Madre Indonesia o la mancata accusa di blasfemia contro Sukmawati Sukarnoputri

Il 30 marzo la terza figlia del padre dell’indipendenza indonesiana Sukarno, Sukmawati Sukarnoputri, recitò in pubblico una poesia dal titolo Madre Indonesia, Ibu Indonesia, che dice:

“Non conosco la sharia islamica. So che il sari konde di Madre Indonesia ( una parrucca femminile tradizionale giavanese) è bellissimo. Più bello del vostro niqab … Non conosco la sharia. Quello che so è che il suono della ballata Madre Indonesia è bellissimo. Più soave del vostro Adzan (la chiamata alla preghiera)”

Sukmawati in risposta fu criticata da figure islamiche che includono Felix Siauw e Novel Bamukmin del Fronte dei difensori islamici di Giacarta.

Più importante la polizia ricevette otto denunce formali secondo cui la poesia di Sukmawati era un insulto contro l’Islam.

Queste denunce sono giunte da tipi legati alla 212 Alumni Brotherhood, al ramo di Giava Orientale del Nahdlatul Ulama, del Forum contro la diffamazione della religione, FAPA. Sia FAPA che 212 Alumni Brotherhood furono gli organizzatori del processo e condanna del governatore di Giacarta Basuki Tjahaja Purnama (Ahok) per blasfemia.

Le parole di Sukmawati, secondo le denunce, erano blasfeme di per sé, contrarie all’articolo 156a del codice penale indonesiano e costituivano un incitamento all’odio, contrario all’articolo 16 della legge 40 del 2008 sull’eradicazione della discriminazione razziale ed etnica.

Si è discusso se non avrà anche a Sukmawati lo stesso destino dell’ex governatore di Giacarta, Ahok, che sconta una sentenza due anni di carcere.

Mentre la condanna di Ahok fu il primo caso di condanna per blasfemia di un rappresentante pubblico, fu comunque un’anomalia. Sin dalla caduta di Suharto nel 1998, i tribunali indonesiani hanno emesso 89 condanne di blasfemia, rendendo prioritarie le sensibilità religiose sulla libertà di espressione e di religione, senza tener conto che quest’ultima è chiaramente garantita dalla costituzione indonesiana del 1945.

Il fatto che il caso di Sukmawati abbia già preso una piega differente, che il caso di Ahok di contro rafforza, lo rende un punto importante di indagine.

Sukmawati è anche sorella di Megawati che presiede il PDIP, allineato con il presidente Joko Widodo. Prendere di mira Sukmawati significa dare un punto di partenza per l’intento degli islamici di minare il pluralista e laico Joko Widodo.

Come ha notato Tim Lindsey, poiché le elezioni presidenziali del 2019 saranno esacerbate dal nazionalismo e dal ruolo dell’Islam e della razza, far accusare Sukmawati o per blasfemia o per incitamento all’odio, “è implicitamente un attacco contro Megawati, il suo partito e Joko Widodo”.

Questo ricorda le tattiche analoghe usate dagli islamisti che cercavano di far cadere Ahok quasi un anno fa. Per tutta quella controversia, Lindsey riconobbe la valenza politica nazionale del caso Ahok, notando che Ahok alleato di Jokowi diede ai radicali e conservatori islamici un punto di appoggio simile per minare il presidente.

In contrasto al caso di Ahok, forse Sukmawati potrebbe non andare sotto processo, come fu per Ahok. Inoltre tale paragone rivela qualcosa sulla tensione tra razza, religione e politica nell’Indonesia contemporanea.

Le scuse di Sukmawati per Madre Indonesia

Cinque giorni dopo aver recitato la poesia, Sukmawati ha promosso una conferenza stampa dove ha detto di non aver avuto intenzione con la sua poesia di offendere la popolazione musulmana. Ha espresso l’orgoglio e la gratitudine, sia come musulmana che come figlia di Sukarno, il quale fu egli stesso una figura rispettata di Muhammadiyah e destinatario di una laurea onoraria della Nahdlatul Ulama, come Sukmawati ha ricordato ai media.

Sukmawati ha spiegato che la poesia fu pubblicata nel 2006 in una collezione intitolata Madre Indonesia.

Ha anche chiarito che la poesia rifletteva “la sua visione artistica e culturale e costituisce un solo un lavoro di letteratura indonesiana”

Sukmawati ha ripetuto di non aver avuto alcuna intenzione di insultare la popolazione musulmana dell’Indonesia. Nel trattenere le lacrime, ha chiesto scusa a tutti i musulmani indonesiani “dal profondo del mio cuore” per tutto il dolore causato.

I tribunali comunque non ritengono che siano una difesa legale sufficiente sia il fatto che le affermazioni blasfeme siano state pubblicate in precedenza sia che siano un lavoro letterario.

Nel caso di Ahok il fatto che la sua affermazione parafrasasse una parte della sua autobiografia del 2008, che non aveva causato alcuna offesa chiara fino ad allora, fu ritenuta immateriale per il tribunale.

In modo simile nel 1968, un tribunale non si fece convincere dal fatto che una chiara storia breve blasfema fosse un pezzo di letteratura. Pubblicata nella rivista letteraria Sastra col titolo Langit Makin Mendung (I nuvoloni di pioggia oscurano il cielo), la storia descriveva dio che portava gli occhiali, il Profeta Maometto scocciato della vita in paradiso e l’Arcangelo Gabriele che invecchiava con i capelli bianchi, tutto nel mezzo della corruzione morale della popolazione musulmana sotto il regime del presidente Sukarno.

In quel caso l’editore di Sastra fu condannato ad un anno di carcere dopo essersi rifiutato di dire il nome reale dell’autore Ki Panjikusmin.

Mentre in precedenza i tribunali non furono smossi da questi argomenti difensivi, può essere che le schiette scuse di Sukmawati siano una tra le tante ragioni per cui il caso non è finito in tribunale.

Ahok, contrariamente a Sukmawati, ha difeso con forza le sue dichiarazioni. Piuttosto che fornire un sentimento simile a quello della figlia di Sukarno, Ahok insisté nel dire che le sue affermazioni non erano state blasfeme, ma erano state fatte in opposizione ai “razzisti codardi”, incontrati nella sua carriera politica, che si erano appropriati indebitamente del verso del Corano per incoraggiare i musulmani a non votarlo per la sua fede cristiana. Erano questi “razzisti codardi” ad essere i veri blasfemi, disse Ahok.

Ahok si scusò solo il 10 ottobre, dopo che il corpo supremo islamico MUI, Majelis Ulama Indonesia, di Giacarta emise nei suoi confronti un rimprovero solenne, Surat Teguran.

Dopo che Ahok chiarì di non aver mai voluto offendere, il MUI emise un’opinione e posizione religiosa che dichiarava proibita la dichiarazione di Ahok.

Tre giorni dopo iniziò la prima delle dimostrazioni in difesa dell’Islam a Giacarta.

Il fatto che nel caso di Sukmawati non abbia emesso alcuna fatwa fa capire come si risolverà la questione.

La Fatwa del MUI

Il giorno dopo la conferenza stampa di Sukmawati, il MUI ne tenne una sua propria in cui il presidente del MUI Ma’ruf Amin disse che perpetuare la controversia sui commenti di Sukmawaa avrebbe portato solo al disordine sociale. Poiché Sukmawati aveva già chiesto scusa mostrando chiaramente di aver capito l’errore, Amin implorò la polizia di fermare le indagini e chi pensa di a proteste contro Sukmawati di non farne nulla.

Mentre è chiaramente logico, Ma’ruf ha dato una logica differente al processo di Ahok. Lì Ma’ruf disse ai giudici che MUI aveva emesso la fatwa in risposta alle accuse di Ahok, perché la società lo chiedeva. Disse anche che le fatwa del MUI erano dirette alla polizia prevenire la discordia sociale e il vigilantismo.

MUI sa molto bene che i suoi editti hanno l’effetto opposto. Infatti se una fatwa fosse intesa per instillare calma nella popolazione musulmana, perché nel 2016 l’emissione della sua dichiarazione religiosa precedette le dimostrazioni di massa mai viste prima in Indonesia?

In modo simile, se gli editti sono mirati a mantenere l’ordine, perché Ma’ruf e MUI si accontentano di affrontare la controversia di Sukmawati con una conferenza stampa e non con una fatwa?

La lezione del caso di Ahok, e tanti altri casi precedenti di blasfemia, è che, senza una fatwa a sostenere la loro causa, gli sforzi degli islamisti per minare il PDIP e la sua campagna per rieleggere Jokowi mancheranno di autorità religiosa e di legittimazione, finendo perciò probabilmente nel nulla.

Infatti la natura persuasiva e di legittimazione di un editto del MUI nell’Indonesia contemporanea è tale che sia l’incriminazione che il giudizio di Ahok citavano l’editto del MUI come autorità di sostegno, indipendentemente dal fatto che non sia fonte di giurisprudenza positiva in Indonesia.

E’ legittimo dire perciò che la decisione del MUI di non emettere una fatwa di condanna per Sukmawati riflette il modo in cui si concluderà il caso.

Ma perché il MUI non vuole che Sukwama condivida il destino di Ahok?

Le elite politiche

La chiara magnanimità mostrata verso la poetessa, rispetto al trattamento di Ahok, ha spinto alcuni accusatori di Sukwama a domandasi delle ragioni del MUI, e Bamukmi del FPI sostiene che il MUI collabora col governo e protegge Sukmawati per proteggere il padre Sukarno. Ma mentre un regolamento di Yudhoyono del 2014 dichiarava che MUI era un partner del governo nelle questioni della vita islamica, questo non ha impedito che il MUI giocasse un ruolo importante nella cacciata di Ahok.

Una domanda fondamentale che le proteste del 2016 hanno fatto nascere fu se il caso di Ahok fosse un caso unico.

Era dovuto ad una combinazione unica di circostanze politiche attorno alla sua condanna, o le mobilitazioni prospettano una crescita più profonda e duratura nel suo potere politico del populismo islamico?

Vedi Haziz, in un articolo su New Mandala di ottobre 2017, ha detto: Quello che forse vediamo ora in Indonesia è una fase più nuova dentro cui il conflitto politico si affida sempre più all’impiego di variazioni differenti e combinazioni di forme nazionaliste e religiose di populismo, e dove il liberalismo politico e la critica di sinistra sono di fatto messi da parte come lo furono nel Nuovo Ordine autoritario.

Mentre Hadiz può aver ragione, il caso di Sukmawati potrebbe essere la prova per la tesi che l’incriminazione di Ahok fu un caso sui generis, almeno nella misura in cui la scala di quella persecuzione era senza precedenti.

In questo caso aver mostrato umiltà, insieme ad un pedigree nazionalista ed una linea tracciabile al potere indonesiano sembra aver dato a Sukmawati una protezione sufficiente dal populismo religioso.

Ahok sarà anche rimasto dichiaratamente e similmente fedele al nazionalismo pluralista, ma la mancanza di legami familiari con l’oligarchia indonesiana ha significato che il suo stato di minoranza duale, di etnico cinese e cristiano, ha reso la situazione insormontabile.

Daniel Peterson, New Mandala

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