lo scandalo mette in luce gravi lacune nella governance come la mancanza di controlli e la bullizzazione delle vittime
La Malesia è stata scossa dallo scandalo di abuso sessuale di bambini più brutto della sua storia.
Sono stati salvati oltre 500 bambini ospitati in varie case di carità gestite dal conglomerato malese GISBH, una impresa che le autorità malesi accusano di traffico umano e di praticare una forma deviante dell’Islam.
Dalle indagine mediche si è visto che più bambini provenienti da queste case hanno vissuto abusi sessuali orribili come la ripetuta sodomizzazione e il presunto incoraggiamento a fare lo stesso sugli altri bambini. Tantissimi di loro hanno vissuto l’abbandono e un genitore poligamo non sapeva dove fossero finiti 32 dei suoi 34 bambini.
Questo caso ha portato l’attenzione fortemente necessaria sugli abusi sui minori.
Le associazioni di tutela dei minori malesi da tempo chiedevano maggiore indagini sul problema. Da vari studi si sa che almeno il 25% dei minori in Malesia vive abusi fisici ed il 10% ha vissuto abusi sessuali.
C’è una duratura cultura della negazione dei problemi sociali come l’abuso di minori in particolare nella comunità maggioritaria musulmana dove i casi di abuso sono i più numerosi ed è profonda la resistenza a discutere le cause del problema.
Sono più governi ad essere colpevoli di non aver affrontato il problema dell’abuso sessuale dei minori. Sebbene la Malesia abbia una legge robusta contro questi abusi, ci sono differenze nella applicazioni e nelle pratiche che permettono la perniciosità del problema.
C’è un controllo inadeguato delle case alloggio che non hanno licenza, ci sono le ripetute coperture e pressioni sulle vittime per non denunciare gli abusi e ciò ha creato un clima in cui gli abusi accadono impunemente.
La protezione e il ricorso delle vittime sono minimi e tante vittime con le loro famiglie sono bullizzate per stare in silenzio.
Troppo spesso le autorità finiscono per vittimizzare chi denuncia l’abuso perché sono più preoccupati per l’apparenza del sistema che per la sua funzionalità.
Lo scandalo GISBH ha anche mostrato l’abuso sessuale che avviene sotto l’ombra della religione in Malesia. Come lo è globalmente, le istituzioni religiose non vogliono affrontare l’abuso sui minori all’interno delle loro comunità.
La questione è gestita dalla polizia. Dopo 41 denunce di polizia dal 2019 su GISBH e dopo che si è raggiunta la soglia di prova credibile per il processo, le autorità finalmente fanno qualcosa.
E’ stato arrestato il CEO del GISBH, Nasiruddin Mohd Ali, il quale ha inizialmente negato che siano avvenuti abusi nei loro centri, per ammettere però in seguito che ci sono stati “uno o due casi” di sodomia e per invitare ad una “discussione” con le autorità.
Dal momento che si è saputo di queste indagini, ci sono stati 170 arresti, 96 conti bancari bloccati per un valore di 124 milioni di dollari e sei persone inquisite.
Questo caso non è il primo che collega una istituzione islamica all’abuso dei minori in Malesia.
Dal 2017 ci sono stati almeno nove casi di scuole coraniche, dove si insegna la memorizzazione del Corano e i bambini vi risiedono, e insegnanti religiosi islamici coinvolti in abusi di minori.
Sebbene GISBH sia legato alla setta deviante al-Arqam, disciolta nel 1994, lo scandalo non è affatto un caso isolato.
L’abuso peggiora quando chi abusa usa la copertura della religione per perpetrare i propri crimini. In Malesia pochi capi religiosi vogliono attaccare i propri colleghi.
Il fatto stesso che il CEO del GIBSH sentiva di poter chiedere una “discussione” con le autorità la dice lunga di un senso di impunità.
Ironicamente molti di questi capi religiosi sono proprio quelli che sostengono una più forte intolleranza e controlli sociali sul comportamenti dei cittadini.
Lo scandalo mette in mostra che i capi religiosi malesi abbiano bisogno di creare regolamenti più chiari perché le proprie organizzazioni di fede aderiscano agli standard mondiali della protezione dei minori.
Grandi domande sono poste sulla burocrazia islamica malese: chi è responsabile del controllo?
L’ente più importante che gestisce gli affari islamici, il Dipartimento per lo sviluppo islamico della Malesia (JAKIM), ha negato la propria responsabilità, sostenendo che le questioni e l’applicazione delle norme non rientrano nelle sue competenze.
Eppure lo scandalo mette in luce gravi lacune nella governance: problemi di poligamia che portano all’abbandono e all’incuria dei bambini; mancanza di un’adeguata supervisione delle scuole coraniche, tahfiz; regolamenti inadeguati; scarsi controlli sui precedenti degli insegnanti/assistenti religiosi e rapporti preoccupanti sulla complicità delle autorità.
I bambini non dovrebbero essere costretti a soffrire per le carenze dell’amministrazione.
Mentre le autorità religiose malesi ricevono sempre più finanziamenti statali e poteri, lo scandalo GISBH mostra che bisogna fare di più per riformare la governance. Esiste però una forte resistenza a guardarsi dentro.
Le imprese che pretendono di seguire i principi islamici si sono moltiplicate in Malesia. L’uso di un marchio “islamico” è diventato un grande affare. Questi servizi islamici sono cresciuti in modo esponenziale, per soddisfare un mercato che si identifica sempre più con la propria fede.
GISBH ha approfittato di questa tendenza.
Poiché opera da due decenni, GISBH è diventato un conglomerato internazionale che gestisce case di carità, ristoranti, forni, farmacie, librerie e negozi al dettaglio molti diffusi in Malesia e all’estero. La compagnia che ha il quartier generale in Malesia ha 415 centri che operano in 20 paesi.
Nonostante GISBH sia stata legata ad una setta illegale, è riuscita chiaramente ad espandere i propri affari in modo privilegiato.
In questi casi, molti incolpano i “devianti” legati a una setta religiosa vietata per i crimini commessi, emarginando l’abuso piuttosto che riconoscere il crimine e i problemi correlati come più pervasivi.
Ad esempio, il partito islamista PAS (Pan-Malaysian Islamic Party) ha invitato le autorità a proteggere la rete commerciale GISBH e a non essere “troppo zelanti”.
La richiesta di cautela fatta dal PAS echeggia un disegno consistente di minimizzare gli abusi e i reati coinvolti.
E’ sorprendente che pochissimi capi politici di tutto lo spettro politico parlano in favore delle vittime. Molti sembrano avere legami con GISBH e sono presenti negli incontri nei bollettini regolari della compagnia.
I reali malesi comunque hanno chiesto un’azione veloce sugli abusi al pari di alcuni parlamentari tra cui Syerleena Abdul Rashid di Penang che ha condannato gli abusi in un video diventato virale. Anche molti della società civile si sono espressi.
L’Ordine degli Avvocati della Malesia e il G25, la rispettata organizzazione locale di funzionari governativi in pensione, hanno chiesto una Commissione reale d’inchiesta per trarre insegnamento dallo scandalo e proteggere meglio i bambini. Anche gli attivisti hanno sollevato preoccupazioni sul benessere dei bambini.
Le lezioni dalla chiesa cattolica
Si sta facendo strada l’idea di utilizzare lo scandalo GISBH come punto di svolta.
Un primo passo è quello di rendersi conto che coloro che sono coinvolti in crimini all’interno di istituzioni a marchio religioso sono una minoranza che usa la copertura della fede, e di riconoscere che i problemi non possono essere risolti solo attraverso arresti e procedimenti giudiziari.
In questo caso, la lezione degli abusi sessuali della Chiesa cattolica è rilevante.
L’abuso di minori all’interno di istituzioni causa dei danni sulla loro statura. La fiducia pubblica nella Chiesa Cattolica non è stata più la stessa. Il non volersi assumere responsabilità da parte della chiesa e e a fare per tempo le riforme importanti per decenni di abusi ha accresciuto il numero delle vittime.
Proteggere i propri piuttosto che coloro che necessitano protezione avrà conseguenze corrosive. Nei luoghi dove la chiesa era responsabile e ha fatto riforme ha riconquistato la fiducia e ha aiutato le vittime,
Il problema degli abusi sui minori deve essere discusso apertamente e con maggiore responsabilità in Malesia.
Lo scandalo del GISBH è un’opportunità per riformare la governance istituzionale islamica della Malesia e per rafforzare le tutele per le vittime di abusi.
È evidente l’urgente necessità di discutere con zelo, coraggio e costruttività i problemi che lo scandalo ha messo in luce e di trovare soluzioni olistiche.
Bridget Welsh, Benarnews