Le imprese manifatturiere coreane che rappresentano il terzo maggiore investitore lasciano Filippine per andare in Vietnam ed altre destinazione nella regione a causa dei costi minori, della corruzione e per la forte sindacalizzazione dei lavoratori filippini.
I numeri crescenti delle partenze delle imprese manifatturiere coreane non sono solo un colpo umano ad i lavoratori, ma anche un contraccolpo per l’immagine difficile da acquisire come la destinazione di investimento del Sud Est Asiatico, accelerata da investimento estero diretto in salute ed un tasso crescente del PIL.
I dati scioccanti della Banca Centrale Filippina mostrano, nei primi sei mesi del 2017, un declino del 90% di nuovi investimenti diretti e in collocamento di capitale estero (escluso il reinvestimento) da 1.45 miliardi di dollari a 141 milioni di dollari anno su anno.
L’investimento estero diretto complessivo, compreso capitale estero netto, reinvestimento dei guadagni e strumenti di debito netti hanno visto un decremento del 14% nello stesso periodo. I primi sei mesi del 2017 hanno visto una entrata di 3.6 miliardi di dollari contro un salutare 4.2 miliardi fatti nello stesso periodo dello scorso anno.
Gli effetti che si giocano nelle Filippine non possono essere meglio esemplificate che dal quarantenne Menchu Pinangay che ha lavorato per sei anni come operatore di macchina alla Faremo International INC, manifattura di abbigliamento a sud di Manila e di proprietà coreana della Hansoll Textile.
Fino ad ottobre 2016 i lavoratori di Faremo passavano otto ore al giorno a cucire a macchina vestiti alla moda, venduti da una marca americana a prezzi che la loro paga giornaliera non poteva permettersi. La fabbrica operava una decina di linea di cucito per GAP, JCPenney e Khol.
Un anno fa Pinagay apprese dal suo gestore che l’intera fabbrica stava per chiudere. Chi gestiva la fabbrica insisteva nel dire che la chiusura faceva parte di una decisione strategica che ha colpito 800 lavoratori filippini regolari ed qualche altra centinaia di lavoratori occasionali.
Un lavoratore assunto alla Faremo ha un salario di 6.30 dollari al giorno secondo Jessel Autida presidente dei sindacati.
I sindacati chiedono regolarmente aumenti salariali nella paga minima nel comitato regionale, mentre altri gruppi radicali escono dal sistema di chiedere al comitato preferendo domandare attraverso compagne di sensibilizzazione a favore di una paga minima nazionale.
Dopo le ore di lavoro molti lavoratori delle fabbriche continuano a lavorare nei negozi di confezione per aiutar le proprie entrate, cucendo a cottimo la sera per i negozietti locali.
I sindacati hanno dovuto affidarsi a questi negozietti dopo la chiusura di Faremo. I lavoratori ricevettero anche le macchine da cucire come parte del progetto di sostentamento oltre la paga legata al licenziamento.
I negoziati dei sindacati verso un accordo collettivo che stipula paga e condizione di lavoro nelle Filippine sono fatte su impresa per impresa, invece di essere estesi a livello di industria.
Allo stesso modo di altre imprese manifatturiere coreane nelle Filippine dello scorso anno, Hansoll ha detto che intendeva trasferire le operazioni manifatturiere esistenti in Vietnam. In vari documenti pubblici Hansoll ha fatto sapere che la chiusura di Faremo era stata fatta per pure ragioni di affari.
Uno dei clienti di Hansol, GAP Inc, diceva “di aver accresciuto i suoi ordini presso Hansol dal 2015 al 2016”. Questa ammissione ha attirato il sospetto che la chiusura era dovuta ad altre ragioni che non a questioni di affari. GAP chiarificò che “Hansol ha mostrato con chiara prova che la sua decisione dipendeva dalla loro strategia di affari globale”.
“Hansoll prese la decisione di chiudere la sua struttura filippina, Faremo International, per ottobre 2016. Questa informazione GAP l’ha ricevuta a settembre ed in quel periodo applicammo il protocollo di chiusura dell’impresa per assicurarsi che tutti gli aspetti della chiusura erano secondo la legge e le politiche del GAP” ha spiegato la compagnia americana.
“Crediamo che la ragione per la riduzione degli ordini sia dovuta alle difficoltà della manifattura come i costi a paragone di quelli in Vietnam e Cambogia.” ha fatto sapere Faremo Int in uno scambio confidenziale di email con Asiasentinel.
Il sindacalista di lungo corso Leody de Guzman del BMP ha detto che questa è stata sempre la tendenza, citando un andamento simile della Smart Electronics che annovera la Samsung tra i clienti, per licenziare i lavoratori filippini a causa della corruzione del governo delle Filippine, favorendo invece l’espansione in Vietnam. Ha detto che tra i tanti licenziati ci sono membri del BMP.
Il presidente della Camera di Commercio Coreana nelle Filippine, Ho Ik Lee, ha di fatti riconosciuto ai media locali che il costo degli affari includendo la logistica è troppo alto.
“E’ superiore quasi tre volte a quello del Vietnam. L’altissimo costo sta uccidendo la manifattura e questa è la ragione perché le imprese coreane se ne vanno in Vietnam.”
I costi della manifattura includono le materie prime, il costo del lavoro ed altri costi indiretti o generali legati ai precedenti tra i quali ci sono il costo di movimentazione e di energia elettrica. Inoltre la gestione della catena di rifornimento è ostacolata dai gravi problemi di traffico causata dalle cattive infrastrutture e gestione delle strade.
Nell’indagine di prospettiva degli affari del ASEAN del 2018 il Vietnam è la destinazione preferita del blocco economico per le imprese americane. Le Filippine sono al quinto posto dopo Birmania, Indonesia e Thailandia.
Il Vietnam è al secondo posto nel ASEAN in termini di migliorato ambiente di investimento ed il 54% dei dirigenti di affari americani intervistati ha riportato un positivo miglioramento.
Nel frattempo, le Filippine avevano la prospettiva di profitto più positiva con 85% dei dirigenti intervistati che si attendono profitti maggiori per il 2018. E’ seguita a breve distanza dal Vietnam con 84% di dirigenti che si attendono incrementi nei profitti.
A gennaio la camera di commercio coreana nelle Filippine aveva fatto una dichiarazione forte di disappunto per il rapimento e la morte dell’uomo di affari coreano Jee Ick-joo nel quartier generale della polizia nel mezzo della famigerata guerra alla droga di Duterte mentre domandava sforzi doppi al governo per dare la sicurezza ai coreani nel paese.
“Abbiamo condannato con forza ogni tipo di violenza e trattamento ingiusto non solo per gli uomini di affari coreani ma anche per 120 mila coreani che risiedono nelle Filippine… In Corea del Sud proteggiamo con forza il benessere ed il rispetto dei 50 mila lavoratori filippini” si leggeva nella dichiarazione. Le Filippine contano la più grande comunità di sudcoreani nella regione.
Il presidente Duterte aveva lanciato divenendo presidente una deprecata campagna contro la droga. Le sue dichiarazioni passateche chiedevano alla polizia di essere più aggressiva nelle operazioni contro la droga sono criticate per aver accresciuto la brutalità della polizia e l’eccessivo uso della forza.
Sebbene civili come Jee siano stati tra le vittime della violenza e dell’abuso poliziesco, si deve ancora registrare un impatto concreto direttamente correlato alle questioni di sicurezza create dalla continua dalla continua guerra alla droga sulla fiducia degli investitori. Ma le dichiarazioni passate da gruppi esteri di investitori hanno espresso preoccupazioni sulle condizioni dei diritti umani nel paese.
Il sindacalista Rene Magtubo of Partido Manggagawa è sospettoso delle imprese coreane che chiudono per evitare la sindacalizzazione. Magtubo ha citato il caso della impresa coreana Sein Together Phils. Inc. che ha chiuso temporaneamente a settembre. Ha detto che la fabbrica tessile ha riaperto lo scorso ottobre dopo aver licenziato 400 lavoratori.
L’appartenenza ad un sindacato nelle Filippine è difficile da ingoiare. Le ultime cifre sulla proporzione di operai sindacalizzati rispetto al totale dei lavoratori in imprese con oltre 20 lavoratori dal 1995 al 2014 è scesa dal 30,5% al 7.7%. L’articolo 298 del codice del lavoro considera la chiusura di uno stabilimento come una prerogativa della gestione, la chiusura come anche la ricollocazione delle operazioni di produzione all’estero per evitare un sindacato è una pratica ingiusta.
“L’impresa potrebbe essere passibile sia civilmente ma anche penalmente” dice Jose Sonny Matula avvocato della Federation of Free Workers (FFW).
Matula dice che imprese che si spostano per evitar questioni sindacali rischiano di vedersi applicate le linee guida della Organizzazione per la Cooperazione Economica e Sviluppo, OECD, sulla libertà di associazione ma solo se l’impresa è in uno stato della OECD.
La FFW in passato ha avuto importanti vittorie legali alla corte Suprema proprio secondo le linee guida della OECD che seguono la Convenzione Internazionale del Lavoro del 1987 o la convenzione del 1948 sulla libertà di associazione e protezione di diritti.
Matula dice che al momento non ci sono meccanismi preventivi per assicurare che ci siano imprese che scappano tra gli investitori che lasciano le Filippine. Per aumentare i costi di uscita potrebbero andare bene aggiungere alle richieste di chiusura “qualche specie di cauzione per rispondere alle responsabilità”.
Ma le affermazioni precedenti del presidente Lee sul sentimento generale dei membri della sua associazione sui costi e le difficolta per le imprese nelle Filippine rivelano problemi sia a livello di impresa che di stato.
Non ci sono oneri per le imprese straniere per continuare ad operare nelle Filippine finché si rispettino i minimi requisiti fissati dalla legge per le chiusure volontarie. Queste includono le indennità di licenziamento e avvisi preventivi presso il dipartimento del lavoro. Le indennità di licenziamento sono tolte se l’impresa chiude per bancarotta.
C’è comunque un onere da parte del governo ad attrarre e mantenere gli investitori in modo che i cittadini in età di lavoro possano avere lavori che permettano loro di vivere decentemente.
Il governo resta della propria idea secondo cui la strategia dell’amministrazione sta dando frutti.
In una dichiarazione il portavoce presidenziale Abella indicava segni di miglioramento come la crescita del 6.4 del PIL e del 57% di guadagno di lavoro nella prima metà del 2017, la crescita della borsa filippina ai massimi storici il 12 ottobre, la crescita del 9.3% delle esportazioni ad agosto fino a 5,5 miliardi di dollari e la posizione globale del paese della World Bank come uno dei dieci paesi a più rapida crescita.
Queste cifre sembrano assicuranti per come le ha dette Abella. Ma chi rimane senza lavoro perché i lavori nella manifattura vanno dalle Filippine in Vietnam sembra passare inosservato. Vivono di paghe saltuarie. Le scelte sono limitate e il futuro per quanto non necessariamente grigio è troppo lontano per poter pianificare. La loro attenzione è come pagarsi il prossimo pasto.
Se non giungono fino ai filippini come loro le grandi cifre macroeconomiche, resta ancora da fare tanto.
Buena Bernal, Asiasentinel