Con la caduta di Suharto nel 1988, a ritrovarsi in un clima migliore e a godere di maggiore libertà fu anche la minoranza cinese indonesiana oggetto di violenze e di discriminazione del Nuovo Ordine.
A maggio di 25 anni fa si dimetteva l’uomo forte indonesiano Suharto e con lui crollava il suo Ordine Nuovo, un governo centralizzato allineato con i militari, dopo 32 anni di potere ininterrotto iniziato all’indomani del massacro di centinaia di migliaia di militanti comunisti o ritenuti tali nel 1965.
Le dimissioni di Suharto giungevano dopo che il 12 maggio del 1998 le forze di sicurezza indonesiane uccidesero 4 studenti della Università Trisakti che protestavano contro la corruzione e il clientelismo del governo di Suharto.

Con l’arrivo del periodo della Reformasi, a ritrovarsi in un clima migliore e a godere di maggiore libertà fu anche la minoranza cinese indonesiana che fu oggetto di violenze per la loro presunta ricchezza e che subì la politica governativa di discriminazione del Nuovo Ordine.
I cinesi indonesiani dovevano adottare nomi in stile indonesiano, dovevano portare con sé il certificato di cittadinanza indonesiano per mostrarlo alle autorità, non potevano fare teatro o cantare canzoni cinesi né celebrare il nuovo anno lunare, al contrario di altre minoranze indonesiane.
Illuminante il caso di una giornalista della minoranza cinese indonesiana, Evi Mariani di cui abbiamo tradotto due articoli scritti su JP1 e JP2.
I genitori della giornalista si sposano nel 1970 ma divorziano l’anno dopo perché i documenti della cittadinanza paterna non erano registrati nel registro civile indonesiano e quindi il padre non era indonesiano. Ne conseguiva che anche i figli non sarebbero stati considerati indonesiani e sarebbero considerati “nati fuori del matrimonio”. Con il divorzio, poiché la madre era indonesiana i figli erano considerati indonesiani e i loro documenti erano considerati autentici.
Quando il padre riuscì a ritrovare tutti i documenti e diventare così indonesiano, i genitori si risposarono ma solo nel 1999.
“Per far sì che i figli fossero considerati indonesiani loro dovettero far finta di divorziare per prima cosa e noi dovemmo essere legalmente senza padre per essere indonesiani. E’ la condizione di discriminazione statale più reale ed ovvia con cui siamo cresciuti” ricorda Evi Mariani che aggiunge come da vittime di razzismo, dobbiamo solidarizzare con coloro che sono soggetti a discriminazione di classe e ad altre discriminazioni”.
Poiché il governo non poteva fare a meno delle ricche famiglie cinesi, lavorava a stretto contatto con alcuni magnate cinesi per migliorare l’economia indonesiana.
Scrive Al Jazeera che nel 2010 la minoranza cinese indonesiana contava su una popolazione di 2,8 milioni di persone mentre la popolazione indonesiana era di 237 milioni.
Questo trattamento della minoranza cinese indonesiana ha comunque le radici nel periodo coloniale olandese che classificava la popolazione in una piramide sociale alla cui sommità c’erano gli europei, sotto cui c’era la popolazione cinese. Al fondo della piramide c’era la popolazione indonesiana, i nativi.
Con la fine dell’Ordine Nuovo finiscono alcune delle maggiori discriminazioni. Il confucianesimo è riconosciuto come una delle sei religioni fondanti del paese, e non è più richiesto portarsi appresso il certificato di cittadinanza.
Importante è che la minoranza cinese indonesiana è diventata più visibile ed ha espresso i propri politici tra i quali il famoso governatore di Giacarta Basuki Tjahaja Purnama, noto come Ahok, che però fu oggetto di denuncia per blasfemia durante le elezioni di Giacarta, a dimostrare che nella vita quotidiana esistono pregiudizi che tardano ad essere superati e che possono tornare utili per la mobilitazione politica.
“Il discorso anticinese è sempre molto vivo e vegeto sotto la superficie e può essere usato allo scopo della mobilitazione politica quando le circostanze lo permettono” dice Charlotte Setijadi.
La discriminazione contro la minoranza cinese indonesiana del periodo di Suharto ha fatto sì che in molti casi la cultura cinese non si è più trasmessa nelle generazioni più giovani che ora si domandano se non sia il caso di rileggere le proprie origini, come parte della lotta a tutte le discriminazioni e una forma di superamento del trauma vissuto fino ad appena 25 anni fa.
Un’altra testimonianza è quella di Iskandar Salim che fa l’illustratore e disegnatore di fumetti a Giacarta. Per lui l’adozione del fumetto e di parlare delle questioni politiche e sociali del suo paese era il modo per dire la propria senza finire nei guai con la censura di quegli anni e nello stesso tempo provare a fare i conti con la propria storia individuale. https://twitter.com/KomikFaktap
“Gli insegnanti di allora tenevano di proposito gli esami durante il Nuovo Anno Lunare perché gli studenti non avevano altra scelta che andare a scuola. Se non ci fossero gli esami avremmo fatto festa a scuola per fare visita ai parenti” racconta Iskander Salim che ha dovuto fare i conti con la propria identità anche dopo la caduta di Suharto.
“Posso dire semplicemente di essere indonesiano, più specificatamente cinese indonesiano. Alla fine siamo noi a decidere e scegliere la nostra identità”.
Zachary Abuza scrive su Benarnews un articolo sulla caduta di Suharto e sul periodo che si è aperto in seguito, all’indomani anche della crisi finanziaria asiatica del 1998.
“… I cittadini indonesiani avevano tanto da protestare contro il governo di Suharto che si era fatto sempre più dispotico e capriccioso.
La società civile era repressa, i media incatenati e la politica si reggeva su un sistema di rigido corporativismo che cooptava un’opposizione debolissima. I militari governavano fino al livello di villaggio con un sistema di doppia funzione dell’esercito, dwifungsi.
I capitalisti clientelari che saccheggiavano le risorse naturali del paese dominavano l’economia concentrando la ricchezza a Giacarta. La crisi economica asiatica portò al collasso della Rupia Indonesiana e ad una contrazione economica del 13% nel 1998. Tutti sapevano che la cifra di prestiti di 36 miliardi di dollari del fondo monetario internazionale non era che la ricchezza ammassata dalla famiglia di Suharto durante i suoi 32 anni di dittatura.
I disordini del maggio 1998 nella Chinatown di Giacarta furono il lavoro di alcune unità militari che cercavano l’intervento diretto nella politica, ma il capo militare del momento Wiranto si oppose e passò il potere alla guida civile.”
Il potere passò al vicepresidente B.J. Habibie e le prime elezioni si tennero nel 1999, ma fino al 2004 ci furono cinque presidenti, mentre l’Indonesia fu il paese più lento ad uscire dalla crisi asiatica.
Al contempo si riuscì a puntellare la democrazia nascente con il ritorno dei militari nelle baracche e l’abolizione della politica della doppia funzione. Con l’indipendenza data a Timor Est dopo anni di colonialismo cruento e con la pace del 2005 ad Aceh che divenne provincia autonoma, i militari ebbero meno scuse per giustificare la propria presenza alla luce della sicurezza interna.
“Per prima cosa le forze armate divennero più attente a professionalizzarsi e a modernizzarsi. Nel 1999 la polizia che fino ad allora era un braccio dei militari divenne indipendente e passò sotto il potere civile.
Seconda cosa, l’Indonesia era sempre stato un paese fortemente centralizzato sui piani politico, economico e culturale. Ma poiché c’erano insorgenze separatiste storiche a Timor Est, Aceh, Papua ed in altre isole, si è sempre temuto che la decentralizzazione si sarebbe trasformata presto in secessione.
Quando il parlamento autorizzò la decentralizzazione, bypassò le province e diede poteri alle reggenze minori per applicare le politiche pubbliche.
La terza cosa cominciarono a tenersi le elezioni presidenziali, legislative e locali su questo arcipelago da 17mila isole in modo efficiente, continuo e sorprendentemente pacifico. … la partecipazione alle elezioni è sempre stata alta con una media dell’80% sin dal 1999. …
La quarta cosa, è che il parlamento nel 1999 pose fine alla censura sui media. Oggi il paese ha dei media forti sebbene controllati da una manciata di conglomerati. L’uso dei media sociali è alto e una rete delle meno controllate del Sud Est Asiatico.
Anche l’economia è cresciuta sotto la democrazia. Alla caduta di Suharto il PIL indonesiano era di quasi 96 miliardi di dollari, mentre nel 2022 il PIL è di 1,32 migliaia di miliardi di dollari. …
Nessun paese si è democratizzato tanto velocemente come l’Indonesia, ma non vuol dire che le riforme non siano fragili o che non siano irreversibili.
Ci sono cinque punti di cui preoccuparsi
Il primo è che dal 2014 i militari provano a riprendersi un po’ dell’autorità civile abbandonata nel 1999. Nel 2014 il TNI, forze armate indonesiane, identificava separatismo, droga, comunismo e diritti LGBTQ come le minacce peggiori per il paese e la legge Contro il terrorismo del 2018 assegnava un ruolo di sicurezza interna ai militari.
Secondo punto è che ci sono leggi che minano la libertà di espressione, associazione, la libertà religiosa e di identità. C’è sempre dal 1999 in ogni grande politica pubblica una componente di Sharia ed alcune leggi hanno posto in dubbio la Pancasila, Unità nella Diversità, l’ideologia fondante dello stato.
Si prenda ad esempio la legge della blasfemia che criminalizza le sette devianti come la Shia e Ahmadi, e lo stato ha spesso chiuso un occhio nei confronti dei gruppi vigilanti che prendono di mira le comunità.”
Come esempi ci sono sia il caso di Ahok che la nuova legge del codice penale sul sesso prematrimoniale, sulla critica al presidente e sulla Pancasila.
Il terzo punto critico è l’impatto che la decentralizzazione ha avuto un impatto sulla natura secolare dello stato con l’autorità degli enti locali ad assegnare fondi, visto anche l’alto numero di codici della sharia e di leggi locali che influiscono in modo spropositato su donne e minoranze religiose.
Il quarto punto di preoccupazione è riguarda l’insorgenza nella ricca provincia papuana dove non possono entrare i media stranieri, internet è periodicamente chiuso e le proteste pacifiche di sostegno al secessionismo papuano sono criminalizzate.
“Le forze di sicurezza continuano a violare i diritti umani e rapporti credibili dicono che i servizi di intelligence civile violano la legge e fanno una sporca guerra”
L’ultimo punto di preoccupazione è la corruzione per l’arresto di un ministro di alto profilo del governo di Jokowi.
“La corruzione è endemica e mina le già deboli istituzioni politiche e l’economia indonesiana continua ad essere dominata da imprese statali. Nel 2002 il governo creò una KPK, commissione contro la corruzione che ha potere di indagine completo. Ha molto successo ed è diventata l’istituzione politica più fidata del paese. Ma dal 2014, il presidente Joko Widodo ha ceduto alle pressioni politiche ed ha tolto alcuni poteri e autonomia alla KPK. La legge approvata nel 2019 di tagli all’autonomia e poteri alla KPK ha visto vaste proteste di massa.”
Proprio dal 2019 Transparency International che valuta la percezione della corruzione ha visto un peggioramento della situazione con impatti negativi sulla crescita economica e sulle istituzioni.
“L’Indonesia avrà le sue prossime elezioni presidenziali a doppio turno a febbraio 2024. La gente eserciterà il proprio diritto al voto, i partiti faranno campagna elettorale articolando piattaforme e politiche ed i media seguirà tutto il processo. Ma dietro gli aspetti performativi della democrazia, c’è stato un sostanziale arretramento. La democrazia ne ha fatta di strada, ma non è irreversibile”