasta rete di mafia internazionale e autorità complici.

Le indagini mostrano che i sindacati del traffico che operano tra le frontiere sono legati in modo intricato con certi elementi della polizia locale e delle autorità del governo che chiudono un occhio oppure partecipano attivamente alla tratta schiavistica.

Nelle ultime settimane, le famiglie del Bangladesh hanno informato Arakani che individui come Nozim e Hamid sarebbero riusciti ad estrarre i rifugiati dai campi indonesiani, un processo presumibilmente facilitato dal coinvolgimento e dall’approvazione delle forze dell’ordine locali.

La barca numero 7, con il suo destino sconosciuto, è diventata un promemoria dei pericoli ignoti e invisibili che i rifugiati affrontano nella loro ricerca di sicurezza. Il suo destino incerto rispecchia le lotte silenziose di molti di coloro che intraprendono questi viaggi, le cui storie e difficoltà spesso passano inosservate o vengono dimenticate nella più ampia narrazione della crisi dei rifugiati.

Shafiur Rahman, DhakaTribune

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