Quindi continuerò il mio viaggio entusiasmante piena del mio rinnovato senso di orgoglio di essere una donna musulmana
Sono nata in una famiglia della classe media e, come per la maggior parte dei Malay, la mia identità religiosa è intrecciata inestricabilmente con i rituali e le tradizioni culturali incastonate nella mia vita quotidiana.
I miei fratelli ed io abbiamo frequentato le classi del corano fino all’età di dodici anni e nel crescere ho visto mio padre e il mio unico fratello maschio ricevere un trattamento speciale a casa rispetto alle ragazze.
Per esempio mia madre doveva servire a mio padre il suo bicchiere d’acqua mentre se ne stava seduto a leggere i giornali o vedere la televisione anche se si sentiva stanca dopo aver cucinato tre pasti al giorno ed aver atteso alle cure di sei piccoli bambini. Cosa volesse dire essere musulmana non ha avuto un impatto su di me fino a quando non ho seguito un corso islamico a scuola quando avevo 15 anni. Dopo il corso desideravo sentirmi più vicino a Dio e perciò mi impegnai ad osservare le cinque preghiere giornaliere giornaliere senza fallire.
Volevo essere “anak solehah” perché mi fu insegnato che se non lo ero Dio avrebbe punito i miei genitori per i miei peccati. I miei professori mi indussero a credere che dovevo mettere fazzoletto sul capo, e che i miei genitori avrebbero ricevuto la maledizione di Dio, se non l’avessi fatto.
Inoltre mi fu insegnato che da buona ragazza musulmana non dovevo affermare me stessa, che il parlare a bassa voce era un requisito per non attirare troppa attenzione su di me. Secondo i miei educatori la voce, il corpo ed i capelli avevano il potere di sviare gli uomini .. se se questo portava alla loro caduta, era allora completamente un mio errore. Ovviamente dopo aver assorbito tutte queste lezioni di colpevolezza manifestavo un alto livello di pietà.
Volevo essere vista come una buona donna musulmana devota, che obbedivo ai miei educatori quando insitevano che abbandonassi tutte le attività che amavo: in particolare le attività sportive e la partecipazione ad un gruppo di scout. Mi fu detto anche di rendere minimi i contatti con gli amici intimi che non fossero musulmani!
Per vincere il gap sociale mi immersi nella lettura di libri di religione, frequentai corsi che approfondirono la mia conoscenza e cercavo consolazione nella preghiera. Idolizzavo gli studiosi musulmani e gli autori quali Maududi, Maryam Jameelah, Hassan al-Banna, Hassan Turabi, and Sayed Qutb ed altri e cercavo persino risposte rivolgendomi alle lezione imparite da alcuni gruppi di giovani musulmani popolari durante la mia gioventù.
Mi imbattei nella conoscenza vera solo in seguito quando studiai legge all’Università Internazionale Islamica ad Islamabad in Pakistan. Imparai della grande diversità esistente nella giurisprudenza islamica e fui piacevolmente sorpresa di scoprire che le differenze di opinione tra gli ulama erano celebrate, che queste opinioni differenti non erano mal viste né i proponenti perseguitati.
Eppure scoppiavo di tante domande specialmente quando si giungeva al problema dell’eredità: perché un figlio maschio dovrebbe avere il doppio di dote di una figlia anche se era la figlia che aveva sostenuto e badato ai genitori durante il corso della loro vita?
Tante domande furono improvvisamente distrutte dal lettore sulla premessa che non si può permettere di dubitare del Corano. Invece mi fu detto che c’è hikmah, o saggezza, all’interno delle rivelazioni divine, e perciò la legge ereditaria sarebbe rimasta intoccata indipendentemente dalle differenti concezioni della realtà di oggi dal tempo del Profeta.
Benché provassi un senso di ingiustizia, non feci altre obiezioni. Alla fine la lista di domande senza delle risposte esaurienti sulla questione della poligamia, della libertà di praticare l apropria religione di scelta, del mantenimento delle mogli divorziate, si faceva più lunga.
Per me Islam è sempre stata una religione giusta ed equa. Perché allora le risposte per le donne non lo erano? Perché le donne dovevano sobbarcarsi il peso dei tempi allungati dei processi di divorzio? Perché era così difficile per le donne avere il mantenimento per se stesse e per i figli dai mariti assenti? Perché quando così tante donne che portavano il pane a casa nelle proprie famiglie dovevano ricevere meno eredità dei loro fratelli?
Di sicuro questo non era il destino che Allah aveva riservato per le donne musulmane. Sentirsi dire che le donne avrebbero dovuto sopportare queste ingiustizie per il premio del paradiso era semplicemente troppo conveniente, ed insufficiente a curare il dolore che alcune donne ed i loro bambini avevano da sempre. Ancora più sconcertante era il fatto che gli uomini musulmani e la società musulmana in generale sono complici nel perpetrare questa ingiustizia.
Dopo aver lasciato il mondo delle imprese, desiderai ricercare risposte soddisfacenti a queste cose inconsistenti. E questo mi portò a ricercare un lavoro a Sisters in Islam (SIS). Quello che seguì fu un’inattesa ma accetta sorpresa. Fu in questa organizzazione che appresi dell’Islam come una religone che può attivamente affrontare molte delle questioni sociali nella moderna società. Non lo avevo mai creduto possibile dalla mia precedente posizionebasata su un’interpretazione stretta e classica del Corano. Col mio lavoro presso SIS posso scegliere di difndere i necessari cambiamenti dell’attuale legge di famiglia islamica della mia nazione; posso parlare a voce alta per l’eguaglianza di genere e rigettare tutte le forme di ingiustizia.
Presso il SIS ho imparato che è importante prendere in considerazione il contesto sociale e storico nella lettura del Corano; che si dovevano considerare sia i messaggi espliciti ed impliciti del testo se si voleva capire e assimilare i versi santi ed applicarli alla vita giornaliera. Inoltre non sono in molti a comprendere la differenza tra syariah e fiqh, dove il primo è il messaggio divino di Dio ed il secondo l’interpretazione di quel messaggio da parte degli uomini che non sono infallibili.
Questa conoscenza nuova mi diede la libertà di mettere in dubbio tutte le ingiustizie nelle istanze che mi erano in mente sin dai tempi dell’università ad Islamabad. Infine divenne chiaro che non c’era nulla di sbagliato nel porre le domande, di chiedere perché le donne musulmane erano si trovassero nella situazione difficile che erano al momento.
Leggo il Corano ora in una prospettiva completamente nuova. Per me questo libro vivente scritto più di 1400 anni fa non è solo un manoscritto santo che avvolgi in un bellissimo involucro e lo metti in alto nello scaffale di casa perché sia rispettato e riverito. Mi rivolgo al mio che non smette mai di meravigliarmi.
Quindi continuerò il mio viaggio entusiasmante presso Sisters in Islam piena del mio rinnovato senso di orgoglio di essere una donna musulmana e certa del fatto si sapere di aver trovato un posto che si adatta meglio al mio spirito e alla mia identità. – The Malaysian Insider