Chiedono invece il governo di persone “morali” selezionati senza un’elezione popolare.
Rappresentano una minaccia alla democrazia della Thailandia che resta fragile dopo un decennio di agitazioni.
Le proteste, iniziate a fine novembre, sono soltanto una battaglia nella lotta politica protratta dalle manifestazioni violente del 2006 che terminarono con un golpe militare. Come nel 2006, la maggioranza dei manifestanti fanno parte della elite ricca e istruita di Bangkok e sostenitori del partito democratico, l’opposizione principale nel sistema parlamentare della Thailandia.
Agli inizi di dicembre i manifestanti occuparono gli uffici del governo e il quartier generale della polizia per alcuni giorni sperando che il caos avrebbe condotto ad una repressione violenta che avrebbe costretto i militari o il re ad intervenire per ristabilire il govrno da parte di persone scelte “non corrotte”. Ma il governo ha evitato il confronto e ha permesso ai manifestanti di occupare gli uffici di stato. Quando l’otto dicembre il conflitto sembrava inevitabile, il primo ministro Yingluck ha sciolto il parlamento ed ha indetto nuove elezioni all’inizio del nuovo anno.
Le elite del paese e l’opposizione affermano che la vittoria elettorale del 2011 del primo ministro fu fraudolenta e che il suo governo è corrotto. Queste sono accuse privi di basi. Per prima cosa Yingluck vinse le elezioni del 2011 contro il aprtito democratico con lo sguardo vigile di una Commissione elettorale nominata dai militari che avevano abbattuto, nel 2006, il governo del fratello Thaksin. Seconda cosa, persino secondo il rapporto della commissione, i democratici superarono massicciamente in quanto a spese il partito Puea Thai di Yingluck durante la campagna elettorale. I militari usarono le accuse di corruzione e di compravendita dei voti per abbattere il governo eletto nel 2006.
Le attuali proteste rappresentano le stesse forze antidemocratiche. Sette anni dopo che il regime uscito dal golpe ha promulgato l’attuale costituzione che limita il potere dei rappresentanti eletti e che ha istituito meccanismi per tenere il governo sotto controllo da parte di un gruppo non eletto di individui “virtuosi”, che i manifestanti di oggi definiscono il Consiglio del Popolo, la democrazia del paese è andata soltanto indietro. Come nel 2006 gli attuali manifestanti, molti dei quli rappresentano gli stessi gruppi e gli stessi interessi, propongono un governo da parte di un consiglio di 200 persone che rappresentano vari gruppi dentro le proteste ed altri cento cittadini “buoni e virtuosi” nominati dai capi della protesta.
Il partito Puea Thai, che è diretto e finanziato da Thaksin, ha vinto tutte le elezioni dal 2001 fino ad oggi per trovarsi di fronte le leite che provano ad abbatterlo. Nel mezzo dell’acuta polarizzazione politica appare anche più grande all’orizzonte una crisi della democrazia thailandese. Come mostrato dai ricorrenti confronti anche violenti, lo scenario di una guerra civile non è affatto impensabile. La acuta polarizzazione che portò alla crisi politica attuale a Bangkok iniziò nel 2005, quando le elite realiste ed il partito democratico lanciarono uno sforzo per cambiare il sistema parlamentare. Ci sono stati vari scontri violenti da allora compreso le occasionali grandi proteste dal 2006 al 2010, quando un centinaio di persone furono uccise durante le proteste contro il governo appoggiato dai militari del partito democratico. Ora il ruolo delle due parti sembra invertito.
Il partito erratamente denominato democratico, il più vecchio del paese, è sempre stato la macchina politica delle elite realiste. La sua agenda principale è di restaurare il potere dei monarchici. Negli anni 60 e 70, si opposero al governo militare per creare un’opportunità possibile politica per il ritorno al potere dei monarchici. Dagli anni 80 hanno perso le elezioni nazionali addossando la propria sconfitta al sistema corrotto della democrazia elettorale e ai politici dell’opposizione. Nel 2006 sostennero ul golpe militare sostenuto dai realisti che rovesciò Thaksin. Nel 2009 giunsero al potere attraverso un accordo segreto tra il palazzo reale ed i militari.
Indipendentemente da come finirà la battaglia attuale sono probabili ulteriore proteste. Da un lato l’attuale sistema politico in piedi sin dagli anni 80 è una democrazia parlamentare limitata sotto il dominio di una elite realista. Il governo è eletto ma il suo comando è limitato e controllato dall’influenza informale e gli interventi del palazzo e dalle elite realiste. Ufficialmente la monarchia non ha potere politico o funzione governativa. In realtà comunque detiene un potere ed un’influenza enormi sulla politica thailandese. Per esempio le nomine annuali dei capi militari devono essere approvate dal palazzo, come pure le nomine nelle posizioni chiave della burocrazia necessitano di essere approvati dal palazzo.
Re Bhumibol, il monarca regnante più longevo al mondo, è stato il cardine per questa democrazia realista. Sin dalla fine dela monarchia assoluta nel 1932, i realisti hanno provato a tornare al dominio assoluto nella politica. La loro opportunità reale si ebbe negli anni 60 sotto la dittatura del generale Sarit Thanarat e con gli aiuti americani in funzione anticomunista durante gli anni della guerra fredda. Il declino dei militari sin dalla rivolta popolare del 1973 ha aperto la strada al ritorno dei monarchici nella sfera del dominio politico. La popolarità di Thaksin, comunque, ha posto serie minacce al potere realista. Incapaci ad abbattere da soli il governo Thaksin, i realisti hanno armeggiato con i militari affinché intervenissero.
Sin dal golpe del 2006 che hanno visto il ritorno dei militari nella sfera politica, le elite realiste sono rimaste una forza dominante nel sistema politico thailandese in gran parte grazie al ruolo carismatico di Re Bhumipol, il quale mantiene il proprio potere grazie al cosiddetto iperrealismo, una cultura politica ad hoc radicata nella promozione ed esaltazione del re e dell’ideologia realista, con una legge di lesa maestà draconiana che criminalizza le offese contro il monarca rafforzando così l’istituzione contro ogni minaccia esterna.
Mentre la democrazia elettorale è un’aspirazione per i thailandesi in generale, l’elite realista disprezza i politici eletti e preferiscono una democrazia sorvegliata dalla guida di persone scelte. Il cuore dell’elite realista, tra le quali alcune facce pubbliche della protesta, proclamano senza il minimo pudore che sono più ricchi ed istruiti, ed a loro è dovuto più potere rispetto ai poveri che pagano meno tasse e spesso sono meno istruiti.
Noostante il ruolo cerimoniale ufficialmente attribuito alla monarchia, il re è stato politicamente attivo sebbene mai formalmente, attraverso i monarchici che agiscono a nome del palazzo. Le elite credono che la gente thailandese non sia adatta alla democrazia, che il governo della maggioranza porterebbe la decadenza e la morte della civiltà thailandese e che il governo ha bisogno della guida di persone morali.
Ad opporsi ci sono sempre più movimenti sociali che vogliono la democrazia elettorale e più democratizzazione.
La Thailandia è cambiata profondamente negli ultimi trentanni, trasformata radicalmente dal boom economico degli anni 80 e specie nella realtà delle campagne. Le famiglie contadine sono diventate semiurbane, con uno stile di vita e guadagni che derivano dal commercio legato alla città e al settore dei servizi. La produzione agricola è fortemente legata al mercato internazionale, incrementato da una finanza migliorata e dalle opportunità di mercato. La gente nelle province ha migliorato la propria istruzione e ed è capace di competere nel mercato moderno. Un gran numero di emigranti delle campagne si è spostato nelle aree urbane come Bangkok ed è diventata parte della classe media inferiore.
Insieme a questa trasformazione economica è stata una democrazia elettorale più stabile che serve a questo gruppo demografico in maniera più efficiente di una burocrazia monarchica inefficiente e centralizzata. Thaksin che ha guidato il paese dal 2001 al 2006 ha trasformato la trasformazione agraria in una fortuna politica fornendo opportunità economiche che non hanno precedenti come i progetti di sviluppo e finanziamenti per la nuova popolazione ormai quasi rurale. Thaksin ha introdotto un sistema di welfare come un’assistenza sanitaria a basso costo universale.
L’elite realista ha percepito questo come uno stile di politica populista legato alla compravendita dei voti. La trasformazione della popolazione rurale tirata fuori dalla povertà e dall’analfabetismo non solo è stato un passo avanti per il paese ma ha aperto la strada alla popolarità di Thaksin stesso.
Thaksin ed il suo partito divennero così di successo da diventare anche una minaccia all’elite realista su due livelli. Primo il suo governo rafforzò la democratizzazione nel paese. Poi la popolarità di Thaksin, il suo potere e la sua ricchezza lo trasformarono in un fattore indipendente dal circolo tradizionale dei militari e e dei circoli aristocratici che decideranno il futuro del trono.
Il fatto che potrebbe rendere far esplodere questo conflitto è l’incertezza sulla successione reale a Bhumipol la cui fragilità è tale da rendere possibile la fine del suo regno in qualunque momento.
Il figlio sessantenne di Bhumipol, Principe Vajiralongkorn, è l’erede al trono. Se prenderà le redini del monarca dipende da come va a finire l’attuale lotta al potere; la decisione finale del re anziano, tra dicerie che asseriscono che il successore potrebbe essere un altro membro della famiglia, come la figlia o il figlio del principe stesso; e sulla capacità del principe ereditario di portare avanti i doveri reali del palazzo.
Infine mentre molti osservatori esterni danno credito alla monarchia per la stabilità del paese, è diventata ora una forza destabilizzante ed un impedimento alla democratizzazione.
I cambiamenti socioeconomici forti che hanno lanciato il paese verso la democrazia elettorale non cambieranno probabilmente il proprio corso. Ma le forze realiste continuano ad ignorare e a resistere al cambiamento. Mentre si avvicinano le prossime elezioni del 2014 l’incertezza sulla successione rende le tensioni strutturali ancora più esplosive.
Thongchai Winichakul, Università del Wisconsin a Madison. Aljazzera