Quanto si è detto più volte sull’Indonesia sulla distruzione delle sue foreste vergini per l’estrazione del legname pregiato e sull’espansione continua dell’olio di palma usato come olio da cucina ed essenzialmente come biocarburante, è sempre valido anche per il Sarawak e per tutte le nazioni che si liberano del proprio patrimonio naturale per far posto a produzioni di biocarburanti.
Si è spesso analizzata la situazione indonesiana, Borneo e Sumatra, ma la situazione in Malesia è anche peggiore stando almeno a due studi recenti fatti da Wetland International e SarVision.
Usando le indagini satellitari insieme a Google Earth ed a indagini sul campo, sono giunti alla conclusione che la foresta vergine del Sarawak è destinata a scomparire per la fine di questo decennio se non si porrà un freno ed uno stop non solo da parte malese, ma anche da parte dell’Europa.
Infatti sono anche gli obiettivi posti dall’Europa sulla quantità di biocombustibile ad aver attizzato, benché in modo involontario, la corsa ai biodiesel. Sembrerebbe che se la produzione dei biocarburanti avviene su terreni torbosi, la produzione di CO2 cioè del gas serra sarebbe anche maggiore rispetto all’uso dei combstibili fossili. E tante di queste stime sono sia difficili da fare che anche molto interessate. Di seguito un articolo di Asia Sentinel sul rapporto delle due organizzazioni.
Il saccheggio delle foreste pluviali del Sarawak. Asia Sentinel
Un’organizzazione ambientalista olandese, Wetlands International, ha lanciato l’allarme secondo cui la Malesia sta distruggendo la sua foresta pluviale tropicale ad un ritmo tre volte più veloce di tutte le nazioni asiatiche messe assieme, particolarmente nella zona di Sarawak, nell’isola del Borneo, con la conseguenza che “l’espansione delle coltivazioni di palma per olio possono portare alla perdita completa di queste vaste ed uniche foreste per la fine di questo decennio.”
Il primo ministro di Sarawak, Abdul Taib, è diventato l’oggetto di critiche internazionali con l’accusa di aver svenduto vaste zone dello stato ai commercianti di legname internazionali per arricchire la propria famiglia che interessi miliardari in Canada, Stati Uniti, Australia e Regno Unito come anche in tante compagnie malesi, secondo quanto denunciato da Sarawak Report, una ONG inglese.
La Malesia è stata in gran parte salvata dalla critica delle organizzazioni internazionali che si sono concentrate per lo più sull’Indonesia. Comunque secondo il rapporto “Le cifre ufficiali del governo affermano che solo dall’8 al 13% delle piantagioni di palma da olio malesi sono localizzate su suoli ricchi di carbonio torboso, 20% del Sarawak.” Due studi condotti da Wetlands e Sarvision, istituto di indagini via satellite, mostrano che una parte in rapida crescita delle piantagioni malesi è prodotta su terre torbose, portando alla deforestazione e degradazione dei terreni organici. Per completare il quadro le due indagini hanno sfruttano sia le indagini via satellite sia lo studio dei dati esistenti sia le indagini sul campo
I nuovi studi concludono che il 20% di tutto l’olio da palma prodotto in Malesia si produce su terreni torbosi drenati, di cui il 44% su terre drenate torbose nel Sarawak. “Per le piantagioni stabilite di recente la percentuale di terreni paludosi torbieri drenati è persino maggiore.” La Malesia è responsabile per il 45% della produzione globale di olio di palma e le nuove piantagioni sono tutte situate nello stato del Sarawak dove fino a tempi recenti le terre torbose erano coperte da una foresta pluviale folta e ricca di biodiversità.
“Tra il 2005 e il 2010 quasi 353 mila ettari su un milione di ettari di foresta sono stati diradati ad alta velocità essenzialmente per la produzione di olio di palma.” denuncia il rapporto “Nel volgere di soli 5 anni di tempo, quasi il 10% di tutte le foreste del Sarawak e il 33% delle foreste paludose di torba sono state cancellate. Il 65% di questo per la conversione a produzione per olio di palma.”
Wetland afferma che mentre si tagliavano le foreste per il legname, le stesse compagnie hanno ripiantato le aree con palma da olio completando l’annichilamento delle foreste acquitrinose di torba.” La Malesia non ha mai fornito informazioni verificabili sull’uso della terra in relazione al tipo di suolo o alla deforestazione.
Secondo Sarvision il nuovo rapporto porta delle cifre dettagliate e verificate sulla deforestazione e sulla conversione degli acquitrini torbieri nel Sarawak. La possibilità di avere liberamente immagini satellitari e l’uso di strumenti come Google Earth stanno rivoluzionando il monitoraggio delle foreste.”
Si nota anche nei rapporti che nelle foreste acquitrinose torbiere malesi hanno casa molte specie in pericolo di estinzione e specie e sotto specie endemiche, incluse l’elefante pigmeo del Borneo, il rinoceronte di Sumatra, il leopardo nebuloso del Borneo, il tapiro malese e tant altre specie meno conosciute a rischio di scomparsa.
“Le foreste acquitrinose torbiere del Borneo settentrionale rappresentano un tipo di vegetazione unica caratterizzata dagli alberi di Alan e altri specie di legname pregiato ma in rischio di scomparsa. Questo tipo di foresta è stato cancellato a Sarawak e i soli esemplari rimasti si trovano in Brunei. Le foreste torbiere acquitrinose non sono state studiate intensamente e si teme che tantissime specie si siano perse. All’inzio le foreste di terra torbiere originali della Malesia si estendevano per almeno 2,5 milioni di ettari. La conversione e il drenaggio di questi depositi naturali di carbone ha causato la rapida decomposizione e la subsidenza del suolo organico con la conseguente emissione di immense quantità di biossido di carbonio per decenni.”
“Delle stime molto caute e conservatrici stabiliscono che le emissioni di gas serra per le piantagioni di olio di palma su terreni torbosi a 40 tonnellate di CO2 per ettaro all’anno. Con queste stime 510 mila ettari di terreni torbosi prosciugati per la piantagione di palma da olio causano così il rilascio di quasi 20 milioni di tonnellate annue di biossido di carbonio. Comunque è probabile che la cifra reale si aggiri attorno a due volte questa quantità.”
La rapida espansione della piantagione di olio di palma è il risultato della crescita globale della domanda di olio vegetale e in gran parte di biocarburanti.
“Gli obiettivi europei di aumentare l’uso dei biocarburanti stanno causando una crescita rapida dielle domande globali di raccolti di olio vegetale con un conseguente massiccio benché indiretto cambio di destinazione dei suoli, specie nel sudest asiatico con l’inclusione di foreste acquitrinose ricche di torba. Questa conversione aumenta l’emissione dei gas serra alimentando così i cambiamenti climatici. L’uso del biodiesel che non impedisca questo impatto sull’uso indiretto del suolo è tutt’altro che sostenibile e potrebbe causare più grandi emissioni rispetto all’uso di combustibili fossili.”
“La produzione di olio da palma è ben accetta solo se si possa espandere in modo sostenibile. Wetland international chiede un divieto totale della produzione di olio di palma su terreni torbosi e un fermo alla conversione ulteriore di aree naturali per questo raccolto. Lo sviluppo invece dovrebbe focalizzarsi su milioni di ettari di terreni degradati non torbosi nella regione. Le compagnie che usano olio di palma dovrebbero richiederlo. In aggiunta, Wetland International chiede la fine agli incentivi per il biocombustibile in Europa che risulti in un diretto o indiretto cambio di uso come lo vediamo oggi in Malesia.”