Deutche Welle intervista il responsabile di Fortify Rights, Matthew Smith, dopo le recenti fosse comuni nella giungla thailandese vicino al confine birmano, dove finora sono state ritrovati decine di cadaveri di profughi Rohingya e Bangladeshi. Morti per fame e stenti, ma anche morti per percorse e violenze, lasciati indietro insieme a pochi sopravvissuti dopo che i trafficanti hanno sgomberato in fretta e furia per evitare l’intercettazione della polizia.
E’ una tratta di schiavi che dura da decenni, più volte denunciata da varie agenzie e giornali internazionali, che vede la Thailandia al centro degli affari e del controllo. La Marina Reale Thailandese ha sempre affermato la propria lotta contro questo traffico arrivando persino a denunciare per calunnia due giornalisti del Phuketwan.
Che ci sia una qualche connivenza delle popolazioni locali più lontane è possibile, ma il vero nocciolo deve ancora venire a galla. In quell’articolo i due giornalisti riportavano quanto affermato in una inchiesta della Reuters, del coinvolgimento sostanziale di militari e polizia nel controllo del traffico.
La Thailandia chiude un occhio di fronte alla tratta degli schiavi.
Altre fosse comuni che si dicono contenere i resti di profughi sono stati scoperti in un secondo campo nella giungla della Thailandia meridionale, denunciando il ruolo che il paese gioca nel commercio della tratta degli schiavi. Lo dice Matthew Smith.
5 fosse furono scoperte il 5 maggio in un campo remoto ad un chilometro da un altro campo simile vicino alla frontiera malese, dove la polizia scoprì 26 corpi. Il 1 maggio una taskforce polizia militari scoprì i corpi abbandonati in un accampamento nel distretto di Sadao della provincia di Songkla. Secondo HRW molti furono seppelliti in tombe poco profonde, altri coperti con coperte e vestiti e lasciati all’aperto. …
DW: Perché la Thailandia è diventato un centro della tratta di schiavi?
MS: Le forze di polizia birmane e del Bangladesh spingono i Rohingya nelle mani dei mercanti di schiavi spingendoli verso Malesia e Birmania. Un’intera popolazione sente che la loro unica opzione è cercare asilo via mare. Difficile stabilire una cifra reale dei Rohingya trafficati in Thailandia ma potrebbe raggiungere i 250 mila dal 2012.
Il sindacato del crimine è transnazionale e usano la disperazione di un popolo che fugge gli abusi sistematici, capitalizzando la volontà delle autorità thailandesi a partecipare al commercio oppure a chiudere un occhio di fronte alla tratta degli schiavi. Per anni la sua politica è stata di spingere i profughi verso la Malesia, e le autorità hanno lavorato, perciò, a stretto gomito con i trafficanti.
DW: Che cosa riflette la scoperta di queste fosse comuni sul destino dei Rohingya in Thailandia?
MS: I Rohingya non hanno protezione ovunque vadano, Thailandia compresa. I trafficanti operano in campi della cui esistenza, alcune volte, le autorità sapevano persino la precisa posizione. E’ stato nelle notizie il fato che le autorità thai abbiano salvato alcuni sopravvissuti del traffico. In realtà i salvati sono molto pochi, se si guarda al complesso, e non è altrettanto chiaro cosa succeda ai Rohingya che finiscono sotto custodia thailandese. Sappiamo che alcuni siano stati riportati in Birmania, dove sono sotto il grande rischio di altri abusi. Altri sono finiti nelle mani dei trafficanti. Molti si trovano in uno stato di detenzione indefinita in Thailandia.
Le autorità thai ci dicono che non amano la parola detenzione riguardo al loro trattamento dei Rohingya, ma è la parola adeguata al trattamento fatto. Abbiamo visitato quei posti e non c’è dubbio che si debba parlare di detenzione. Sono luoghi mal equipaggiati dove alcune volte sono morti dei Rohingya. Sono centinaia i Rohingya che sono finora trattenuti indefinitamente.
Come ci finiscono in questi campi i Rohingya?
Il loro viaggio inizia in Birmania o nel Bangladesh. Sono oltre 650 mila i Rohingya dislocato sulla frontiera tra Birmania e Bangladesh, e fino ad un milione in Birmania vivono sotto condizioni fortemente violente. E’ un popolo adatto per il traffico di schiavi.
Per lo più, un intermediario a terra in uno dei due paesi inganna i Rohingya facendo credere che saranno direttamente portati in Malesia per una somma equivalente a duecento dollari. SI imbarcano su navi navi del crimine organizzato transnazionale come una mandria di bestiame. Alcuni restano nel mare varie settimane prima che la nave parta, attendendo che si riempia oltre i limiti di qualcosa che possa essere umano.
Durante il viaggio, viene loro negato cibo, acqua e spazio adeguati e sono soggetti a violenze quando non ad omicidi. Le navi si muovono verso le acque thai da dove il cargo umano è trasportato a terra in campi improvvisati nella giungla, dove ancora sono costretti a vivere in condizioni disumane.
In alcuni casi le autorità thai hanno intercettato queste spedizioni e detenuto i Rohingya, solo per poterli rivendere al traffico. Documentammo un caso simile accaduto nel 2007 che dimostra che questo non è un fenomeno nuovo.
Perché le autorità non riescono a dare protezione adeguata?
Lo scopo principale per la Thailandia era di dare un corridoio ai Rohingya a raggiungere la Malesia. Non vogliono assumersi la responsabilità per una nuova produzione di rifugiati e quindi la Thailandia chiude un occhio sul traffico, o in alcuni casi lo vede come un’opportunità economica buona partecipano direttamente a questa moderna tratta di schiavi. In due anni soltanto si valuta che il traffico ammonta a centinaia di milioni di dollari. Questi incentivi economici ed una politica sui rifugiati profondamente sbagliata lavorano all’unisono contro i diritti dei Rohingya.
Quanti campi del genere sono ora in Thailandia?
Ci sono ragioni per credere che ci sono stati un numero enorme di campi negli ultimi tre anni. I trafficanti che operano questi campi sono per lo più Rohingya, Thai, Shan, bangladeshi o Malay. Torturano i loro prigionieri, talvolta giornalmente, finché non riescono a fare soldi in cambio della “libertà”, il trasferimento in Malesia dove incontreranno altri abusi. Nei campi nella giungla sono tenuti in condizioni di affollamento con poco cibo ed acqua. Queste condizioni di miseria sono la causa più comune delle morti.
Perché le autorità thai non riescono a intercettare e abolire questi campi?
Il problema principale è la mancanza di volontà politica di combattere davvero la tratta degli schiavi. Le nostre ricerche negli ultimi due anni indicano che le autorità conoscevano i luoghi di molti campi o almeno l’area e non agivano.
Di recente abbiamo suggerito alle autorità thai di usare le frequenze dei telefonini per localizzare i campi che si trovano per lo più in aree remote con infrastrutture limitate. Ci sono centinaia di chiamate telefoniche ogni giorno dai campi. In teoria questo renderebbe la localizzazione facile, ma per agire ci vuole la volontà politica che finora è assente.
Per gli ultimi tre anni alcuni rappresentanti hanno semplicemente voluto che i trafficanti spostassero i Rohingya in Malesia in un tempo opportuno. Se i trafficanti impiegano troppo tempo, le autorità orchestravano un’incursione, di cui in quasi tutti i casi i trafficanti sapevano. Di conseguenza cambiavano la posizione in un nuovo posto se non proprio in Malesia.
In questo modo la Thailandia ha dato l’impressione di combattere il traffico senza doversi prendere la responsabilità di proteggere i sopravvissuti. Sono stati tre anni orrendi per i Rohingya. Il luogo comune è che le politiche del governo riflettevano il desiderio dei Rohingya di viaggiare in Malesia ma è solo una scappatoia. In tanti, a causa di questa politica, sono morti o sono stati uccisi.
Cosa fa il governo thai per proteggere i Rohingya?
La Thailandia definisce quasi tutti i Rohingya come “immigrati clandestini” piuttosto che riconoscere lo status di sopravvissuti della tratta degli schiavi, cercatori di asilo o apolidi. In effetti la Thailandia nega loro qualunque protezione secondo la legge thailandese ed internazionale e li sottopone alla detenzione e alla deportazione informale. In molti casi “la deportazione informale” ha significato che che autorità consegnavano i Rohingya al crimine organizzato che a loro volta li torturava. La detenzione indefinita dei rifugiati deve finire.
Abbiamo ascoltato dei recenti arresti di mercanti di schiavi e di ufficiali dello stato. Un buon segno e ci complimentiamo con la Thailandia per questo, ma finché non giungono ad accusa formale e sentenza finale, non vuole dire quasi nulla. Nel passato i trafficanti sono stati arrestati e poi rilasciati in tutta calma a riprendere il proprio posto nelle operazioni.
La Thailandia deve diventare seria nelle indagini e nel far qualcosa contro i trafficanti. Mentre si riconosce piano piano il coinvolgimento di ufficiali con la rete del traffico, le autorità thai hanno bisogno di fare di più per sradicare i trafficanti nelle proprie fila e agire contro i rappresentanti complici e corrotti.
Matthew Smith, fondatore e direttore esecutivo di FOrtify Rights