Lettera aperta ai buddisti birmani sulla crisi Rohingya

Un gruppo di scrittori, pensatori e difensori dei diritti umani buddisti, molti dei quali vivono all’estero, hanno scritto una lettera aperta ai buddisti birmani sulla crisi Rohingya.

Le proteste che sconvolsero la Birmania nel 1988, nelle quali Aung San Suu Kyi divenne un’icona del movimento democratico, videro monaci buddisti sostenere il movimento studentesco.

Le proteste furono represse con la violenza dai militari che uccisero 3000 persone, mentre Aung San Suu Kyi passò quindici di ventuno anni agli arresti domiciliari. Quegli eventi importantissimi hanno un significato oggi mentre i militari birmani portano avanti quello che l’ONU e gli USA hanno definito una campagna di pulizia etnica contro i Rohingya musulmani nello stato Rakhine.

Allora i monaci buddisti si alzarono in piedi per la libertà, Quando i generali si mossero ad espellere con la violenza i Rohingya dal Settentrione dello stato Rakhine, Aung San Suu Kyi stette ferma, non volente o incapace di fermarli.

Il risultato è stato un disastro umanitario e di diritti umani. Oltre 700 mila Rohingya si trovano ora nei campi nel vicino Bangladesh. I nazionalisti buddisti portano alcune responsabilità per questo tragico stato delle cose in cui i Rohingya sono da sempre trattati come estranei e perseguitati.

Ora un gruppo di scrittori, pensatori e difensori dei diritti umani buddisti, molti dei quali vivono all’estero, hanno scritto una lettera aperta ai buddisti birmani sulla crisi Rohingya.

Dicono che sono rimasti “scioccati di vedere così tanti buddisti militanti, monaci e anziani rispettati delle loro comunità che un tempo ammiravamo come voci di giustizia dentro la Birmania, ora sono silenziose oppure difendono le azioni di militari contro cui un tempo si battevano con veemenza”

Gli scriventi insistono che i buddisti devono essere vocali sulle ingiustizie contro i Rohingya, per quanto possa essere doloroso.

“Come tanti in tutto il mondo, siamo rimasti inorriditi dalle notizie di diffuse atrocità commesse dalle forze di sicurezza birmane” dice la lettera. “Queste hanno incluso stupri di massa, incendi, scomparse forzate ed omicidi extragiudiziali tra i quali ci sono gli omicidi sadici e la tortura di giovani bambini ed infanti Rohingya”.

Questi crimini sono antitetici al Buddismo “una religiosa basata sul desiderio di porre fine alle sofferenze” scrivono. Il loro messaggio merita di essere ascoltato in Myanmar, come è conosciuta ora la Birmania.

Si devono fare tanti sforzi per inquisire le persone responsabili di questa catastrofe.

Il capo della maggioranza del senato americano Mitch McConnell deve permettere alla camera di prendere in esame la legge proposta dai senatori John McCain, Benjamin Cardin ed altri che impone altre sanzioni sul personale militare che hanno preso parte alla pulizia etnica.

McConnell ha detto alcuni mesi fa che aveva provato che una “critica non fondata” di Aung Sn Suu Kyi non sarebbe stata di alcun aiuto e, dopo aver parlato con lei, si persuase che lavorava per la pace.

Ma la situazione si sta deteriorando. La Birmania sta distruggendo i villaggi Rohingya abbandonando la popolazione nel Bangladesh.

La prossima stagione delle piogge minaccia i Rohingya dispersi con una miseria ancora peggiore nei campi profughi.

Ci si deve chiedere che cosa hanno fatto chiunque era interessato: cosa hai fatto quando ti sei trovato di fronte agli orrori delle pulizie etniche del 2018?

Troppe persone voltano lo sguardo dall’altra parte.

Editoriale del WP

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