Nonostante la Thailandia fosse stato il primo paese al di fuori della Cina a registrare un caso di COVID-19 e che da allora fosse riuscita a gestire la pandemia in modo efficace con meno di 3300 casi e appena 58 morti, il governo si sarebbe dovuto trovare in una posizione più salda, eppure sembra essere in crisi.
Il governo è afflitto da proteste pubbliche contro il regime per la democrazia che non hanno precedenti, da una crisi economica in arrivo e le dimissioni di almeno sei membri del governo.
La forzata carcerazione di un uomo in un ospedale psichiatrico per aver indossato una maglietta da un messaggio chiaro sulla monarchia, nel momento in cui il Re combatte la pandemia in un lussuoso hotel sulle Alpi tedesche sottolinea la insicurezza del regime thailandese.
Sebbene non esista trasmissione di comunità da due mesi, è stato esteso il decreto di emergenza per una quarta volta a segnalare la insicurezza del regime thailandese. Un disperato rimpasto di governo ancora da definire non riesce a calmare le preoccupazioni pubbliche, e persino quando è stato annunciato, è improbabile che affronterà i problemi economici e politici pressanti del paese.
Perché si ha l’impressione che il governo thailandese si stia arenando?
Cominciamo dalle cose fondamentali. Il governo del premier Prayuth ha poca legittimazione. Dopo il golpe, una costituzione scritta dai militari costruita per indebolire i partiti politici, un senato di prescelti, la manipolazione delle circoscrizioni elettorali, la cattiva divisione dei seggi, lo scioglimento di vari partiti di opposizione, l’arresto e l’assalto legale sui politici di opposizione ed un sistema manipolato di legge elettorale: è facile dire che le elezioni di Marzo 2019 sono state rubate. I militari ed il governo sostenuto dagli ultramonarchici non sarebbe al potere senza un manipolazione del sistema a loro favore e senza aver tolto i diritti degli elettori.
La cattiva gestione iniziale del governo della pandemia ne ha minato la fiducia. La Thailandia ha sottomesso la pandemia a dispetto e non per merito del governo, che la dice lunga su quanto in salute sia il sistema sanitario thailandese e il sistema pubblico.
I lavoratori della salute pubblici e i volontari si meritano tutto l’enorme credito.
E mentre il governo ha adottato alcune politiche buone per affrontare la crisi sanitaria, ha fallito sulla risposta economica alla crisi. La pandemia ha davvero messo in luce le enormi disparità sociali. La chiusura dell’economia basata sull’esportazione ed il turismo, che valgono il 70% del PIL, ha causato grande sofferenza. I rappresentanti del governo hanno solo riconosciuto che le esportazioni di riso ed altri prodotti alimentari declinerà fortemente nella seconda metà dell’anno. Ci si attende che l’economia si contragga del 8% questo anno, uno delle contrazioni peggiori di tutto il Sudestasiatico.
Non è però la semplice crisi economica, ma anche il fatto che le sofferenze non sono state distribuite in modo equo.
Secondo i dati della Banca Mondiale. La Thailandia è una delle società più diseguali al mondo e la sua diseguaglianza è balzata in alto sin dal golpe del 2006 quando erano militari e loro amici a gestire per lo più questo periodo di tempo.
Sono rivelatori sia il numero di suicidi che di altre espressioni pubbliche di rabbia contro la gestione governativa della decrescita economica. Eppure non ci si dovrebbe sorprendere che generali corrotti che eseguono gli ordini delle elite ultramonarchiche siano lontane dal contatto con la gente.
Sebbene a giugno il senato nominato dalla giunta militare abbia approvato un pacchetto di stimolo economico del valore di 58 miliardi di US$, l’economia del valore di 505 miliardi di dollari continua a contrarsi ad attestare la preoccupazione che la maggioranza di quel fondo di aiuto andò alle elite politicamente legate e alle grandi corporazioni, e non al vasto settore di mercato informale grigio dove lavora una grande porzione della forza lavoro. E così si giustifica lo scetticismo sulla promessa del governo di responsabilità e controllo.
Le recenti dimissioni dei maggiori ministri economici dicono che il governo non vuole guidare una risposta economica ad ampia base, e che alcuni nel governo e nel gruppo economico sanno quali politiche si devono perseguire, ma sanno anche che sono contrarie agli interessi del primo ministro e delle elite.
Più politiche populiste che vadano a favore delle persone più colpite potrebbe essere percepito come un’ammissione che le nemesi del regime, i primi ministri Thaksin e Yingluck Shinawatra, avevano ragione.
Persino prima della pandemia, c’erano pressioni su Prayuth per fare un rimpasto di governo a causa dei cattivi risultati del governo. Prayuth ha passato quasi due settimane a lavorare sul rimpasto e finora non è riuscito a finalizzare il cambio.
Per formare un governo, il partito dei militari Palang Pracharat dovette formare una coalizione vasta e scomoda. I suoi amici di coalizione non sono disposti a lasciare i ministeri, ed ogni rimpasto deve accomodare i loro interessi. Una defezione di un pugno di parlamentari potrebbe abbattere il governo. Infatti nonostante le pressioni all’inizio della pandemia di cacciare il ministro della sanità che aveva ostacolato la risposta iniziale, Prayut fu messo alle strette: il ministro in dubbio guidava il partito di opposizione maggiore della coalizione.
Il tentativo del governo di minimizzare la vastità e lo scopo delle proteste democratiche recenti dice moltissimo del loro nervosismo. Le proteste guidate dagli studenti non spariranno nonostante il rinnovo del decreto di emergenza che vieta raduni di massa. Ed i raduni democratici si spostano ora nei paesi più piccoli nel paese. La gioventù votò in massa alle elezioni di marzo 2019 per l’opposizione, specie il Future Forward Party e si tocca il loro scontento per essere stati derubati della loro rappresentanza e stiamo assistendo ad un importante scisma generazionale.
Mentre il parlamento ha accettato di istituire un gruppo per ascoltare le richieste degli studenti, il governo non cederà alle loro richieste, ma proverà a reprimere le dimostrazioni per fare da deterrente per gli altri: E’ il loro semplice modus operandi.
Ma mentre l’economia continua ad arrancare e i tassi di disoccupazione continuano a salire, il regime potrebbe vedere una espansione della base di massa delle proteste.
Prayuth ama definirsi come un capo deciso ed un uomo di azione. Ma oggi è ostaggio degli interessi della elite del paese. La cosa migliore che possa fare è un rimpasto di governo. Ma visto che gli attori sono dello stesso tipo, provenienti da partiti di coalizione in competizione, al lavoro in un regime pochissimo legittimato, è difficile vedere che riuscirà ad essere differente o che condurrà a politiche più vaste che ravviveranno l’economia.
Zachary Abuza, Benarnews
Thailandia nel COVID-19 tra profeti di sciagure e terribili certezze
Nel 2011 la Thailandia fu prima minacciata e poi sommersa dal più grande diluvio di vari decenni se non di sempre.
I profeti di sciagura dissero che tantissimi sarebbero morti per l’estesa infezione batterica da leptospirosi, che l’acqua di rubinetto sarebbe stata imbevibile e che le interruzioni di energia elettrica avrebbero messo in ginocchio i servizi essenziali.
Eppure non vi fu leptospirosi. Gli esperti europei rimasero con l’acqua fino alle cosce negli allagamenti di Bangkok, aprirono i rubinetti per tutta la città scoprendo che l’acqua era potabile. Anche le luci rimasero accese. Solo 80 delle oltre 800 vittime degli allagamenti rimasero folgorati.
Queste previsioni fallite non si sono perse, e forse hanno spinto i responsabili della sanità pubblica e le autorità dell’acqua e dell’elettricità a fare dei passi per evitare il disastro.
Forse la stessa cosa la si può dire del COVID-19. Forse le previsioni di gennaio per cui la pandemia a Wuhan avrebbe fatto presto visita in Thailandia spinse i sanitari ad essere più attenti. Le previsioni spinsero di certo la maggioranza degli abitanti di Bangkok a mettere la mascherina.
Fino al 11 di maggio la Thailandia aveva 3009 casi, l’incidenza minore del COVID-19 di tutti i cinque paesi fondanti del ASEAN, Malesia (6,656), Filippine (10,794), Indonesia (14,032) e Singapore (23,336).
Questa bassa incidenza deve tanto alla preparazione alla pandemia. Nella valutazione dell’ottobre 2019 dell’università John Hopkins di 195 paesi, la Thailandia era al sesto posto nel mondo e primo nella regione, un risultato davvero enorme.
Il successo thailandese nella risposta al COVID19 forse ha altre spiegazioni. I thailandesi non si stringono la mano né si baciano. Il saluto particolare dei thailandesi, wai fatto tenendo le mani giunte con un leggero inchino del capo, è un esempio antico di distanziamento sociale.
La maggioranza dei thai si lavano e si fanno il bagno spesso. A differenza dei loro vicini pochissimi thai sputano per terra. Bangkok è caotica ed inquinata ma le persone solo pulite e curate.
Inoltre, sebbene gli epidemiologi ancora non sappiano la ragione, il numero dei casi nella regione del Mekong sembra basso. Forse i pochi casi riflettono il basso numero di contagi, ma forse lo sfiancante clima del Mekong è un fattore. Gli scienziati non lo sanno ancora.
Ma questi aspetti positivi hanno ancora dei risvolti nebulosi del coronavirus. Quanto fatto dal primo ministro e dai ministri, compreso quello della sanità è stato spesso confuso.
Non vietarono l’ingresso ai visitatori cinesi, che potettero ancora entrare senza visto finché fortunatamente fu la Cina stessa a vietar loro di viaggiare. In modo assurdo chiedevano ai thai di ritorno dall’estero che trovassero un dottore che certificasse l’assenza del virus in loro. Poi in modo altalenante iniziarono a mettere in quarantena per i Thai che arrivavano.
Girarono anche la faccia quando i generali dell’esercito sponsorizzarono gli incontri di Muay Thai che divennero i super diffusori del virus. Cincischiarono con l’idea di tagliare le finanze alla assistenza universale sanitaria thailandese spostando però i grandi acquisti di equipaggiamenti militari solo dopo le proteste generali. Messaggi contrastanti sulla disponibilità di mascherine portarono al panico e poi un personaggio di un ministero fu preso ad esportare mascherine in Cina.
E risposero in modo accondiscendente ai thai che si lamentavano della difficoltà di rientrare tra chi poteva ricevere l’aiuto mensile da 154 US$ parte del pacchetto economico del governo. Ad un certo punto il premier generale Prayuth disse che l’aiuto sarebbe stato disponibile solo per un mese per poi ritrattare.
La stessa confusione di politiche, di messaggi contrastanti e di condotte compiacenti furono evidenti tra i ministri negli allagamenti del 2011. Eppure, allora come oggi, la burocrazia professionale del governo lavorò in modo diligente per rendere il disastro meno disastroso e, a livello locale, i thai risposero con un imperturbabile pragmatismo orientato alla comunità.
I thailandesi superarono l’alluvione e probabilmente supereranno il COVID-19 nonostante i propri capi politici e non a causa loro.
Ma una volta che le vicissitudini immediate del virus saranno finite, i thailandesi non possono attendersi che i sanitari competenti e le comunità locali pragmatiche superino la vera sfida del paese: risuscitare, poi rinvigorire la seconda economia della regione, dove è essenziale una guida politica di rara qualità.
La sfida della guida politica è maggiore in Thailandia perché il virus ha bloccato un’economia che già arrancava.
Prima che il virus saltasse dai pipistrelli all’uomo l’economia thai cresceva di solo il 2,4%. La si compari alla crescita di altri paesi fondanti del ASEAN: Indonesia 5.0%, Filippine 5.9%; Malesia 4.3 % e Singapore 0.7%.
Il paragone con gli altri membri del ASEAN è persino più duro: Cambogia 7.1% Laos 5.0% Vietnam 7.0% e Brunei 3.9%.
In breve l’industria thai che conta il 35% del PIL soffriva già della minore domanda globale, maggiori costi locali e moneta forte. Il vecchio settore agricolo che fa il 10% del PIL ma il 30% della forza lavoro, fu colpito dalla siccità e dal prezzo basso delle merci. Un ultimo rapporto della banca mondiale mostrava che tra il 2015 ed il 2018, sotto la guida di Prayuth e ben prima del virus, il numero dei thailandesi che vivevano in povertà era cresciuto di 1,85 milioni di persone.
Il punto favorevole era il turismo che è cresciuto ad oltre il 18% del PIL ed oltre il 20% della forza lavoro che ha portato 40 milioni di arrivi, dei quali 11 milioni dalla Cina, contro i 14 milioni di arrivi del 2009 e 800 mila cinesi.
La Banca di Thailandia si attende che l’economia si contrarrà del 5,3% nel 2020, ben giù dal suo 2,8% del dicembre 2019. Le stime del FMI per il 2020 sono anche peggiori con -5,7%. La vitale industria turistica è stata attaccata pesantemente. A marzo 2020 gli arrivi totali sono caduti del 76% mentre il 94% degli arrivi dalla Cina.
In una economia globale depressa, una già sofferente Thailandia, che dipende fortemente dal commercio estero, dagli investimenti e turismo, chiamerà a gran voce nuove visioni e nuove strategie.
Basandosi su quanto fatto dal momento in cui fu cacciato il governo eletto nel 2014, sarebbe follei le previsioni per cui il regime guidato da Prayuth possa trovare improvvisamente l’immaginazione, il coraggio e l’empatia necessaria per ristrutturare l’economia e vincere la fiducia di un popolo scoraggiato e scettico.
Quando saranno allentate le misure di distanziamento sociale, gli studenti riprenderanno le proteste democratiche e crescerà il rancore degli attacchi dei media sociali contro il regime. Inoltre il governo di Prayuth avrà deluso e si sarà alienato tanti di quel 40% di Thai che sostennero i partiti vicino ai militari nelle elezioni libere ma non eque dello scorso anno.
L’istinto di Prayuth sarà di silenziare chi dissente non di ascoltarli. La costituzione scritta dai militari del 2017 non offre né valvole di sicurezza né meccanismi di soluzione delle dispute per abbassare la temperatura politica.
A livello internazionale la Thailandia resterà diffidente sia degli USA che della Cina.
Nella misura in cui la pandemia del COVID-19 accelererà le tendenze attuali nelle relazioni estere, si rafforzeranno le relazioni con la Cina che è già il maggior partner commerciale della Thailandia e la fonte crescente di investimenti e di armi.
Gli USA formalmente resteranno un alleato, ma sin dalla crisi asiatica del 1997 i politici thai si domandando della affidabilità dell’amicizia americana. Ed in un paese che ha paura della democrazia la democrazia di stile americano non era un modello di attrazione. La presidenza Trump l’ha resa anche meno attraente ben prima del COVID-19.
James Wise ex ambasciatore australiano in Thailandia, ASIALINK