Le misere condizioni dei lavoratori dell’emigrazione in Thailandia

Le misere condizioni dei lavoratori dell’emigrazione sono meglio illustrate da due casi recenti che hanno conquistato i titoli di testa dei giornali nel mondo.

Due uomini birmani appariranno in tribunale per l’omicidio brutale di due turisti inglesi sull’isola turistica di Koh Tao.

In molti sono a credere che gli accusati siano innocenti, e sono scoppiate varie preoccupazioni sulle indagini poliziesche con accuse di tortura da parte della polizia per forze la confessione dei due uomini, i quali successivamente hanno ritrattato quanto loro estorto.

Nel frattempo il militante inglese Andy Hall si trova di fronte ad un’azione legale lunga dopo aver denunciato gli abusi del lavoro nell’agroindustria thailandese. Hall fece un rapporto di ricerca, pubblicato poi da una ONG finlandese, che illustrava casi di traffico umano, lavoro minorile, straordinari obbligatori e violenza contro i lavoratori della Natural Fruit Company.

La compagnia ha denunciato per diffamazione il militante inglese. Benché un tribunale di Bangkok abbia lasciato cadere la prima di quattro accuse contro di lui per questioni tecniche, Andy Hall rischia fino a sette anni di carcere e potrebbe essere costretto a pagare milioni di dollari di danno se colpevole delle altre accuse.

cultura dello sfruttamento

Phil Robertson, vice direttore di Human Rights Now in Asia, ha accusato “questa disinvoltura della elite industriale Thailandese che querela chi difende i diritti dei lavoratori.” aggiungendo poi: “In realtà non si doveva prendere in considerazione nessuno di questi casi da parte della magistratura e il governo thai dovrebbe essere condannato per lo spreco di tasse pubbliche per questa sua difesa di una impresa che viola i diritti dei lavoratori.”

Ci sono da due a tre milioni di lavoratori dell’emigrazione in Thailandia provenienti dai paesi confinanti, per lo più privi di documenti ed in maggioranza birmani, secondo le statistiche dell’ILO. Molti sono scappati a causa dei conflitti etnici, dell’oppressione e della povertà nei loro paesi di origine.

I lavoratori dell’emigrazione costituiscono il 10% della forza lavoro del paese in molti settori come le costruzioni, l’agricoltura, la pesca e i lavoro domestico. Nel settore del trattamento dei frutti di mare rappresentano il 90% della fora lavoro totale.

Nonostante questo contributo importante che danno all’economia della Thailandia, i lavoratori dell’emigrazione sono troppo spesso sfruttati, hanno paghe basse e vivono condizioni di lavoro tremende. Spesso si trovano a lavorare attraverso mediatori illegali e devono ripagare quegli stessi mediatori del “debito”, venendosi così a trovare in una condizione di lavoro costretto.

In tanti guadagnano meno della paga sindacale giornaliera di 9 dollari al giorno e sono costretti a lavorare molto di più delle otto ore al giorno. Di rado hanno una giornata libera a settimana che dovrebbe spettare loro e sono fortunati se ne hanno una in un mese, secondo i militanti del sindacato.

Il lavoro nelle costruzioni o sui pescherecci possono essere sporchi pericolosi e stancanti, e i lavoratori dell’emigrazione si trovano alla mercé di datori di lavoro violenti. Sono comuni le minacce e le intimidazioni, mentre sono stati più volte denunciati casi di stupri e omicidio. Nell’industria della pesca, dove tanti lavoratori dell’emigrazione sono venduti letteralmente dai mediatori, l’omicidio sembra essere oscenamente comune. Secondo un’indagine dell’ONU del 2009, quasi il 60% di ragazzi e lavoratori cambogiani, che lavoravano sui pescherecci, sono stati testimoni di un omicidio da parte del comandante dell’imbarcazione.

IL dipartimento di stato USA quest’anno ha degradato la posizione della Thailandia al livello più basso nel suo rapporto annuale. “Birmani, cambogiani e thai sono soggetti a lavoro forzato sulle imbarcazioni che viaggiano nei mari del Sudestasiatico ed oltre; alcuni restano in mare per vari anni, con paghe irrisorie e devono lavorare fino a 20 ore al giorno per non esser minacciati e picchiati”.

La giunta thai, bizzarramente, ha detto che avrebbe incoraggiato i prigionieri a lavorare sui pescherecci, proposta definita pericolosamente irresponsabile da Human Rights Watch.

La polizia raramente prende in seria considerazione le denunce dei lavoratori dell’emigrazione, e datori di lavoro e autorità restringono spesso la libertà di movimento dei lavoratori, vietando loro l’uso di motociclette o di telefonini. Dopo la morte di due turisti a Koh Tao a settembre, il governo provinciale ha detto che avrebbero imposto il coprifuoco sugli emigrati alle dieci di sera.

Andy Hall è coinvolto da vicino nella difesa della coppia di lavoratori birmani accusati di omicidio. Ha etto che il coprifuoco era solo a parole e non era stato applicato, ma alcuni ufficiali usavano questa diceria per estorcere soldi agli emigrati.

Agli inizi delle indagini la polizia si attardò sulla comunità emigrata dell’isola nonostante le forti dicerie che una persona del luogo ben messa in connessioni fosse coinvolta nell’omicidio. Un ufficiale anziano in una sua intervista alla BBC metteva in mostra un grande pregiudizio tipico della Thailandia secondo cui nessun thailandese avrebbe potuto fare una cosa del genere.

Gli emigranti in tutto il paese vivono nella paura costante delle estorsioni da parte della polizia che li arresta chiedendo loro una somma per il rilascio pari al loro salario mensile.

“HRW ha più volte documentato i casi numerosi di violenze della polizia e di abuso dei lavoratori dell’emigrazione dei paesi vicini, ed ha scoperto che la polizia gode di effettiva impunità dal momento che nessun comandante ha fatto qualcosa contro i propri subordinati in tal senso.” ha detto Phil Robertson.

“In un nostro rapporto del 2010 facemmo delle raccomandazioni al governo di istituire una commissione che abbia il potere di ricevere e indagare sulle denunce contro gli emigrati, poiché scoprimmo che era virtualmente impossibile per loro ricevere giustizia dall’autorità locale o dalla polizia. Nn accadeva in una parte del paese ma era sistemica in tutta la Thailandia. Infatti i birmani e cambogiani che lamentavano il trattamento a livello locale da parte della polizia o dei datori di lavoro andavano incontro a sicura e veloce vendetta”.

I lavoratori hanno pochissime protezioni legali. I lavoratori emigrati legali possono partecipare al sindacato sebbene non possano formarne di proprie. Secondo Andy Hall sono qualche centinaia i lavoratori stranieri sindacalizzati.

Il governo militare ha fatto poco per calmare le paure dei lavoratori emigrati e dei militanti dei diritti. Le settimane successive al golpe videro un esodo di lavoratori cambogiani dopo tante dicerie di una repressione imminente, quando un portavoce della giunta disse che i lavoratori emigrati erano una minaccia e rischiavano l’arresto e la deportazione. Furono oltre 246 mila i lavoratori che passarono la frontiera in solo 18 giorni.

A settembre il governo militare ha anche detto che avrebbe tagliato i fondi per l’istruzione per i figli degli emigrati che in molti casi sono detenuti in squallidi luoghi di detenzione.

Nella lunga lista del governo della giunta il miglioramento delle condizioni dei lavoratori dell’emigrazione si trova forse al fondo, sebbene abbia provato a migliorare il processo di registrazione per gli emigranti clandestini. Per la grande maggioranza la vita è dura e continuerà ad esserlo, sebbene in tanti sentano che non hanno poi altra scelta.

Nella città settentrionale di Chiang Mai, dove esiste una grande comunità dell’emigrazione, dicono che quando vengono portati alla frontiera dalla polizia spesso ritornano prima della polizia.

Mark Fenn, TheDiplomat

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