La società thailandese deve vergognarsi per l’indifferenza che porta verso le vicissitudini dei Malay di Patani ed ha bisogno di guardare in faccia il destino condiviso
La scorsa settimana la Commissione Nazionale contro la Corruzione, NACC, ha fatto la raccomandazione che l’esercito e l’accusa penale intentino un’azione legale contro il sottotenente Sirikhet Wanitbamrung per il presunto omicidio dell’imam di Narathiwat accaduto sette anni fa.
L’Imam Yapa Kaseng fu picchiato a morte di fronte al proprio figlio mentre era tenuto in un sito carcerario militare nel marzo del 2008 a Narathiwat. Era accusato di fare parte di una cellula locale militante separatista dei Malay Musulmani nelle province estreme meridionali.
Secondo il rapporto dell’autopsia, Yapa aveva le costole fratturate che gli avevano perforato i polmoni.
Il sottotenente Sirikhet Wanitbamrung era presso la 39ma unità speciale a Rueso a Narathiwat dove vi è un’alta concentrazione di attività militanti.
La morte dell’Imam Yapa Kaseng generò una forte commozione nella comunità locale ed internazionale ed in particolarmente i gruppi dei diritti civili che accusarono il governo di chiudere gli occhi sulla cultura della impunità in questa regione fortemente contestata, dove, in oltre dieci anni di insorgenza, sono state uccise oltre 6500 persone, per lo più malay musulmani.
Persino alcune ambasciate estere a Bangkok domandarono della sua morte invitando il governo thai e l’esercito a tenere alti i loro principi di legge ed ordine.
Molti temettero che gli omicidi di capi islamici, che fosse Imam Yapa o altri che erano stati ammazzati dal governo o dalle squadre della morte progovernative, avrebbero radicalizzato gli insorgenti che da oltre 11 anni hanno tenuto alta la loro campagna di violenza contro lo stato nela regione di lingua malay.
In risposta alla crescente pressione l’esercito ha promesso un’indagine completa nel caso. Alcuni osservatori dicono che la promessa dei generali del momento era di tenere lontani i governi esteri dalle loro spalle per il momento.
Sette anni dopo il NACC è riuscito a fare una raccomandazione in modo che si faccia una azione legale. Il fatto che ci sia voluto così tanto per giungere a questo punto si ripercuote male sul sistema giudiziario che questo e il precedente governo hanno promesso di migliorare e rendere accessibile a tutte le parti.
Ma dal come lo stato tratta questo caso e gli altri simili sembra che queste promesse siano solo un esercizio oratorio.
L’attitudine delle agenzie dello stato thai è sempre stato “il passato è passato”. Ma come possono i Malay di Patani, o chiunque altro in situazione simile, andare avanti col resto della popolazione, come una sola nazione con un destino condiviso senza che prima non si affrontino le ferite storiche tra le due parti?
La suggestione di lasciare andare ciò che è passato non è altro che un pensiero speranzoso da parte di un paese e la gestione del caso dell’Imam Yapa Kaseng è una testimonianza di mancanza di impegno da parte del paese.
Triste a dirsi, la maggioranza del paese non se ne interessa affatto del caso dell’Imam Yapa Kaseng a causa del loro cieco sostegno all’azione del governo nel profondo meridione. Abbracciamo ciecamente il nazionalismo fino al punto di descrivere i Malay di Patani come una minoranza ingrata che non riesce ad apprezzare la bontà e la generosità dello stato.
Questa attitudine razzista è alla base della politica thailandese della fallita assimilazione che i Malay nel profondo meridione dicono costi loro la loro identità cultuale, storica e religiosa.
Poiché non accettano la nostra narrativa costruita dallo stato, diventiamo indifferenti alle loro lamentele storiche e alle ingiustizie ovvie e le azioni illegali dei nostri rappresentanti in episodi come il massacro di Tak Bai e le percosse fatali contro l’Imam Yapa.
Ha mai pianto il popolo thai insieme ai Malay di Patani quando 78 dei loro figli morirono soffocati sul retro dei camion militari nel 2004? E non dimentichiamo le sette persone sparate al sito della protesta.
La sicurezza e le agenzie dello stato tendono a vedere gli anni degli omicidi per vendetta come accettabili. “Forse sono cittadini thai ma non sono dalla nostra parte, perché preoccuparsi?” Questa sembra essere l’attitudine dei nostri rappresentanti e della società.
La cultura dell’impunità e la sistematica violazione dei diritti umani non sono accettabili perché queste cose sono state fatte in nome dello stato. Il fatto che siamo indifferenti ricade male sulla società.
Abbiamo regole, leggi e regolamenti. E se dovremo essere selettivi su come sono tutto questo è imposto, il governo deve ritirarsi da tutte le convenzioni internazionali contro gli omicidi illegali, rapimenti e tortura di sospetti criminali e di insorgenti.
La comunità internazionale e le organizzazioni di monitoraggio hanno un obbligo morale di ricordare alla Thailandia i propri impegni in queste convenzioni e protocolli.
In alcuni paesi questi obblighi sono leggi, il che implica che si devono pendere in considerazione o esercitare azioni legali e politiche.
EDITORIALE, The Nation