Il mare di Arafura occupa circa 650mila chilometri quadrati tra l’Australia e l’isola di Papua Nuova Guinea ed è la destinazione di pesca, ricco di pesce, di tonno, tonnetto e sgombro, di navi indonesiane che sono almeno da 100 tonnellate lorde.
Nel Mare di Arafura si pesca il 21% del pesce indonesiano, 2,64 tonnellate annue, da parte di 12mila imbarcazioni e molto altro pesce viene esportato in altri paesi dell’Asia.

Di queste 12mila imbarcazioni, Ainur Rahmah, giornalista indonesiano che scrive per Asia Sentinel, racconta la storia di un peschereccio di 250 tonnellate, su cui lavorano 50 persone in totale, KM Satria Tambah Makmur.
La ciurma si sta preparando a lasciare il porto di Juwana nell’isola di Giava per un periodo che dura almeno otto mesi:
“Prima di partire in mare aperto, è triste dover lasciare la famiglia. Ma è il nostro lavoro e lo dobbiamo fare” dice Dimas il comandante della sala macchine.
Ed oltre la tristezza di dover lasciare le famiglie per un periodo così lungo, c’è anche la preoccupazione per questo mare che il cambiamento climatico rende sempre più agitato ed inquieto, con l’innalzamento della temperatura del mare e le conseguenti tempeste che costringono spesso le imbarcazioni a ripararsi nelle isole vicine.
“Le raffiche di vento possono essere fino al 40% più forti del previsto e ancora più forti le tempeste e i temporali. Le altezze delle onde possono raggiungere i sei metri mentre il vento va dai 5 ai 25 nodi, sufficienti a far sobbalzare la nave ponendola anche a rischio di un incidente. Ma qui si trova il pesce” ed è qui che la Satria Tambah Makmur si deve dirigere, che ci siano tempeste o no.
E le tempeste con tutto il tempo cattivo sono le cose comuni in questo mare di Arafura.
“Quando ci troviamo in un tale tempo cattivo, posso solo pregare” dice Mohamad Hadi Susilo mentre spera che duri poco, mentre trovano riparo nel lato sotto vento di qualche isola vicina, nell’incertezza di quanto potrà durare.
“Sebbene non ci siano garanzie di un ritorno in sicurezza, i mari di Timor e di Arafura hanno abbondanti prodotti di mare da chiamarli fondali dorati di pesca che attirano ancora i pescatori come Dimas e Hadi.
Sebbene il lavoro di pescatore abbia ancora dei vantaggi, loro lamentano che il tempo in mare diventa sempre più difficile da predire e ciò ha dei riflessi sul pescato e quindi sui guadagni, dice Dimas. Mentre nel 2015 un membro della ciurma riusciva a guadagnare 1120 dollari al mese, ora sono fortunati se in tutta la stagione riescono a guadagnare 2300.
I pescatori di Giava di solito si affidano al ilmu titen, la sensibilità a leggere i segni naturali che si usano come linee guida nella pesca o nell’agricoltura. Loro usano le linee guida dei Pranata Mangsa che sono calendari compilati secondo indicatori di fenomeno naturali per determinare l’inizio della stagione della pesca per pescatori e agricoltori. Loro leggono i segni naturali come arcobaleni e la direzione dei fulmini per predire l’arrivo di tempeste o di venti”.
Dimas però riconosce che con i cambiamenti delle stagioni cresce la difficoltà ad usare ilmu titen.
“Usiamo ancora spesso ilmu titen quando andiamo in mare, ma ora spesso non funziona più”, mentre Hadi ricorda che questa erraticità nel tempo comporta grandi perdite economiche al punto che preferiscono talvolta non avventurarsi in mare.
Le stesse previsioni meteorologiche ufficiali possono essere fallaci “Per esempio si prevede che oggi ci saranno onde molto alte, ma poi in realtà potrebbe essere un giorno prima o dopo. Noi in mare siamo confusi”.
A denunciare il crescente numero di incidenti in mare, e non solo nel mare di Arafura, è l’associazione KNTI, che raccoglie i pescatori tradizionali indonesiani, il cui presidente Sugeng Nugroho dice:
“Spesso riceviamo notizie di incidenti di navi che affondano, che prendono acqua o si rompono per le onde. Non solo nel mare profondo ad est dell’Indonesia ma incidenti simili spesso accadono in altre aree di mare”
A luglio scorso l’affondamento della Setia Makmur nel mare di Arafura, a causa delle onde e del tempo pessimo, ha portato alla morte di 14 pescatori.
Secondo WALHI, Forum indonesiano per l’ambiente, la crisi climatica ha comportato un maggior numero di morti di pescatori.
“Nel 2020 sono morti in mare almeno 251 pescatori, quasi il triplo delle morti del 2010 che erano 86. I dati del KNKT, commissione di sicurezza del trasporto nazionale, mostrano che l’incidenza degli incidenti in mare nel periodo 2018-2020 è dominato con il 31% dai pescherecci dei 76 incidenti.”
Comunque si crede che sia solo la punta di un iceberg perché l’obbligo di indagine scatta solo per pescherecci oltre le 100 tonnellate lorde, mentre il numero totale per imbarcazioni più piccole è di 400 incidenti nello stesso periodo.
“Secondo WALHI, la crisi climatica ha anche limitato il tempo in cui i pescatori possono andare in mare tagliandolo a sei mesi all’anno, tagliando le loro entrate e peggiorando le loro condizioni sociali ed economiche e causando anche un cambio di professione. Nel 2017 il numero di pescatori indonesiani era stimato a circa 2,67 milioni, mentre nel 2018 è sceso a 2,64 milioni e 2,39 nel 2019.”
In un altro porto di Giava Centrale, su un altro peschereccio, il giovane comandante della KM Sari Rukun, Rofani, celebra un rituale religioso sul ponte della nave tenendo in una mano una coppa di offerte fatte di spezie che poi spargerà su tutta l’imbarcazione, mentre gli altri pescatori pregano nello scafo della nave.
Stanno per dirigersi verso le acque del mare di Bawean nel mare di Giava, anche lui diventato sempre più imprevedibile e pericoloso con il cambiamento climatico.
“Di solito celebriamo questo rituale prima di andare in mare con la speranza che tutto vada bene e di poter tornare a casa salvi” dice Rofani. Mentre si intensifica il cambiamento climatico facendo salire la temperatura del mare, lui e gli altri pescatori si trovano davanti un mondo sempre più pericoloso. Cionondimeno come hanno fatto da secoli gli uomini continuano ad andarci.
Nell’altro porto di Juwana i pescatori caricano tutto ciò che loro serve prima di salpare, e si assicurano che la moderna tecnologia del GPS e della ricerca del pesce, come anche le reti, le macchine e gli equipaggiamenti di sicurezza siano funzionanti.
“Si sa che il Mare di Arafura è violento. Bisogna essere preparati ad ogni eventualità” dice Hadi che insieme a Dimas, si appresta a salpare per un periodo che va dai sei agli otto mesi.
Sebbene sia Dimas che Hadi abbiano scelto questo mestiere per poter salire la scala sociale e fare soldi in fretta, il loro destino è comune a quello di tanti altri.
Le statistiche dicono che 11,34% delle persone del settore della pesca sono classificate come povere con un tasso maggiore che negli altri settori. L’ufficio statistico indonesiano nota un declino costante nel numero di famiglie coinvolte nella professione, dai 2 milioni del 2000 ai 966mila del 2016.
“Tutti questi pescatori sentono i cambiamenti del mare e del tempo che si fa sempre più imprevedibile. Ed anche trovare il pesce non è più altrettanto facile. Tra i pescatori dicono che il tempo che cambia è causato dal cambiamento climatico che fa alzare la temperatura del mare. ‘La situazione in mare è del tutto incerta. Quando ero all’inizio di questo lavoro, tutto andava regolarmente. Anche se c’erano onde alte, durava di solito una o due settimane, ma ora le onde grandi possono durare anche un mese’”
Etty Riani, un esperto di gestione delle risorse della pesca dell’Università Agricola di Bogor, spiega quello che succede. La crisi climatica fa crescere sia la temperatura dell’acqua che la sua acidità con conseguenze sulla sostenibilità della produzione di pesca e nella capacità dell’ecosistema di tenere questi cambiamenti.
Le temperature crescenti dell’acqua interferiscono con la riproduzione e la rigenerazione di pesce che tendono anche a muoversi verso il basso in luoghi più freschi. Questo comporta che le aree di pesca tendono a cambiare ed ad allontanarsi dai luoghi soliti.
“Non sorprende che i pescatori spesso lamentino che il loro pescato è inferiore. Ed anche devono navigare più in là delle loro zone di pesca per la migrazione del pesce” dice Etty Riani il quale aggiunge che come sia la schiaritura del corallo imputabile al clima che le pratiche di pesca distruttive hanno alterato gli ecosistemi delle barriere coralline ed il biota marino.
La temperatura attuale media del mare è di 29C quando prima era tra i 25 ed i 26C, secondo i dati ufficiali dell’agenzia di meteorologia indonesiana, BMKG, che prevede un serio impatto sulla sostenibilità dei settori agricolo e della pesca.
“BMKG predice che accadranno più di frequente con durate maggiori fenomeni estremi come cicloni tropicali, onde altissime, grandine e siccità e piogge intense con temporali” e l’agenzia ha prodotto delle app per aiutare gli operatori della pesca a navigare questo mare di Arafura pieno di incertezze.
Per gente come Dimas o Hadi adattarsi a questi nuovi mezzi tecnologici non è proprio una cosa semplice, loro che sanno usare il GPS e l’ecoscandaglio per sapere dove si trovano, dove sta la zona di pesca e conoscere la topografia e la profondità del mare.
“Usiamo questi mezzi e non sentiamo di aver bisogno di usare altro” dice Dimas ad Asiasentinel. “Cionondimeno l’equipaggiamento sofisticato non serve a nulla se il tempo non ci è amico”
E non è amico anche la loro mancanza di istruzione, avendo quasi tutti solo la scuola elementare e una mancanza di accesso alle informazioni.
“Sugebg Nugroho, però, dice che la maggioranza dei pescatori comprendono che la situazione è sempre più sfavorevole. E’ necessaria una risposta veloce ma spesso alcuni di loro, sia per mancanza di istruzione o per accesso alle informazioni, non sanno come risolvere il problema. Alcuni di loro non sanno come accedere ai programmi governativi delle scuole del clima. Per chi usa gli strumenti tradizionali del ilmu titen, è difficile abituarsi ad usare dati ed informazioni scientifiche come la predizione delle piogge, la temperatura dell’aria, umidità, direzione e velocità del vento. Anche per usare le nuove tecnologie come le app di ricerca del pesce che hanno istallato sui telefoni non sanno come fare.”
C’è anche una questione di cultura per Sugeng perché molti pensano che il tempo cattivo e i rischi in mare sono solo rischi propri da accettare. Ma c’è molto che il ministero del Mare e della pesca può fare per proteggere e rafforzare i pescatori, i coltivatori di pesce e di sale.
“Non vogliamo che sempre più pescatori muoiano in mare, o che cambino lavoro a causa degli ostacoli che si trovano davanti. Perciò non dobbiamo stancarci di provare per farli andare in mare in sicurezza e con buoni risultati” dice Sugeng.
Ainur Rahmah Asia Sentinel.