La delusione regolare dei colloqui di pace dove Aung San Suu Kyi non accoglie le richieste di autonomia delle etnie e quella di non segnare una reale distanza dai militari tra le ragioni di un golpe?
Il Golpe Birmano è una svolta triste e pesante per un paese che ha un’esperienza lunga ed infelice del governo militare.
E’ da notare che non si tratta di una crisi istituzionale, ma testimoniamo uno scontro tra frazioni della corte alla ricerca del trono.
In tali lotte di potere, il benessere del paese e del popolo in genere non interessa.
L’attitudine dei militari in questo caso è ben noto, ma c’erano attese ben maggiori dal partito sloggiato dal potere, NLD o Lega Nazionale per la democrazia, e la sua leader Aung San Suu Kyi.
C’è una misteriosa continuità tra il periodo di governo del NLD da quando fu eletto nel 2015 e il periodo precedente alla guida del partito sostenuto dai militari, l’USDP, partito dell’Unione Solidarietà e Sviluppo.
NLD ha affermato che i militari continuavano ad avere una forte influenza e le loro mani erano legate. Ma questo è vero solo fino ad un certo punto, ma c’era molto che NLD avrebbe potuto fare ma che non ha fatto.
La farsa della conferenza di pace
Entrambe le parti furono tiepide verso le proposte di uno stato federale che i gruppi etnici considerano come la soluzione alla decennale guerra civile basata sulle etnie. Invece di discussioni importanti sulla sostanza, i rappresentanti delle etnie sono state soggette ad interminabili parate, come quella della conferenza di pace del 2016 dove Suu Kyi ed i generali facevano le ramanzine su ciò che fosse meglio per il paese.
Ad un certo punto ci fu una lunga e assurda discussione se il nome migliore per la nuova struttura proposta per lo stato sarebbe stata Federalismo democratico oppure democrazia federale.
Un altro strabiliante fallimento fu la non attenzione data alle questioni della terra, in un paese che resta agrario e povero. Un collega della società civile che si batte da anni contro l’acquisizione dei suoli da parte militare e del settore privato ha recentemente detto che NLD fa la “stessa cosa”.
Giorni dopo le elezioni di novembre che videro NLD mantenere la propria maggioranza, Suu Kyi tenne una riunione con i grandi uomini di affari in cui disse pubblicamente che i ricchi non devono soffrire del pregiudizio a causa delle loro fortune.
Favorire un’agenda neo-liberale non è una cosa nuova in Birmania: è la seconda natura dei generali ed ora di Suu Kyi.
NLD ebbe la stessa posizione rispetto al regime militare sulla cittadinanza. Il trattamento disumano e brutale di coloro che erano considerati come “immigrati clandestini” e non cittadini, i Rohingya, è continuato.
Dopo la carneficina delle campagne di pulizia etnica del 2016-2017 che portarono alla critiche da parte dell’occidente, Suu Kyi guidò a voce alta il rigetto di tutte le accuse. Quando difese testardamente le azioni dei militari davanti alla Corte Internazionale di Giustizia, molti pensavano che si era cementato il patto con i militari. Ma ora è chiaro che non fu così.
Dove e quando è avvenuta la rottura? Non fu un evento straordinario quanto un insieme di eventi.
Emersero gli approcci divergenti come nel conflitto armato nel Rakhine tra le forze di sicurezza e un gruppo insorgente di minoranza etnica, dove i militari credevano di non ricevere il sostegno politico necessario.
Sebbene Suu Kyi continuasse il processo di pace con tanta fanfara, non riuscì a prestare però attenzione alle richieste fondamentali dei gruppi etnici, la reale autonomia, non quella nominale.
Le appartiene realmente all’etnica maggioritaria Birmana e credeva come i militari che l’autonomia avrebbe portato alle tendenze secessioniste.
Suu Kyi non è riuscita ad impegnare il NDSC, consiglio Nazionale della difesa e sicurezza, corpo costituzionale massimo composto di militari e civili, che doveva incontrarsi regolarmente sulle questioni di sicurezza di importanza nazionale. In cinque anni non l’ha mai riunito umiliando così i militari.
Infine c’era il fattore delle ambizioni personali del generale Min Aung Hlaing che dovrebbe andare in pensione questo anno. E’ lui che è il capo della giunta ora e capo del nuovo governo.
La tensione alle stelle
Quando i soldati pianificano un golpe, lo fanno di solito molto attentamente. Probabilmente la giunta di Myanmar ha messo in conto una reazione pubblica negativa ed hanno corteggiato una vasta corte di figure religiose.
Comunque forse hanno sottostimato il sentimento pubblico. La maggioranza dei birmani considera con orrore il solo pensare ad un golpe e l’ultima cosa che la gente vuole è un ritorno alla dittatura militare.
Un movimento di protesta, guidato da studenti, studiosi e personale della sanità, ha portato centinaia di migliaia persone per strada. La grande maggioranza di loro sono giovani e alcuni non ricorderanno le elezioni del 2010, la prima elezione con più partiti dal 1990.
Nei giorni precedenti al golpe ci furono dei colloqui tra militari e NLD. Dai dettagli emersi sembra che i militari domandassero una revisione dei risultati elettorali ed una speciale sessione del parlamento e del NDSC. Queste richieste furono rigettate ma la tensione già da allora era cresciuta a livelli alti.
A parte la sostanza del negoziato, importano anche il modo ed il processo. Mentre i militari possono sempre usare la forza armata, la politica è anche l’arte del compromesso, ma pare che questa abilità manchi nel contesto attuale. Nessuna delle parti può permettersi di irrigidirsi su tutto. Ed è tragico che la gente debba continuare a pagare per queste mancanze di chi li guida.
Ci sarà partecipazione pubblica per Suu Kyi che torna nel ruolo di sfavorita. Comunque nonostante i suoi successi del passato, lei è una delusione regolare per il paese e la sua gente.
Khin Zaw Win, openDemocracy