Dopo un mese dalle elezioni thailandesi del 24 marzo, la commissione elettorale ha diffuso più confusione che chiarezza, il partito riformista rischia di essere sciolto e il potente capo dell’esercito della nazione con più golpe al mondo fa la voce dura.
Ci si attende che la Commissione elettorale nominata dai militari che annuncerà i vincitori dei 150 seggi per i partiti nella camera bassa solo il 9 maggio elaborerà i numeri in favore dei partiti legati ai militari.
Ma una preoccupazione ancora maggiore ed un ulteriore pericolo per la prospettiva della democrazia thai è la minaccia di un colpo da pugilato contro il partito liberal democratico del Future Forward Party attraverso processi contro il suo capo Thanathorn Juangroongruangkit, un giovane miliardario carismatico ed il suo vice professore di legge Piyabutr Saengkanokkul.
Il loro partito ha attratto molti giovani elettori ma ha anche attirato il sostegno dei disillusi del governo militare e della divisione gialli e rossi che prende la politica thai da 15 anni.
Se fosse eliminato Future Forward Party le giù battute speranze di una rinascita democratica soffrirebbero un altro contraccolpo.
Il FFP ha vinto il 18% del voto popolare ed avrà il terzo maggior numero di seggi se le corti non lo mettono al bando proprio come hanno fatto contro gli ultimi grandi partiti allineati con Thaksin per tre volte nel 2007, 2008 e marzo di questo anno.
Thanathorn e Piyabutr sono stati accusati di minacciare la sicurezza nazionale per aver criticato pubblicamente il governo militare. I militanti promilitari li avevano accusati di non rispettare la monarchia. Il loro vero reato politico è stato di aver fatto campagna elettorale per una spesa militare inferiore, minor numero di generali e la fine della leva obbligatoria oltre alla riforma costituzionale.
Il comandante dell’esercito generale Apirat Kongsompong ha avvisato che non tollererà chi critica la democrazia in stile thailandese della giunta, anche se le elezioni di marzo hanno mostrato che metà del paese vuole una democrazia più normale.
Se il parlar duro di Apirat si trasforma in azione dura, e se la magistratura decapita il FFP, la politica thai avrà di nuovo degli ingredienti che portarono agli scontri tra manifestanti democratici e militari nel 1973, 1976, 1992 e 2010.
Non si devono dimenticare le lezioni della storia politica thailandese. Ma in un paese che raramente manca di sorprendere, sarebbe imprudente attendersi che la storia si ripete.
Il compromesso potrebbe disperdere le più nere delle nubi scure ed l teatro degli scontri potrebbero essere più i media sociali che le strade.
Anche così la prospettiva resta tetra sia per i Thailandesi che cercano stabilità sia per i democratici. L’attuale premier ed ex capo dell’esercito Prayuth Chanocha manterrà quasi certamente il proprio posto grazie ai suoi 250 senatori nominati. Ma guiderà un governo di vari partiti intrinsecamente instabile. Il suo governo si preoccuperà della politica e non di politiche di sviluppo e di applicazione. Pratyth desidererà i poteri dittatoriali che lo hanno aiutato a prevalere sin da quando ha abbattuto il governo legato a Thaksin nel 2014.
In questo nuovo ambiente s misureranno le sue capacità di guida politica e il suo umore irascibile.
I risultati elettorali hanno confermato che la società politica è ancora divisa secondo fedeltà di classe e regionali, per tensioni provincia città, per disparità di entrate e allocazione delle risorse dello stato, e dalla determinazione dei militari a proteggere gli interessi della elite. A questa lista si possono aggiungere la divisione per linee generazionali.
Da metà degli anni 2000, Thaksin alimentò e ebbe beneficio da questa polarizzazione. Indusse i poveri delle città e delle campagne a votare per lui, incitando il potere costituito a farne un martire. Ma Thaksin ha fatto la sua ultima elezione.
Dopo aver scelto l’esilio nel 2008, Thaksin disse acutamente: “Nulla mi può riportare a casa se non la gentilezza reale o il potere della gente”.
La gente non ha avuto potere a sufficienza per riportarlo indietro. Nel 2013 un tentativo del governo eletto di Yingluck Shinawatra di dargli un’amnistia provocò grandi manifestazioni antiThaksin a Bangkok e alla fine portò al golpe del 2014. Nelle ultime elezioni il partito politico principale legato a lui, Pheu Thai, non è riuscito a prendere la maggioranza assoluta che ebbe nel 2011, sebbene abbia conquistato il maggior numero dei seggi maggioritari.
In aiuto ai nemici di Thaksin, Re Vajiralongkorn non è stato gentile con lui. La dichiarazione del Re secondo cui sua sorella Principessa Ubolratana, restava un membro della famiglia reale sventò un tentativo di legarla ad un partito vicino a Thaksin. La sua supplica agli elettori di sostenere “la brava gente” fu interpretata come un attacco a Thaksin. Ed il suo decreto postelettorale che toglie a Thaksin le decorazioni legali eliminava ogni paura residua, e le speranze del capo di Thaksin, che il nuovo re potesse provare a tracciare una linea sulle rivalità di questi 15 anni perdonando Thaksin.
La caduta di Thaksin ha rubato alla Thailandia il suo capo politico moderno più amato ed odiato.
Per chi lo sostiene, Thaksin è un salvatore. Per i suoi oppositori è uno zotico. La centralità di Thaksin ha ridotto il dibattito politico al solo chi deve governare la Thalandia. Nell’ombra di Thaksin è stata cancellata una discussione di cosa significa governo migliore in Thailandia, argomento largamente dibattuto negli anni 90.
L’arrivo di FFP segna un cambiamento ben accetto. Sembra interessato in una democrazia genuinamente liberale, basata su libertà di espressione, magistratura indipendente e governo della legge, oltre alla democrazia elettorale. Si parla di più di come deve essere governato il paese, meno di chi deve governarlo.
Sia se FFP venga disciolto o meno, i thailandesi che ne sostengono l’ideologia continueranno a chiedere la riforma particolarmente attraverso i media sociali che hanno usato efficacemente nella campagna elettorale.
Apirat sembra capirlo. In una recente ramanzina contro la gente che “ha studiato democrazia all’estero e legge libri di testo di altri paesi”, ha ammesso che i media sociali sono più potenti delle armi dei militari.
Se qualche testa saggia del potere riconoscesse la forza durevole delle richieste di cambiamento democratico, si potrebbe evitare lo scontro tra le armi dei militari e quelli dei media sociali dei riformisti politici.
I Thai potrebbero allora immaginare un futuro più luminoso. Il governo potrebbe riprendersi il posto centrale nelle discussioni e la Thailandia avere il ruolo di faro della riforma democratica nella regione come lo fu negli anni 90.
L’eclissi di Thaksin e la nascita del FFP potrebbero rappresentare il risvolto positivo delle nuvole nere che si aggirano non solo sulla Thailandia ma anche su una regione dove la democratizzazione è in costante ripiegamento.
James Wise, NAR