Nelle recenti manifestazioni sul lavoro, sull’ambiente o politiche quattro donne cambogiane sono sempre state in prima linea scontrandosi quotidianamente con le autorità per la repressione dei sindacati del Casinò di NagaWorld o per protestare settimanalmente per il rilascio dei loro mariti arrestati.
L’entrata nella militanza di queste quattro donne cambogiane nasce dal considerare che si tratti di un’ingiustizia contro di loro quello che vivono, dicono le quattro donne intervistate che parlano dell’orgoglio e della fatica che hanno trovato nelle loro lotte.
So Metta: non mi arrendo
So Metta era sulla sua moto alla rotatoria di Choam Chao lo scorso mese quando fu tamponata alle spalle da un’altra moto, scaraventata per terra a battere la testa sull’asfalto. L’uomo che l’ha colpita rise e poi se ne andò via.
Metta lo ritenne un incidente intenzionale. Fa parte del sentirsi sotto pressione in quanto militante determinata, sente sempre di essere minacciata.
Metta nacque col nome Eng Malai nel villaggio di Kampong Cham nel 1987 dove lasciò la scuola alla quinta elementare per aiutare la famiglia prima di trovare un lavoro da cuoca in un ristorante. Lei dice che il padre beveva e la famiglia era povera.
Dice che si sentiva discriminata dagli altri residente per il basso stato sociale della famiglia.
Alla fine cambiò il nome in So Metta che nella lingua buddista Pali significa amare la gentilezza.
Non voleva più sentirsi insultata e voleva fare del bene nel mondo.
Metta dice che alcuni eventi l’hanno spinta verso la militanza. Uno fu una protesta di massa pubblica nel 2013 quando i sostenitori del partito di opposizione CNRP protestavano contro le irregolarità elettorali, sebbene fosse troppo presa dal lavoro per parteciparvi.
Un altro fu l’omicidio di Kem Ley, analista politico, a Phnom Penh nel 2016 che causò una manifestazione generale di sostegno al funerale. Lo aveva spesso sentito in radio e dopo la sua morte, si sentì più decisa nel voler affrontare le questioni sociali.
La sua prima manifestazione di protesta agli inizi del 2019 fu con il gruppo Mother Nature, che lei ha conosciuto su Facebook, quando insieme si unì a loro per la cerimonia di benedizione per proteggere un albero antico che doveva essere tagliato per costruire la strada a Sihanoukville.
“Ero felice di riuscire ad avere un ruolo mio di cittadina che protegge gli alberi”.
Poi si unì alla protesta per il rilascio di Ouch Leng, arrestato a Kratie dopo aver pattugliato il Santuario di Prey Lang nel 2020. Teneva alti gli striscioni di fronte alla prigione provinciale e al mercato. C’erano tanti poliziotti ad osservarli e di quella volta ricorda bene la paura che la prese.
Si unì anche al gruppo Khmer Thavrak per chiedere la sospensione dei pagamenti degli interessi MFI durante la pandemia, e commemorò a luglio 2020 la morte di Lay. Poi il gruppo si batté per il rilascio della sindacalista Rong Chhun fino al suo arresto il 7 settembre del 2020 per incitamento.
Lei dice che questo fatto non la scoraggiò. Protestò in prigione contro il pagamento dell’acqua e dell’elettricità da parte dei detenuti. Dice che gli altri detenuti la picchiarono spinti dalle guardie.
“Non mi arrendo quando ci attaccano con gli insulti. Se ci mostriamo arrendevoli, timorosi e minacciati la loro strategia è vincente” dice Metta.
Metta dice di sentirsi forte quando le autorità la colpiscono, si fa più determinata. Vuole proteggere i propri diritti e le libertà degli altri e mostra che loro fanno qualcosa di sbagliato.
A parte la militanza Metta dice di amare cucinare, leggere libri di storia e di legge. Dice che sia uomini che donne partecipano alle proteste, ma sono queste ultime che si oppongono alle pressioni fisiche.
Metta fu rilasciata lo scorso anno su cauzione e continua a partecipare alle proteste. Si è di nuovo scontrata con le autorità anche lo scorso martedì, cosa che ha reso il suo incidente di traffico apparire dubbio.
“I tentativi per perseguitarci sulle strade sono una tattica usata spesso per fermarci. Fa male vedere i cambogiani che si ammazzano a vicenda e non c’è sviluppo del paese” dice Metta.
Phuon Keoreaksmey: Mia madre piangeva perché avevo promesso di smetterla
Phuon Keoreaksmey dice che la ragione per cui si unì al gruppo ambientalista Mother Nature non era l’ambiente, quanto il vedere che le “ingiustizie” delle autorità contro i militanti.
Keoreaksmey è nata nel 2001 a Svay Rieng Bavet e nel 2017 va a Phnom Penh, dove la più giovane di quattro figli studia Informatica all’Università di Phnom Penh.
Aveva offerte di lavoro da una banca e da un società di servizi internet ma ad aprile 2020 decise che si sarebbe piuttosto unita a Mother Nature, divenendo il membro più giovane, dopo aver assistito all’arresto dei suoi militanti.
Tre militanti erano stati arrestati mentre facevano un video a Phnom Penh in cui chiedevano al ministro dell’ambiente di far sapere cosa era successo all’avorio e alle ossa di tigre e rinoceronti sequestrati tra il 2013 e il 2018.
Vide il video e sentì che l’arresto di tre amanti della natura era la cosa più ingiusta che le autorità potessero fare, racconta.
“La ragione per cui sono diventata una militante non è perché amavo la natura ma perché vedevo l’ingiustizia contro i militanti ambientalisti” dice.
Incontrò un membri del gruppo quando furono invitati ad un evento di Cambodian Youth Network, e la sua prima azione per il gruppo fu di partecipare ad un video di due minuti sulla polvere sulla strada nazionale 3.
Per quanto il gruppo fosse sotto pressione, lei indossava una maschera nel video e non ebbe problemi. Ma la volta successiva si unì ad un evento in bicicletta sulla protezione dell’isola di Koh Kong Krao ed il gruppo fu bloccato dalla polizia.
Nel 2020 fu arrestata insieme ad altri membri del gruppo per aver lottato sul riempimento del lago Boeng Tamok a Phnom Penh con la sabbia. In prigione leggeva libri e indossava copricapo per ridurre lo stress.
Dal suo rilascio su cauzione, Keoreaksmey continua a fare petizioni sui problemi dei rifiuti a Phnom Penh, sulle acque di scarico a Siem Reap e la guerra in Ucraina e nella commemorazione del militante Chutt Wutty.
Il padre di Keoreaksmey è ufficiale di polizia con cui spesso ha discussioni per le sue attività. Dice che anche la madre rimase delusa quando nel giorno del suo compleanno andò alle proteste per Koh Kong Kriang.
“Mia madre mi aspettava per celebrare il suo compleanno e potersi collegare su Facebook. Piangeva perché le avevo promesso di smettere di lavorare per Mother Nature. Ma continuerò”
Keoreaksmey dice che i genitori non l’avevano impedito nulla, comprendevano che era giusto quello che provava a fare nonostante le pressioni esterne. Ed aggiunge che solo il lavoro con il gruppo le fece apprezzare l’ambiente.
“Ho cominciato ad amare la natura sempre di più e capii che se altri giovani sono coinvolti di più sarà possibile una soluzione.”
Mam Sovanthin: Ho solo la volontà questi giorni
La figlia di quattro anni di Mam Sovanthin guarda le sue trasmissioni dal vivo degli scontri quotidiani con la polizia durante le proteste contro i licenziamenti di massa a NagaWorld. La figlia vive con la mamma di Sovanthin a Takeo, ed entrambe la supplicano di smettere, dice Sovanthin.
“Mia madre piangeva quando le autorità mi tormentavano … lei è anziana e non la prende bene quando qualcuno fa male alla figlia” dice. “Mia figlia mi ha detto, ‘mamma, per favore smetti di fare le trasmissioni. Se continui la polizia continuerà a combatterti. Odio la polizia. Perché continuano a picchiarti?”
Sovanthin è una madre sola di 34 anni che iniziò a lavorare al casinò di NagaWorld a Phnom Penh dopo aver saputo che avrebbe potuto riceve un buon salario. Ma non era contenta di come trattavano i lavoratori ed ha aderito al sindacato, dice. Un’amica e lavoratrice fu improvvisamente licenziata dopo un errore nel cambio del denaro ad un cliente, dice. Sentiva che il licenziamento era irragionevole.
“Il problema si risolse con il cliente, ma la compagnia caccio la mia amica. Lo vidi davanti a me. Non mi aspettavo che potesse accadere per quella ragione”
Sovanthin era una di oltre 1300 lavoratori prese di mira nei licenziamenti dello scorso anno nel mezzo della pandemia, ma le contesta il suo licenziamento e sta in piazza ogni giorno da dicembre.
“Lo sciopero si allunga sempre di più. La mia energia fisica è finita. Mi è rimasta solo la mia volontà”
Ricorda l’ultimo giorno dell’anno quando i manifestanti furono prima circondati da tanti poliziotti, e i lavoratori si strinsero insieme per impedire l’arresto dei loro capi. Racconta di aver avuto paura ma anche di essere orgogliosa dell’unità dei lavoratori.
Da quattro mesi si scontra con la polizia quasi ogni giorno, accerchiata dalla polizia e portata via dal casinò alla periferia della città. Dice di sentire che la propria vita sia ridicola talvolta.
La sua vita giornaliera consiste nel preparare da mangiare, fare i servizi e prepararsi per andare alle proteste.
“Io sono quella che fa le trasmissioni. Sono sempre quella che sono spinta con la forza sui bus. Ogni volta che passo per l’area dello sciopero sento la paura salirmi in corpo” dice Sovathin. “Quando cammino, provano a prendermi il braccio. E l’ho detto a loro, di non usare la violenza. E lui risponde: ‘non sto usando la violenza ma tu non ti fermi’”
Da quando sono iniziate le proteste deve combattere per sopravvivere permettendo ad altri scioperanti di stare nella sua camera in fitto e di vendere fiori di carta. “Mi aiuta a respirare”
E’ giunta a perdere le speranze che ci sia un’istituzione che si interessi di aiutarli ma non pensa di fermarsi.
“E’ una esperienza difficile per questi pochi mesi. Ma ho bisogno di resistere anche se la speranza è pochissima. Penso che se Naga riesce a dissolvere il sindacato non sono sicura del futuro della Cambogia”
“Ho capito chi è coinvolto con le corporazioni, persino la polizia locale e i bus pubblici. Il processo dall’alto in basso è legato. Ciò mi ha aperto gli occhi che questa è la mia società reale”
Prum Chantha: Le autorità ci seguono sempre fino a casa”
Prum Chantha dice di aver vissuto tutti i tipi di violenze nelle proteste, di essere stata tirata via per gambe braccia, spinta per terra, sommersa di grida e abusata.
Il gruppo di Chantha Friday Women è fatto di una ventina di manifestanti accesi che chiedono il rilascio dei loro mariti e politici. Per un periodo di tempo si radunavano settimanalmente di fronte al tribunale cittadino di Phnom Penh, sebbene le loro azioni siano diventate più varie, come fare visita alle tante ambasciate per fare petizioni sulla politica cambogiana.
“Di fronte al tribunale la polizia mi ha tirato via, alzata e lasciata cadere sul marciapiedi. Talvolta avevo il sangue alle ginocchia” racconta Chantha che iniziò a protestare il 19 giugno 2020 dopo che il marito Kak Komphear militante del CNRP fu arrestato per incitamento. Dice di non aver compreso allora che i successivi due anni sarebbero stati turbolenti.
“La mia prima volta avevo paura. Ma più vado alle manifestazioni più mi fa male ma nn ho paura. Mi fa pensare che sia un tipo di sfida.”
Chantha dice che è solo una madre di famiglia che cucina per i figli e ha cura della casa. Anche le altre amiche del suo gruppo sono le stesse ed aggiunge che loro lottano insieme a chi porta da mangiare ora in carcere.
Il figlio giovane è anche più diretto, e sono stati di conseguenza entrambi arrestati e attaccati per strada. Lo scorso anno marito e figlio erano in carcere e la madre morì. Si guardava intorno e si sentiva cadere per il modo in cui andava avanti la sua vita.
“Piangevo quasi tutti i giorni. Il periodo più duro per me fu quando arrestarono mio figlio. Piangevo fino a quando non mi addormentavo” dice. “Vedevo le altre famiglie tutte felici insieme. Spero che un giorno riavrò quella stessa felicità”.
Allo stesso tempo è fiera di non starsene in silenzio. “La polizia ci segue sempre fino a casa. Non ho più paura, mi ci sono abituata a questo trattamento”.
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