Ci deve essere un altro modo per combattere la droga che non siano queste esecuzioni capitali, “che ci portano alla discesa collettiva nell’impunità, nella paura e alla fine ad una profonda e completa disumanizzazione”
Quanto costa la vita di un povero tossicomane, di un semplice spacciatore, identificato sulle liste della polizia con un codice colorato?
Rosso, arancione, giallo, e così vanno la pericolosità e la probabilità che la persona vada incontro al suo destino, dopo aver invariabilmente tentato di impossessarsi di una pistola della polizia, stesa per terra con qualche proiettile in testa e nel corpo.
Un video di Al Jazeera parla di 200 dollari, la commissione che la polizia avrebbe pagato a due sicari in motocicletta.
Si parla di 400 euro per uno spacciatore maggiore, di 200 euro per un tossicomane. Un possibile motore che spinge alle esecuzioni sommarie, in una polizia comunque mal pagata?
Una stazione radiotelevisiva ABS-CBN News porta il conto delle morti ufficiali, o per lo meno di quelle che riescono a raggiungere i giornali. Dal 10 maggio fino al 2 agosto sarebbero 771 che sono divise in 472 uccise durante le operazioni legittime della polizia, 228 le persone uccise da sicari non precisati. Le esecuzioni sommarie sarebbero 71.
Con molta probabilità questa cifra di 771 è fortemente sottostimata e probabilmente ci sono esecuzioni legate al cartello della droga, ma anche a elementi corrotti della polizia che preferiscono eliminare qualche testimone.
E’ una situazione preoccupante che comincia ad attirare l’attenzione di tante organizzazioni governative, di Human Rights Now e dei pochi parlamentari che comprendono come questa guerra alla droga non risolverà un bel nulla, ma accrescerà la cultura dell’impunità e della morte, radicata nelle forze di sicurezza, paramilitari e nelle armate private che popolano la provincia filippina.
La senatrice Leila De Lima, già ministro della giustizia sotto Aquino, in un suo discorso al Senato ha detto tra l’altro:
“Non vogliamo una situazione dove un singolo dissenziente ci ricordi un domani che abbiamo barattato la crisi della droga con un’altra: la crisi della nostra umanità fallita come nazione”.
Ha aggiunto: “Non possiamo essere indifferenti di fronte alle esecuzioni giornaliere, senza in fin dei conti diventare una nazione legata da una patologia sociale collettiva. E’ già giunto il giorno in cui non possiamo distinguere chi è moralmente marcio tra noi: il bambino di nove anni che sniffa rugby, o il poliziotto che spara il bambino alla testa per aver sniffato rugby”
Ci deve essere un altro modo per combattere la droga che non siano queste esecuzioni capitali,
“che ci portano alla discesa collettiva nell’impunità, nella paura e alla fine ad una profonda e completa disumanizzazione”
E’ un’impunità senza confini che colpirà sempre più cittadini innocenti, che non ha senso di ciò che è giusto o sbagliato. “E’ tanto amorale quanto immorale”.
“La mia più grande preoccupazione sta nei vigilante della notte che ora operano in quasi tutto il paese, questi dispensatori di morte che diffondono l’apocalisse della nostra disumanizzazione. I loro omicidi hanno lo stesso vigore di quelli portati avanti dalla polizia. Questa gente che non possiamo convocare al Senato. Non hanno volto perché non rispondono mai dei loro crimini”.
Questa è la prima risposta completa al discorso di Duterte fatto nel suo primo messaggio alla nazione quando ha rinnovato il suo approccio di non fare prigionieri e ha chiesto alla polizia di triplicare i propri sforzi. “Non smetteremo finché l’ultimo signore della droga, l’ultimo finanziatore e l’ultimo spacciatore non si saranno arresi o messi in prigione o sotto terra, se lo desiderano”.
Nello stesso messaggio alla nazione Duterte ha detto che i diritti umani non devono essere uno strumento per distruggere la nazione. Di fronte alla droga, non me ne frega di diritti umani, di giusto processo.
Scrive Jason Gutierrez su NYT, dopo aver ricordato che ad essere uccisa finora sono la povera gente e che sono tante le persone uccise con nessuna connessione al commercio della droga:
“Questo approccio sembra far decrescere il crimine: la polizia sostiene che hanno arrestato oltre 2700 persone per uso o commercio di droga illegale, e che il crimine a livello nazionale è caduto del 13% dalle elezioni, a 46600 crimini denunciati a giugno contro 52950 di maggio.
La repressione di Duterte è fortemente popolare. I Filippini dopo anni di crimini violenti e di una polizia corrotta, inefficace, gli ha dato una vittoria schiacciante a maggio abbracciando largamente il suo approccio.
In un sondaggio appena dopo la sua elezione ma precedentemente alla sua nomina a presidente, 84% dei filippini aveva grande fiducia in lui.
Il modello delle politiche di Duterte è Davao dove è stato sindaco per gli scorsi 20 anni. Le leggi dure come un coprifuoco severo, la tolleranza zero all’uso e commercio della droga, sono gli strumenti accreditati per aver trasformato la città in una oasi di sicurezza in una regione piena di violenza.
Secondo varie indagini indipendenti, il lato oscuro di quell’approccio sono le oltre 1000 persone uccise dalle squadre della morte sanzionate dal governo locale nella sua amministrazione.”
Ovviamente Duterte non ha mai riconosciuto le squadre della morte ma ha definito “obiettivi legittimi di omicidio” quelli che lui chiama criminali, quelli che non si possono recuperare o riabilitare.
“Ha fatto la campagna presidenziale sulla promessa di applicare le stesse promesse a livello nazionale, promettendo di uccidere 100 mila criminali nei primi sei mesi della presidenza. Forse il numero è una tipica sua bravata, ma la minaccia di omicidi di massa sembra essere reale.”
La situazione è tanto drammatica da spingere una rete internazionali di ONG che lavorano sulle droghe, International Drug Policy Consortium, a chiedere alle agenzie dell’ONU di controllo delle droghe “di porre fine alle atrocità che hanno luogo attualmente nelle Filippine” affermando in modo univoco che gli omicidi extragiudiziali non costituiscono una misura accettabile di controllo della droga”.
Mentre qualche analista politico pensa che bisogna dare ancora tempo a Duterte per verificare la bontà delle sue politiche, come se l’esperienza mondiale nel campo delle droghe non sia sufficiente a smentire Duterte, resta molto forte il modo di accusare le persone di traffico o di proteggere il cartello della droga, intimando di presentarsi alla polizia o al dipartimento di giustizia per chiarie la propria posizione.
Invece di mostrare le prove di accusa a carico di un generale o di un sindaco chiacchierato, o di un uomo d’affari accusato di aver guadagnato dalla vendita della droga, gli si intima di discolparsi, di chiarire la propria posizione, per non doversi scavare la fossa.
Altro che giusto processo, o diritti umani.
“Siamo gente piccola, insignificante. Forse siamo invisibili a voi ma siamo reali. Fermate per favore gli assassini”, ha gridato la signora Olayres, moglie di Siaron, un povero tassista su triciclo, ucciso dalle squadre della morte a Manila. “Mio marito era un uomo semplice. Avrà usato droga, ma non era violento e non ha mai dato fastidio a nessuno. La sua preoccupazione era di trovare passeggeri e darci tre pasti al giorno”.
L’immagine della donna, che tiene tra le braccia il marito come la Madonna nella Pietà di Michelangelo, ha fatto il giro del mondo, ma per il presidente Duterte è soltanto una drammatizzazione.