La maledizione politica delle risorse non funziona a Timor Est

Come è riuscita Timor Est a creare una vibrante democrazia e a sconfiggere maledizione politica delle risorse

Nel quadro di un arretramento delle democrazie nel Sud Est Asiatico, impressiona con piacere il successo che ha la democrazia a Timor Est.

A maggio il paese ha eletto un nuovo parlamento che ha visto a luglio un trasferimento di poteri pacifico dal Fretilin ad una coalizione guidata da Xanana Gusmao, CNRT, Congresso Nazionale per la ricostruzione timorese.

maledizione politica delle risorse non funziona a Timor Est

E’ stata la sesta elezione parlamentare dall’indipendenza dall’Indonesia nel 2002 in cui chi era al potere ha sempre accettato la sconfitta elettorale e ha consegnato il potere alla sua opposizione.

Sin da queste ultime elezioni la guida politica di Timor Est si è espressa in modo sempre più aperto contro la giunta militare nel Myanmar anche se in questo modo ci sono grossi rischi di inficiare i propri sforzi per entrare nell’ASEAN. Questo impegno democratico è ancora più impressionante e sorprendente perché Timor Est è un candidato eccellente per una politica maledizione delle risorse, in cui la ricchezza del petrolio serve a sostenere un governo autoritario

Apparentemente il petrolio dovrebbe essere una benedizione perché dà allo stato risorse cruciali allo sviluppo di istituzioni democratiche in salute e perseguire politiche popolari. La verità è spesso tristemente differente. In troppi casi il petrolio sostiene il governo autoritario. Le risorse si usano spesso per costruire apparati repressivi potenti e incanalare soldi verso le elite politiche ed economiche.

Sono molti i paesi come Venezuela, Guinea Equatoriale e Kazakhstan a soffrire di quella che si definisce come maledizione politica delle risorse.

Benché il pericolo sia reale non è inevitabile. Paesi che erano già democratici e ben governati prima della scoperta del petrolio riescono a sfuggire alla maledizione politica delle risorse. Un esempio è la Norvegia che è una democrazia da ben prima di essere colpita dall’oro nero nel 1969.

Un governo delle risorse naturali buono si dice sia di aiuto. Fondi petroliferi gestiti in modo tecnocratico che isolano la ricchezza delle risorse naturali del paese dai politici, burocrati e generali assicurano che non possono essere usati per sopprimere la democrazia o per altri scopi nefasti. In entrambi i casi parliamo di stati del Nord Globale.

Ma che dire della grande maggioranza degli Stati ricchi di petrolio in tutto il Sud del mondo, come Timor Est?

Questi stati non hanno né una storia lunga di buon governo democratico né del consenso politico necessario per sostenere un regime di gestione imparziale e tecnocratica delle risorse. Quando Timor Est conquistò l’indipendenza la democrazia ha visto una lunga serie di difficoltà. È considerato uno dei paesi più poveri e sottosviluppati del mondo. Inoltre, aveva vissuto secoli di colonialismo portoghese e diversi decenni di brutale e sanguinosa occupazione Indonesiana. Quando si raggiunse infine l’indipendenza, le milizie indonesiane avevano distrutto la stragrande maggioranza delle infrastrutture del paese.

Inoltre, essendo uno dei Paesi più dipendenti dalle risorse del pianeta, Timor Est sembrava essere altamente suscettibile alla maledizione politica delle risorse. Dagli anni 2000, i proventi degli idrocarburi hanno rappresentato in media il 40% del PIL annuale del Paese e oltre l’85% delle spese statali.

Quindi come è riuscita Timor Est a creare una vibrante democrazia e a sconfiggere maledizione politica delle risorse?

Le spiegazioni convenzionali ci dicono poco. Quando il petrolio è stato scoperto, il paese non era né indipendente né democratico. Ha sofferto di brutale oppressione coloniale che si è conclusa con il crollo di quasi tutte le istituzioni funzionali. Quando il denaro del petrolio ha iniziato ad affluire nelle casse del nuovo stato indipendente nei primi anni 2000, il paese era appena diventato indipendente e certamente non era una democrazia consolidata.

In effetti, nel 2006, il paese ha dovuto affrontare una violenta crisi politica così grave che le forze di pace internazionali hanno dovuto essere dispiegate per porvi fine.

La gestione delle risorse naturali del paese è decisamente non ottimale. Lo stato di Timor ha il pieno controllo sulle entrate da idrocarburi. Inizialmente, ha istituito un fondo nazionale per il petrolio per gestirli in modo sostenibile. Ai governi è stato impedito di prelevare denaro più velocemente di quanto il fondo potesse essere reintegrato.

Ma nonostante le tante lodi di osservatori internazionali, questo accordo non durò a lungo. Rapidamente, i governi hanno cominciato ad estrarre enormi somme per cose come le pensioni per i veterani della lotta per l’indipendenza – una circoscrizione politica chiave – o nuovi posti di lavoro nel settore pubblico.

Ironia della sorte, però, è stato proprio durante la prima fase di gestione “sostenibile” delle risorse petrolifere che il malcontento all’interno di alcuni settori dell’esercito è sfociato in disordini e violenze diffuse che hanno portato l’esperimento democratico timorese sull’orlo del collasso nel 2006. In seguito, il governo ha aperto i rubinetti del fondo petrolifero e da allora la democrazia si è rafforzata.

Se le spiegazioni dominanti non sono in grado di spiegare la storia di successo di Timor, cosa può esserlo? Può essere utile dare uno sguardo più attento agli attori politici emersi dalla lotta per l’indipendenza. In primo luogo, poiché il Fretilin e il CNRT – i due partiti politici dominanti – hanno radici profonde nella lotta contro l’occupazione indonesiana, entrambi godono di alti livelli di legittimità popolare. Ma a differenza di altri movimenti di liberazione coloniale, sono sempre stati fortemente impegnati ideologicamente nella democrazia liberale. Non si può dire lo stesso di alcune figure indipendentiste post-coloniali, come l’egiziano Gamal Abdel Nasser o Robert Mugabe in Zimbabwe.

Inoltre, il fatto che nessuna delle due fazioni politiche fosse egemone all’interno della sfera politica timorese si è rivelato un vantaggio per il futuro del Paese. In altri Paesi, i leader e i movimenti indipendentisti hanno effettivamente monopolizzato la rappresentanza politica, facilitando l’instaurazione di sistemi autoritari.

Al contrario, la natura frammentata del movimento indipendentista timorese ha incoraggiato gli attori a ricercare istituzioni politiche che non fossero quelle del chi vince prende tutto. La paura di una presidenza forte o di un parlamento con maggioranze sproporzionate era forte. Dopo tutto, nessun politico vuole correre il rischio di essere messo da parte nei primi anni dopo l’indipendenza.

Le forze politiche timoresi hanno invece optato per un sistema semipresidenziale in cui un presidente relativamente debole deve fare i conti con un parlamento forte eletto tramite rappresentanza proporzionale.

Nonostante l’occasionale rottura dei governi di coalizione, questo sistema è stato notevolmente stabile e i partiti politici hanno sempre rispettato le sconfitte elettorali, anche perché possono confidare nella possibilità di riprendere il potere in futuro.

Naturalmente, nei contesti post-bellici, e soprattutto quando è in gioco l’accesso alle risorse naturali, gli attori esterni cercano spesso di influenzare il risultato. Anche in questo caso, sorprendentemente, a Timor Est la comunità internazionale ha generalmente svolto un ruolo costruttivo. Ha fornito una sicurezza cruciale durante la transizione verso l’indipendenza attraverso l’invio di forze di pace internazionali. Ha inoltre fornito un’assistenza preziosa nella ricostruzione delle infrastrutture esistenti, nella costruzione di nuove istituzioni e nel rafforzamento delle capacità umane.

Allo stesso tempo, gli attori stranieri si sono astenuti dal mettere il dito nella piaga della politica nazionale scegliendo vincitori impopolari o illegittimi, come hanno fatto in Afghanistan o in Iraq.

A questo proposito, Timor Est è stata forse fortunata ad essere considerata “non notevole”, una nazione in cui nessuna grande potenza aveva un interesse particolare.

In sintesi, Timor Est continua ad affrontare gravi sfide economiche, di sviluppo e politiche. Allo stesso modo, la corruzione continua a rappresentare una sfida molto reale. Non è un’utopia. Ma il fatto che Timor Est abbia consolidato la democrazia contro ogni previsione rappresenta un messaggio ottimistico per altri Paesi.

Timor Est democratico sfida anche le ortodossie esistenti sulla cosiddetta maledizione politica delle risorse. Un Paese con una forte dipendenza dalle risorse e senza una storia di “buon” governo può ancora consolidare la democrazia.

Inoltre, non sembra necessaria nemmeno una gestione particolarmente prudente o tecnocratica delle ricchezze petrolifere. Certo, i proventi del petrolio possono essere utilizzati per la repressione e il clientelismo. Ma Timor ci insegna che se la ricchezza delle risorse non si traduce in benefici tangibili per i cittadini, la gente può vedere pochi vantaggi in una transizione democratica.

In definitiva, la ricchezza del petrolio è ciò che gli stati ne fanno. In effetti, la storia di Timor mostra il potere di chi agisce sul destino.

Gli attori nazionali sono stati incentivati a scegliere istituzioni favorevoli alla democratizzazione come la rappresentanza proporzionale, ma hanno anche scelto di giocare secondo le regole e sono stati veramente impegnati nella democrazia liberale. Allo stesso modo, anche la comunità internazionale dovrebbe avere cuore.

Quando si tratta seriamente di sostenere il dominio democratico, Timor Est dimostra che possono avere un impatto positivo anche su terreni decisamente difficili.

Moritz Schmoll e Geoffrey Swenson TheDIPLOMAT

Ottimizzato da Optimole