La promessa del presidente filippino Duterte di combattere la peggiore delle battaglie contro la corruzione dell’Asia ha vissuto un anno difficile.
Le Filippine hanno perso 14 posizioni in un anno nell’indice di percezione della corruzione di Trasparency International che è stato pubblicato la scorsa settimana. Il paese in cui Duterte nel 2016 fu eletto per fare pulizia ora si trova al 113° posto insieme a Kazakhstan e Zambia. Durante tutta la presidenza di Duterte le Filippine hanno perso 18 posizioni.
E le cattive notizie non si fermano qui. La crescita del PIL nel 2019 è stata la più lenta di otto anni. Mentre USA e Giappone possono solo sognarsela una crescita del 5.9% significa che Duterte ha mancato due principali obiettivi da raggiungere per cui gli elettori lo elessero.
Le Filippine hanno di fronte un tempestoso 2020 mentre la guerra commerciale si scontra con il raffreddamento della crescita interna.
Prima che Benigno Aquino entrasse nel palazzo presidenziale nel 2010, Transparency International poneva il paese allo stesso livello di Pakistan e Bangladesh al 139° posto, cosa che spiega la sua attenzione al buon governo finché non lasciò la presidenza nel 2016.
Mettendo online più servizi governativi e controllando i ministeri permisero grossi dividenti. Dare la caccia agli evasori rafforzò il bilancio statale conquistando il primo rating di grado di investimento.
Gli elettori si rivolsero a Duterte per accelerare il processo di riforma. I suoi quasi trentanni di pugno di ferro a Davao gli guadagnarono lo stato di eroe popolare. Durante il suo periodo di sindaco, la metropoli meridionale è cresciuta più velocemente della media nazionale, ha sviluppato migliori infrastrutture godendo di un tasso più basso di criminalità.
Le speranze che Duterte avrebbe applicato quel successo a livello nazionale sono scemate. Più populista che tecnocrate, Duterte ha stabilmente cambiato percorso. Prima verso una sanguinosa guerra alla droga che gli ha portato le accuse di Amnesty International, poi con le stravaganze infrastrutturali da 180 miliardi di dollari che accelera progetti giganteschi.
Gli economisti erano preoccupati che la fretta potesse vedere un ritorno ad un debito gigantesco come prima del governo Aquino. Molti erano anche preoccupati che si stessero sacrificando controlli e standard ambientali in nome della velocità. Lo scivolamento di Manila nelle tavole della corruzione dà peso a queste ultime preoccupazioni.
Molti temono che Duterte stia rafforzando soltanto una nuova elite degli affari, una sua propria oligarchia chiamata Dutertearchia e peggiorando l’estrema concentrazione di ricchezza e potere nelle mani di poche famiglie.
Una controversia di corruzione che domina i giornali riguarda un ex capo della polizia che guidò la guerra alla droga. Oscar Albayalde è accusato di corruzione e presumibilmente di aver dato copertura ai poliziotti del riciclaggio della droga, accuse da lui negate. Lo scandalo ha lasciato il presidente con qualche domanda seria a cui rispondere. Come anche le preoccupazioni che l’opacità di alcuni progetti infrastrutturali dà vita a contratti sospetti.
Le Filippine non sono sole, naturalmente. Sebbene Cina e Malesia abbiano fatto dei progressi lo scorso anno, sono cadute anche Australia, India e Giappone e tanti altri sono andati peggio.
“La regione dell’Asia Pacifico non ha visto progressi sostanziali negli sforzi o nei risultati contro la corruzione” ha concluso Transparency International.
Né questi dati sono il vangelo, come ha spiegato Oliver Bullough dopo la pubblicazione del rapporto.
“Se si pubblica un rapporto in cui i paesi meno corrotti fanno cose estremamente corrotte, l’indice è almeno privo di senso.”
Idea giusta se si considera il capitalismo degli Amici che Trump ha portato a Washington. Gli USA non è stato il solo a scivolare tra i paesi del G7 e bisogna aggiungere UK, Francia e Canada.
Il problema è che la corruzione inibisce la crescita e le Filippine non possono permetterselo.
E’ vero che la crescita filippina non appare così cattiva in una regione in cui si intensificano i venti contrari della guerra commerciale USA Cina, il rallentamento dell’India e così via. Eppure a far sorgere preoccupazioni sono da dove nasce quella crescita ed il modo in cui si genera. Una spinta sono i tre tagli ai tassi di interesse nel 2019 e l’altra è la gigantesca spinta infrastrutturale di Duterte.
Entrambe sono misure di breve respiro che tornano utili in un momento in cui l’incertezza della guerra commerciale minaccia la domanda. Se il gruppo economico di Duterte non lavora a ristrutturare la tanto trascurata economia e ad aumentare l’efficienza dei settori, c’è poco di rinforzante nella crescita di oggi. Né c’è da sperare che arriverà a chi ne ha più bisogno.
Il salto del 34% nella costruzione dei lavori pubblici nel quarto trimestre ha fatto meraviglie per mantenere la crescita annuale vicino al 6%, ma tale scoppio di spesa non la si può tenere nei prossimi quadrimestri. Ancora più importante è che più peggiora la corruzione di Manila meno crescita sarà condivisa largamente.
Un’altra ragione per dimenticare il 2019 è il numero di famiglie che si considerano povere è cresciuto al massimo di cinque anni a 13,1 milioni di persone. Questo dato di Social Weather Stations la dice tutta sull’importanza di eliminare la corruzione. Una cultura di impresa labirintica dove brulicano intermediari alla ricerca della rendita distrugge i frutti di un rapido PIL.
Gli uomini forti come Duterte spesso giungono al potere dicendo che solo loro hanno la forza e la volontà di risolvere le grandi cose. E’ proprio il tempo che eserciti il potere dove è più necessario: portare il paese tra le file delle economie più innovative e fidate.
William Pesek NAR