C’era una volta quando Duterte è stato osannato come foriere di pace per aver riaperto il canale di discussione con la guerriglia comunista di NPA-NDF-CPP, prospettando una pace che sembrava tanto vicina da sembrare irreale.
Ci furono i primi militanti comunisti rilasciati in modo condizionato per poter partecipare ai colloqui di pace. Ci fu una promessa di rilasciare 400 altri militanti, tra i quali anziani e malati, che Duterte ora sembra voler tenere per il futuro se i colloqui andranno bene.
Ci fu una promessa di cambiare quasi tutto dell’economia filippina che pareva far incontrare miracolosamente il nuovo governo Duterte e la guerriglia comunista, tra le cui fila ci sono persone che hanno amicizia con Duterte o ne sono stati maestri, come Jose Maria Sison, fondatore del Partito Comunista. Ci fu la nomina di tre ministri vicini al NDF in importanti ministeri sociali.
Ma ora sembra che si sia giunti all’estremo opposto. Prima i colloqui di pace di Roma di fine gennaio 2017 che, nonostante le dichiarazioni trionfaliste, hanno segnato un punto di stasi ed hanno visto solo la firma per rivitalizzare e rafforzare un comitato congiunto di monitoraggio per i diritti umani, creatosi nel 1999 e mai applicato.
Poi successivamente giunge la dichiarazione del NPA di sospensione del proprio cessate il fuoco unilaterale, in seguito alle ripetute operazioni insorgenza dei militari filippini e per la non avvenuta liberazione dei 400 militanti in carcere.
E dulcis in fundo alcune operazioni militari del NPA che hanno visto la morte di tre militari in abiti civili ad un loro posto di blocco e il sequestro di un altro ufficiale a Bukidnon.
La risposta di Duterte è stata, secondo molti commentatori, legata al suo tentativo di agganciare i militari delle AFP alla guerra alla droga dove la polizia ha dimostrato tutta la sua corruzione, dopo l’affare dell’uomo di affari sudcoreano rapito ed ucciso nel quartier generale della polizia a Manila. Duterte ha perciò vietato alla PNP di partecipare alla guerra alla droga ed ha chiesto collaborazione ai militari. Un altro motivo è che le mire totalitarie di Duterte, la sua continua minaccia di proclamare la legge marziale richiedono una forza militare alle spalle che gli sia fedele e pulita.
Duterte, dopo la visita ai soldati uccisi, ha quindi prima ritirato il cessate il fuoco unilaterale del governo, poi ha mobilitato le AFP a combattere, ha ordinato il blocco dei colloqui di pace, poi l’arresto dei negoziatori del NDF e ha proclamato i comunisti terroristi e criminali.
Questo lo ha detto nei suoi discorsi ma il governo sembra voler ancora reinterpretare le sue parole. Mancano al momento gli atti specifici di sospensione dei colloqui, necessari a permettere il ritorno in carcere dei militanti liberati che hanno partecipato al dialogo di pace.
Il consulente legale del NDF Edre Olalia ha detto che, non esistendo al momento nota scritta al NDF della cancellazione di colloqui, la libertà temporanea promessa scade a fine febbraio. Si era pattuito a Roma di estendere questa libertà per la durata dei colloqui.
Un consulente del NDF e un suo accompagnatore sono stati comunque già fermati dai militari a Davao perché l’accompagnatore ha un mandato di arresto. Secondo il consulente legale del NDF entrambi sono coperti dall’immunità e devono essere liberati se i loro spostamenti sono in connessione col loro compito nei colloqui di pace.
“Solo il tribunale che ha dato loro la libertà temporanea attraverso una somma di cauzione può agire o ordinare il loro riarresto, e non un atto unilaterale della polizia o dei militari, e neanche delle pure istruzioni date dal presidente della Repubblica Filippina.”
Per altro sull’accordo di pace firmato a Roma si legge: “Il Governo della Repubblica Filippina è impegnato a presentare le manifestazioni necessarie a sostegno delle mozioni affinché sia estesa e resti efficace durante i negoziati di pace la libertà temporanea dei consulenti del NDF rilasciati ad Agosto 2016”
Tutto il pannello dei negoziatori del governo è stato preso alla sorpresa da tali dichiarazioni. Esso aveva ripetuto che avrebbe consigliato a Duterte di proseguire nei colloqui ed andare in Olanda a febbraio per definire le persone a cui dare l’immunità diplomatica. In Olanda inoltre si sarebbe discusso di un eventuale cessate il fuoco bilaterale e di un meccanismo che lo mantenga in vita.
Ad esprimere grande preoccupazione per il futuro sono in tanti, tra i quali l’associazione dei diritti umani Karatapan che, dopo aver sostenuto che la via della pace non è assolutamente facile e che presenta sempre ostacoli, afferma che un grande ostacolo alla pace sono proprio i militari che sabotano i colloqui di pace, dei veri guerrafondai che perpetuano omicidi politici, scomparse forzate, arresti illegali, minacce contro le comunità.
Karapatan ha denunciato che a gennaio 2017 sono stati uccisi quattro militanti. Un quinto è stato ucciso a Bukidnon a Mindanao, un capo comunità Renato Anglao, per la sua opposizione alle piantagioni dell’agroindustria nelle terre ancestrali.
“Alla fine dei conti saranno le persone a soffrire di colloqui ufficiali tra governo e NDF” ha detto Karapatan. Un simile stato d’animo lo hanno espresso tante comunità di base che temono che “la violenza ritornerà in molte comunità, specie quelle occupate dalle comunità indigene.
Molte comunità e ONG da tutte le Filippine hanno chiesto a governo e CPP NPA di continuare a parlare, di continuare a costruire su quanto conquistato nei precedenti colloqui.
Silvestre Bello, capo negoziatore al tavolo dei colloqui di pace per il Governo, è stato preso di sorpresa ed ha accennato ad un possibile cambio di pensiero del presidente, se ci fosse una ragione forte nel fargli cambiare idea sui colloqui di pace. Un’apertura. “Cosa può essere a fargli cambiare idea, non voglio ragionarci su. Ma vi assicuro che davvero vuole la pace per il paese” ha detto Bello. “Devono dimostrare CPP e NDF che non esiste ragione più forte del crescente clamore per la giustizia ed una pace giusta”.
Più di qualcuno attende invece cosa uscirà dal palazzo presidenziale, dopo le parole di Duterte il quale ci ha abituato a dire tutto e spesso il suo contrario. Necessitano atti concreti da parte del governo e anche da parte del NDF.
“Un gesto grande” sarebbe necessario da parte del NDF. Secondo un ex preside di facoltà del Ateneo de Manila, Antonio La Vina: “Per risolvere l’impasse potrebbe fare un’importante concessione… se la loro condizione è il rilascio dei prigionieri prima dell’accordo finale, devono fare qualcosa per reciprocare. Un cessate il fuoco bilaterale non favorisce alcuna parte e fa bene ad entrambi. Non è una concessione del NDF in cambio di una concessione del cessate il fuoco.”
Molti senatori filippini hanno espresso speranza che questo break nei colloqui sia solo temporaneo. Il presidente del Senato Pimentel, stesso partito di Duterte, ha detto: “Spero che la sospensione dei colloqui di pace sia anche temporanea e che riprenderanno al momento opportuno”.
Il senatore Recto ha detto che le parti devono comprendere che i colloqui per la pace restano il modo migliore di porre fine all’insorgenza lunga mezzo secolo.
“Forse è il tempo per ricordare le lezioni di un’insorgenza che dura da quasi mezzo secolo. Il governo deve realizzare che le sole armi non sconfiggeranno l’insorgenza che ha cause sociali profondamente radicate. Ed i ribelli devono esplorare la prospettiva che si possono vincere più concessioni al tavolo negoziato che non nel campo di battaglia”
Mentre è chiaro che Duterte, dopo aver lasciato perdere la PNP, si appoggia sempre più alle forze armate lasciando fare loro il bello e il cattivo tempo sul terreno dell’insorgenza, il Partito comunista filippino si dice ancora impegnato nei colloqui di pace ma ricorda a Duterte che l’abbraccio con i militari si porta un costo con sé. Non può continuare a credere qualunque cosa essi sostengono. Nei cinque mesi di cessate il fuoco unilaterale, i militari hanno continuato a militarizzare le comunità compiendo così delle azioni che sono offensive.
Fino a che punto il presidente Duterte si vuole spingere per raggiungere un accordo di pace è forse la vera domanda, valida non solo per questi colloqui di pace ma anche per quelli con la Bangsamoro.
Teddy Casino, ex parlamentare della sinistra radicale filippina, scrive: “Fino a che punto il presidente vuole spingersi per forgiare una pace giusta e duratura? Se è disposto ad allungarsi per la sua guerra alla droga, allora deve essere pronto a farlo per la pace”