La morte di Abah Nateh, Arbaini un contadino nel Borneo indonesiano si inserisce in una serie di attacchi contro chi difende l’ambiente in Indonesia.
Arbaini, un contadino di Nateh nel Borneo indonesiano, pensava che qualcuno lo pedinasse, ma non ha mai voluto fare la denuncia alla polizia per non soccombere alla paura. Così racconta il suo amico Kiswoyo Cahyono. Ma aveva le sue ragioni per essere preoccupato
Arbaini era diventato da alcuni anni una figura di spicco nel movimento che si opponeva alle miniere di carbone a cielo aperto che dovevano spaccare le montagne vicino casa sua. In passato aveva già ricevuto minacce.
La compagnia mineraria PT Mantimin Coal Mining a dicembre 2017 aveva acquisito il permesso per esplorare l’area di oltre 6000 ettari che si stende tra i tre distretti di Tabalong, Balangan e Hulu Sungai Tengah e che racchiude foreste, aree residenziali, risaie e fiumi. Sconfinò sulle Montagne Meratus dove, secondo una associazione ambientalista Wahli South Kalimantan, erano state convertiti 4000 ettari a miniera a cielo aperto.
Secondo le tradizioni locali la catena montagnosa Meratus è l’origine dell’umanità, e il suo ecosistema fornisce alle popolazioni l’acqua di cui hanno bisogno per coltivare.
La gente del posto iniziò la campagna “salviamo Meratus” per provare ad impedire un’ulteriore distruzione dell’area a cui si unì Arbaini divenendo presto un membro attivo.
Si diede anima e corpo alla campagna andando nella capitale indonesiana Giacarta per contestare la concessione del permesso minerario davanti alla Corte Amministrativa di Stato di Giacarta.
L’impegno profuso e la sua capacità di guidare la campagna gli valse il nomignolo di Abah Nateh, anziano del villaggio di Nateh.
“Era profondamente allarmato da queste attività minerarie perché non voleva che la presenza della miniera distruggesse tutto” dice Kisworo di Walhi South Kalimantan che lavorò con Arbaini agli inizi della campagna nel 2018.
Nel 2019 la campagna Salviamo Meratus riuscì ad ottenere l’annullamento del permesso alla miniera. La compagnia fece opposizione legale. Mentre si considerava l’appello, per due volte persone armate fecero visita alla casa di Arbaini.
“Il messaggio chiaro che diedero era di fermarsi nell’opporsi alla presenza della compagnia mineraria” racconta Kisworo.
A febbraio 2021 finalmente, fu rigettato l’appello e si fermò l’avanzamento della miniera. La campagna Salviamo Meratus continuò con proteste contro le compagnie sospettate di fare estrazione illegale.
Ma questo luglio, i contatti di Arbaini presso la Wahli ricevettero la notizia tragica, il loro amico era morto.
Il racconto ufficiale dell’incidente assume che l’attivista sia stato pugnalato da un vicino che Arbaini aveva sgridato perché ubriaco. Era stato arrestato un sospettato e accusato dell’aggressione. Ma Kiswoyo e gli amici avevano ancora dubbi importanti su ciò che era davvero avvenuto.
La morte di Abah Nateh, dicono, si inserisce in una serie di attacchi contro chi difende l’ambiente in Indonesia. Sono almeno 12 i militanti che lavorano sulle problematiche ambientali ad essere uccisi in Indonesia dal 2018 secondo la ONG Auriga Nusantara. In molti casi la polizia non collega gli incidenti alla militanza delle vittime trattando i crimini come atti ordinari di violenza, come dice Roni Saputra di Auriga.
“Le autorità non spiegano ciò che è davvero accaduto e ciò che lo ha motivato” dice Roni. “La polizia si è fermata a prendere il colpevole ma le morti spesso presentano varie irregolarità. Non si può tralasciare lo status importante di militante ambientalista”.
Roni paragona la morte di Abah Nateh, Arbaini, a quella di Golfrid Siregar, militante ambientalista e avvocato del ramo di Sumatra settentrionale di Wahli accaduto nel 2019.
Siregar fu ritrovato privo di coscienza sul sovrappasso Simpang Pos a Medan alle prime ore del mattino. Dopo tre giorni di terapia intensiva all’ospedale Adam Malik Siregar morì. La polizia come causa della morte disse che si trattava di “un incidente da traffico di un singolo veicolo” a suggerire che era andato a sbattere con la sua moto. I medici dissero che Golfrid era morto per il trauma alla testa, ma Wahli affermò allora che Golfrid sembrava essere stato colpito con un oggetto duro e il corpo non aveva i segni di un incidente motociclistico.
Quando morì, Golfrid faceva campagna contro la costruzione di una centrale idroelettrica nell’area del fiume Batang Toru. Dopo la sua morte, North Sumatera Hydro Energy, che gestiva l’impianto, scoraggiò le “speculazioni” sui presunti legami tra la compagnia e la morte di Golfrid sulla base “di non creare insinuazioni che violino la presunzione di innocenza”.
Nel 2021, Arman Damopolii, un contadino delle Sulawesi settentrionali, fu sparato e ucciso da uno sconosciuto mentre protestava contro le miniere illegali di oro che a suo dire minacciavano l’ecosistema nel suo villaggio. E’ un caso irrisolto.
La compagnia di estrazione mineraria PT Bulawan Daya Lestari (DBL) contro cui le comunità locali protestavano affermò ai media locali che il fatto non è accaduto nella loro concessione. La polizia arrestò un sospettato ad ottobre 2021 senza però pubblicare più nulla da allora.
Più in là quello stesso anno fu ucciso un avvocato del Borneo Indonesiano, Jurkani, che si batteva contro l’estrazione illegale di carbone nella regione di Tanah Bambu, dopo che la sua auto fu intercettata da un gruppo di persone che la Komnas HAM sospetta fossero minatori clandestini di carbone.
Komnas HAM, la commissione nazionale indonesiana per i diritti umani, l’avvocato si recava alla polizia per denunciare i minatori quando fu attaccato e ucciso con un machete. La polizia disse che i minatori erano ubriachi e non prese in considerazione l’attività di militanza ambientalista di Jurkani come causa dell’omicidio.
Mentre la morte di attivisti fa notizia, chi difende l’ambiente in Indonesia affronta abitualmente anche altre forme di violenza e intimidazione. Auriga ha documentato decine di casi di minacce fisiche e altre forme di intimidazione, compresi i danni alle proprietà, negli ultimi dieci anni.
Anche la “criminalizzazione” – l’uso del sistema legale per molestare e intimidire gli attivisti – è molto diffusa.
Gli attivisti possono essere arrestati in base a un’ampia gamma di leggi, dalla violazione di domicilio alla diffamazione penale, fino alle disposizioni del codice minerario. La maggior parte dei casi registrati da Auriga riguardava controversie sull’uso della terra da parte dei settori minerario ed energetico o dell’industria delle piantagioni, dove potenti uomini d’affari esercitano spesso una notevole influenza sulla politica locale e nazionale.
A trovarsi spesso sul percorso di queste industrie sono le comunità indigene. Il gruppo dei diritti AMAN, Aliansi Masyarakat Adat Nusantara, raccoglie i risultati del conflitto e ha detto che nel 2023 il gruppo trovò che a subire ferite da violenza per dispute di terra sono state 204 persone, una persona è stata uccisa e almeno un centinaio di case di popolazioni indigene distrutte.
“Col tempo le comunità indigene sono sempre più marginalizzate dalle politiche di sviluppo. Quando protestano per i propri diritti sono vulnerabili alla criminalizzazione, alla violenza e alla prigione per la semplice difesa di una eredità dei loro antenati, vale a dire il loro spazio di vita” dice Syamsul Alam Agus della PPMAN, Associazione di difesa delle popolazioni indigene indonesiane.
Secondo Agung Wardana, docente di diritto ambientale presso l’Università Gadjah Mada, i conflitti per la terra e gli attacchi ai difensori dell’ambiente sono destinati ad aumentare man mano che il governo e le aziende indonesiane spingono per maggiori investimenti nel settore minerario e agricolo.
I progetti di investimento hanno bisogno di stabilità, dice, e le proteste e le controversie legali sono fastidiose.
Quando falliscono i tentativi pacifici di portare dalla propria parte con la responsabilità sociale dell’azienda, lo stato tende ad intervenire per instillare la ‘disciplina’.
“La disciplina in questo contesto assume la forma dell’intimidazione, violenza diretta come rapimenti o omicidio, come anche l’uso dei sistemi legali esistenti con i tribunali. L’obiettivo è costringere le comunità ad allinearsi alle agende del governo e delle imprese” dice Wardana.
Wardana dice che ci sono leggi indonesiane che devono proteggere il diritto della gente a protestare e a sostenere l’ambiente, ma la polizia sembra applicarle molto di rado. C’è invece la percezione diffusa che “l’applicazione della legge e i tribunali tendono a servire ai grandi interessi e agende tra cui le agende della crescita economica o dello sviluppo”,
Due settimane fa, il governo indonesiano ha emanato un nuovo regolamento che stabilisce che i difensori dell’ambiente non possono essere perseguiti penalmente o citati in giudizio nelle cause civili. Il regolamento prevede anche misure per proteggere i difensori dell’ambiente dalla violenza, come l’istituzione di un canale di comunicazione per le denunce e la formazione delle forze dell’ordine in materia di protezione ambientale.
Andi Muttaqien, direttore esecutivo dell’associazione ambientalista senza scopo di lucro Satya Bumi, ha accolto con favore il regolamento, ma ha sottolineato che rimangono delle lacune legali che potrebbero consentire ai difensori ambientali di essere minacciati o criminalizzati.
Nel Borneo Indonesiano gli amici di Arbaini vogliono che continuino le indagini sulla sua morte anche se è stato arrestato e accusato un sospettato.
“La questione più cocente è che non sappiamo chi sia questo sospettato. Viveva da qualche mese a Nateh e nessuno sembra conoscerlo, né si sa da dove viene né la ragione per cui è arrivato a Nateh”.
Il capo della polizia di Hulu Sungai Tengah nega che la morte di Arbaini abbia a che fare con le questioni della miniera.
“Il movente dell’omicidio di Arbaini, conosciuto anche come Abah Nateh è solo un assalto e non ha legami con la miniera come si era detto in precedenza”.
Qualunque siano le circostanze della morte, l’eredità di Arbaini continuerà secondo Kiswoyo che lo ricorda come un uomo generoso, una persona che insisteva sempre nel rifocillare gli ospiti di casa sua prima che se ne andassero.
“Ha sempre insistito che si mangiasse. Nessuno poteva andarsene da casa sua affamato. Era una regola ferrea. Anche se sapevamo che quello che Arbaini aveva in casa era appena sufficiente per la famiglia, lui ci ospitava sempre. Era fatto così”.
Kiswoyo dice che la lotta contro le miniere continuerà. “Ho appreso da Arbaini che il nostro dovere è di proteggere la natura. E’ stancante e a volte fa paura. Ma dopo tutto siamo di nuovo in piedi a continuare la lotta”.
Faisal Irfani, The Gecko Project