La diga di Xayaburi sul Mekong nelle considerazioni di Philip Hirsch

Il 19 di aprile scorso i rappresentanti delle quattro nazioni, membri della Commissione del Fiume Mekong (MRC), si sono incontrati per consultarsi sulla proposta della compagnia thailandese Ch Karnchang di costruire una diga nella provincia di Xayaburi da 1260 MW sul corso del fiume Mekong nel Laos.

xayaburi

La diga sarebbe finanziata da banche thailandesi e venderebbe tutta l’elettricità prodotta alla Thailandia. All’incontro i membri della Commissione Congiunta del MRC non si è trovato un accordo ed si è rinviata la decisione al livello del Consiglio dei Ministri dell’MRC.

Per quanto confusa e inconcludente possa sembrare, la decisione sulla diga porta con sé un significato considerevole per il modo in cui si conducono le decisioni di politica sul fiume. Riflette una maturazione della relazione tra le quattro nazioni rivierasche, e rappresenta un timido passo in avanti verso un processo informato e molto più inclusivo della presa di decisione e di influenza sulle questioni importantissime del futuro del Mekong, se è un fiume che scorre oppure una serie di successivi laghi.

Per precisare, due grandi vincoli hanno limitato la presa di decisione razionale, equilibrata e aperta sulle dighe con impatti potenziali transfrontalieri nel bacino del Mekong. La prima è che le discussioni sugli impatti transfrontalieri sono state ristrette ai governi, che avevano l’intenzione di mantenere buone relazioni politiche reciproche ed evitare, perciò, di far credere di prevaricare i diritti sovrani del proprio vicino per sviluppare le proprie risorse interne. Inoltre, all’interno dei governi, le decisioni sono state sviluppate principalmente nei ministeri che hanno una buona insita predisposizione a sostenere l’energia idroelettrica.

La seconda principale limitazione è che le decisioni sono state prese a porte chiuse dando pochissima opportunità di controllo pubblico. Le proposte delle dighe sono state valutate dalle parti in gioco e le valutazioni ambientali sono state di breve raggio nello scopo e molto al di sotto degli standard di qualità mondiale. Di conseguenza, gli impatti ambientali e sociali ed i costi sono stati messi da parte e, infine, fatte cadere sulle comunità rurali, quasi prive di ogni potere, la cui dipendenza economica dal fiume li rende vulnerabili all’impatto sulla pesca, sui livelli delle acque e così via. Dove le comunità locali hanno avuto voce, esse si sono espresse chiaramente riguardo le sofferenze del dopo costruzione, come nel caso della decimazione del pescato della diga sul Pak Moon o sul progetto delle cascate Yali in Vietnam e il suo impatto a valle sulla Cambogia: in altre parole sul dopo costruzione.

Il caso della Xayaburi ha visto uno spostamento in entrambe queste limitazioni. Mentre sono state molto limitate le consultazioni nel Laos stesso, una serie di incontri proposti dalla MRC nell’ambito del suo processo di consultazione prioritaria ha fornito un campo più vasto di ciò che pensava l’opinione pubblica nel processo di presa di decisione. In modo simile, dal momento in cui ha commissionato una serie di considerazioni tecniche della documentazione prodotta dalla nazione proponente, la MRC ha fornito una base più ragionata sulla quale il Comitato Congiunto poteva esprimere la sua raccomandazione. Per un verso, il risultato intermedio rappresenta un successo per le procedure della Commissione di notificazione, consultazione preventiva e accordo sotto cui la consultazione era stata avviata.

Ma tutto questo non sarebbe, e non potrebbe, essere accaduto senza una precedente presa di coscienza e una costruzione delle conoscenze sulle implicazioni delle dighe sul corso del Mekong. Per alcuni anni, le ONG si sono mobilitate sotto la coalizione “Save Mekong” mettendo insieme un vasto raggruppamento di gruppi della società civile comprese le comunità rivierasche, le ONG ambientaliste e sociali, scienziati ambientali ed altri studiosi dell’università. Una petizione con 23 mila firme è stata presentata ai quattro capi di governo che si sono incontrati nell’aprile 2010 ad un summit a Hua Hin, in Thailandia, esprimendo la preoccupazione per le dighe e domandando che non si procedesse alla loro costruzione.

La MRC ha commissionato uno studio strategico di impatto ambientale che ha messo insieme le migliori conoscenze sul Mekong per dare una descrizione obiettiva di quello che significherebbe una diga sul corso del fiume sul Mekong, sul pescato e sulle popolazioni la cui vita dipende da esso. Quello che è emerso dallo studio non è bello, e la MRC ha raccomandato di bloccare la costruzione delle dighe per almeno dieci anni, per poter portare avanti ulteriori studi e poter ricercare alternative. Anche qui, non era tanto il rapporto dell’MRC di per sé a trainare il carro quanto il sostegno agli studi e alle raccomandazioni da parte dei gruppi della società civile, dei finanziatori della Commissione e da altri. Probabilmente lo sviluppo più significativo è stato l’emergere di un gruppo di studiosi organizzati, coraggiosi e articolati nel Vietnam che hanno aiutato a convincere il Comitato Nazionale Vietnamita del Mekong ed altri politici anziani, della minaccia che la diga sul percorso del fiume poneva al benessere e al sostentamento di venti milioni di persone del Delta del Mekong.

Ci sono altri fattori politici che hanno portato le quattro nazioni a quella conclusione interlocutoria. Sembra che le nazioni a valle del progetto abbiano scoperto il bluff dei proponenti la diga. Prima dell’incontro, il governo laotiano dava l’impressione che la diga fosse un fatto compiuto, sollevando la valida considerazione legale che le regole e la consultazione preventiva della Commissione non avesse alcun potere di regola su quello che il Laos può fare nei propri confini, indipendentemente da quello che i propri vicini potessero pensare. Sembra che il bluff in questo era che, prendendo una così ferma posizione, le autorità laotiane credevano che altre nazioni avrebbero seguito le vecchie pratiche e messo il consenso e la cultura politica di non interferenza sulle preoccupazioni degli impatti a valle. Col beneficio del senno di poi, sembra che questo fosse una lettura errata della risoluzione delle nazioni vicine su questo problema chiave. Le forti affermazioni della scorsa settimana da parte dei ministri Nguyen Tan Dung, Vietnam, e Hun Sen, Cambogia, hanno inviato un inequivocabile messaggio al Laos e ai costruttori thailandesi, per cui l’andare avanti con la costruzione della diga sarebbe stato inaccettabile.

Naturalmente, il processo è lontano dal termine. In meno di due settimane dalla consultazione del Comitato Congiunto, gli eventi sono andati avanti veloci. All’inizio sia il governo laotiano che la ditta thailandese indicavano l’indicazione di andare avanti comunque. All’incontro annuale successivamente al Comitato Congiunto, il CEO del Ch Karnchang diceva agli azionisti che il progetto sarebbe andato avanti implicando anche che le attese dei dividendi delle loro azioni erano ben riposte. Alcuni giorni dopo il governo laotiano rispondeva in modo appropriato alle preoccupazioni delle nazioni vicine affermando che avrebbe commissionato una rivisitazione delle critiche alla valutazione di impatto ambientale anche se questo avrebbe potuto significare mesi o anni. Almeno una delle banche finanziatrici del progetto ha da allora affermato che non sarebbero stati fatti prestiti in questo clima di incertezza, il che potrebbe presagire una dissoluzione degli accordi commerciali necessari per la prosecuzione del progetto.

Formalmente il processo consultivo è stato elevato a livello dei ministri che si incontrano una volta l’anno ad ottobre. E’ possibile che ci sia un altro incontro speciale precedentemente a questo. In via di principio il Laos potrebbe andare avanti da solo, ma mentre la decisione per la diga è stata portata ad un livello politico della regione più ampio per poter tenere in considerazione delle rispettive sovranità nazionali, la decisione della diga di Xayaburi è ora intrappolata nella geopolitica della regione in cui una decisione ad andare avanti rappresenterebbe uno scacco alle nazioni a valle e mettere in pericolo le relazioni strette tra il Laos e il suo alleato politico più grande ad oriente.

Philip Hirschdal BangkokPost

docente di geografia umana all’università di Sydney e direttore dell’ Australian Mekong Resource Centre.

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