C’è tanto che il mondo può apprendere dall’Indonesia, da paesi che hanno dispute marittime con La Cina come le Filippine, a democrazie in transizione come la Birmania, all’Egitto del Mondo Arabo.
La nazione con maggioranza musulmana più popolosa e terza democrazia al mondo sceglierà un nuovo presidente in una elezione che non ha eguali. In quella che è definita l’elezione più importante dal 1955, sono ancora in corsa, senza una possibilità di definire ancora chi è il vincitore, il governatore di Giacarta Joko “Jokowi” Widodo e il generale dell’era Suharto Prabowo Subianto.
Sia che gli Indonesiani scelgano, per la prima volta dalla caduta della plutocrazia di Suharto, il loro primo presidente che non proviene dall’elite o scelgano l’ex genero del dittatore scomparso, si sentiranno le ripercussioni di tale scelta ben al di là dell’arcipelago di 17 mila isole.
Perché il resto del mondo deve prestare attenzione? Cosa hanno da guadagnare i paesi confinanti come le Filippine da questo esercizio? Perché interessarsi dell’Indonesia?
Rappler parla con il giornalista del JakartaGlobe e osservatore di politica estera Jamil Maidan Flores per comprendere la prospettiva di questa elezione. Flores ha lavorato presso il ministero degli esteri sin dal 1992 ed è un profondo conoscitore della politica ed economia della regione.
Per lui è facile schematizzare il significato dell’Indonesia. “E’ qui che impareremo tantissimo sul come la democrazia funziona e come fallisce”. Ecco l’intervista a Flores.
D. Perché queste elezioni sono importanti per le Filippine e il Sudestasiatico?
R. L’Indonesia costituisce il 40% dell’economia dell’ASEAN e della sua popolazione. Questo è quasi la metà, e se l’Indonesia non assume un ruolo attivo nel lavoro dell’ASEAN allora la qualità del lavoro, che per tanti non è ancora soddisfacente, diventerà ancora meno soddisfacente.
L’Indonesia ha la forza per essere un attivista della democrazia, della promozione dei diritti umani, del buon governo e della cooperazione politica della sicurezza, specialmente sulla questione del mare cinese meridionale in cui 4 stati membri hanno reclami sovrapposti tra sé e con la Cina.
La cosa che permette all’Indonesia questo ruolo è la sua economia. Se l’economia balbetta allora non può esserci la fiducia. E’ accaduto nel 1997 e 1998, quando colpì la crisi asiatica. In quegli anni negò la propria politica estera concentrandosi sulla propria ripresa.
Quando si parla di cooperazione politica, di sicurezza, l’iniziativa principale dell’Indonesia è il cosiddetto Trattato Indo-pacifico di Amicizia e cooperazione. Se c’è un trattato a cui ognuno è vincolato legalmente nel non dichiarare guerra ad ogni altra parte, allora la pace si consolida con più forza in questa parte del mondo.
Se l’Indonesia smette di lavorare a questo, tanti osservatori dicono che senza un superstruttura del genere non ci sarà alcun secolo del Pacifico perché l’Europa ha la sua propria struttura. L’Africa ha una sua struttura. Le Americhe hanno la loro propria struttura per la cooperazione e la risoluzione delle dispute. Ma non abbiamo nulla in Asia e sarebbe la prima.
D. Le Filippine e l’Indonesia sono due giovani democrazie del sudestasiatico. Puoi fare un paragone tra le politiche dei due paesi?
R. Trovo ironico che il Presidente Aquino si sia appellato alla gente affihcé non elegesse persone dello spettacolo a presidente, ma la realtà è che qui in Indonesia come pure nelle Filippine e negli USA e nella maggior parte dei paesi, se non sei nello spettacolo non sei nella politica. Ecco perché chiamano il periodo elettorale PESTA DEMOKRASI, è una festa della democrazia per tante cose, è come una festa di carnevale.
Credo che nella discussione dei candidati, non si è detto molto sulla politica estera, non ho vista molta discussione. Anche nelle Filippine io qui la discussione sulla politica estera è quasi nulla. Ma ci sono differenze importanti. Una molto ovvia è che non ci sono omicidi politici in Indonesia anche nelle elezioni locali. Conosco una sola morte e si tratta di una caduta da un bus della campagna elettorale sovraccarico.
Parlavo all’ex ambasciatore presso le Filippine e diceva che quello che aveva ammirato le elezioni lì è il fatto che sono già automatizzate. Qui non lo sono ancora, devi ancora fisicamente perforare le schede per votare. E ci vorranno settimane per contarle tutte. Comunque provano ad indovinarle con una conta veloce che si dimostra sempre accurata.
D. Gli analisti sostengono che la politica Indonesiana è più una questione di personalità che di partiti e programmi.
R. Questa non è una gara sui problemi poiché, come molti osservatori internazionali hanno affermato, già le posizioni dei due candidati non sono lontane. E’ una gara tra due differenti personalità. Uno è un tipo umile ed avvicinabile con un tocco comune, il tipo che vorreste come amico, contro un altro tipo di forte volontà che promette di essere sul capo forte e farà le cose e sa quello che sta facendo. Quindi gli indonesiani hanno da scegliere tra questi due.
D. Che impatto avrà la nuova presidenza indonesiana sulla disputa marittima tra Filippine e Cina nel Mare cinese meridionale?
R. Dipende dalla determinazione della nuova amministrazione indonesiana quando si confronterà sul problema della continuità, sul quanto vogliano questa continuità nella loro politica estera. Possono scegliere se aderire solo formalmente a quello fatto prima, ma credo che non possano permettersi una perdita di prestigio con la conseguenza di un attivismo inferiore a quello attuale. Credo che vorranno la continuità quando si tratterà di questa questione.
Credo che non sia più il peso morale dell’Indonesia per le risposte inadeguate al comportamento cinese nella zona poiché credo che l’Indonesia stia facendo del suo meglio. Ha del sostegno dal Vietnam e dalle Filippine, ma dal resto dell’ASEAN non sta ottenendo il sostegno che si merita.
La Cina insiste nel dire di non avere dispute con l’Indonesia anche quando esiste una potenzialità a causa della Zona Economica Esclusiva attorno alle isole Natuna che si sovrappone con la mappa delle nove linee. La Cina afferma che non ci sono dispute con l’Indonesia che a sua volta è soddisfatta da questa affermazione.
D. Tu parli del possibile ruolo attivo in politica estera dell’Indonesia. Cosa vuol dire libera e attiva in questo contesto?
R. Significa una politica estera attiva che è in accordo con il principio messo giù dal padre fondatore Mahammad Hatta, secondo cui la politica estera indonesiana deve essere libera ed attiva per andare con il mandato costituzionale di contribuire alla giustizia e alla pace nel mondo. Deve essere consistente. Talvolta l’interesse nazionale non è diretto. L’interesse nazionale è nel contributo alla giustizia internazionale e alla pace poiché la filosofia è che in un mondo migliore l’Indonesia fiorirà. Quindi deve provare a fare del suo meglio per aiutare a creare un ambiente positivo, costruttivo.
D. Perché il resto del mondo dovrebbe interessarsi di questa elezione?
R. Perché il laboratorio per la democrazia è qui. Se abbiamo un esperimento di successo nella democrazia allora è qualcosa che può vedere tutto il mondo. E’ qualcosa che aiuterà gli altri paesi.
C’è un processo attivo che va avanti tra Egitto ed Indonesia, tra Tunisia e Algeria e Indonesia che è moltissimo coinvolta nella Primavera Araba perché ha offerto la propria esperienza nella democratizzazione al fine di una discussione e di una visione più profonda. Ci sono state alcune risposte positive ma naturalmente non si possono trasferire le idee letteralmente da qui al Medio Oriente a causa delle differenze culturali. Per esempio gli egiziani non riescono a capire perché gli indonesiani non arrestarono Suharto, mentre loro misero in prigione Mubarak, ma esiste un dialogo su queste cose tra Indonesia ed Egitto ed è un buon dialogo.
Non è solo il medio oriente. E’ anche ASEAN. Myanmar guarda all’Indonesia e scopre come il paese ha gestito la transizione dei loro militari ad un governo solo civile. Dirò quindi che il laboratorio della democrazia è qui, ed è qui che impareremo molto del suo funzionamento e dei suoi guasti.
D. Qual’è allora il test per la democrazia indonesiana?
R. Il test sarà sulle politiche reali poiché non si può dipendere da quello che fanno in campagna elettorale. Dipende da quello che faranno, dai ministri che sceglieranno, se avranno un buon ministro degli esteri e ce ne sono molti con carriere eccellenti tra cui scegliere.
Il test è se continuano con la loro politica estera attiva e restano nella traiettoria della cooperazione che hanno ora con le Filippine, Malesia e persino Singapore. L’Indonesia si sta adoperando.
AYE MACARAIG, TheRappler