Tra le piogge torrenziali del monsone del 2023, si infittisce la nebbia della guerra sul Myanmar e tantissimi osservatori che seguono l’implosione del paese rischiano di perdersi in questa nebbia.
Nessuno dubita che le ostilità tra il regime golpista del Consiglio di Amministrazione dello Stato e i tanti gruppi armati di opposizione, punteggiate da una serie costante di atrocità commesse dai militari contro la popolazione civile, stiano crescendo di molto.

Ma si sta rivelando più difficile che in qualsiasi altro momento dal colpo di Stato del febbraio 2021 dare un senso all’ondata quotidiana di scontri, incursioni e attacchi aerei, sullo sfondo di una guerra dell’informazione aspramente combattuta dai media sociali e tradizionali.
A causa di ciò molti nelle redazioni, nelle ambasciate e nei ministeri degli Esteri di tutta la regione e non solo, si affidano sempre più spesso a un’interpretazione degli eventi che affascina per la sua semplicità: la guerra si trova in uno “stallo” inevitabilmente prolungato che impedisce alle parti una prospettiva di vittoria militare e che, prima o poi, richiederà una soluzione negoziale.
Secondo questa prospettiva la plausibilità di questa narrazione di uno stallo si poggia su alcuni dati di fatto indiscutibili: i militari birmani si trovano di fronte a criticità senza precedenti restando però spietati, disciplinati e dotati di buone risorse.
Ed il suo monopolio del cielo e dell’artiglieria pesante sembra assicurare la sua presa indefinita sulle aree urbane e sulle leve essenziali del potere statale: ministeri civili, aeroporti e porti e soprattutto la banca centrale e il quartier generale dell’esercito.
L’opposizione armata che è sorta dalla sollevazione nazionale in seguito al golpe è diventata troppo grande per essere soffocata secondo le linee preferite dai militari. Essa però resta divisa tra un mosaico apparentemente anarchico di forze di difesa del popolo (PDF) e gruppi armati etnici, ed è vistosamente priva di leader carismatici, di coesione strategica o di sostegno esterno.
Non si possono negare questi fatti essenziali. L’interpretazione ora diffusa di un conflitto bloccato alimentata da queste cose resta facile sul piano concettuale, pigra sul piano analitico e pericolosamente sbagliata perché incoraggia i governi regionali a non fare nulla.
Si confonde una presunta stasi militare con ciò che l’attenzione ai dettagli del terreno e ai precedenti storici indicano essere qualcosa di completamente diverso e molto più complesso: un conflitto inevitabilmente prolungato ma dinamico, in cui l’attuale squilibrio negli armamenti impone – non sorprende – una temporanea situazione di stallo militare intorno ai principali centri urbani.
Sono situazioni analoghe vissute nei conflitti di guerriglia in Afghanistan, Vietnam, Cambogia e altri teatri della Guerra Fredda.
Una analisi sera indica che nel Myanmar di oggi come nelle lotte di insorgenza delle campagne coinvolge un’interazione più ampia e costantemente mutevole di fattori militari, politici, economici e infine psicologici. Questa miscela fluida si traduce in una traiettoria generale del conflitto in cui una parte sta guadagnando un vantaggio, per quanto incrementale, sull’altra.
In questo senso la traiettoria della guerra nel 2023 è diventata chiara come non lo è stata nei primi due anni del conflitto, ma ora deve servire ad eliminare tutte le incertezze nelle analisi. Nella maggioranza dei tratti fondamentali è una traiettoria che favorisce le forze che si oppongono al regime di Naypyidaw.
Migliore armamento della resistenza
Quest’anno sono cresciuti tre aspetti della forza dell’opposizione che hanno determinato questo cambiamento.
Il primo aspetto, di cui si è parlato a maggio in Asia Times, è la sorprendente maggiore disponibilità di armi leggere e di piccolo calibro moderne nelle mani delle forze anti-SAC rispetto al 2021 e 2022.
Le conseguenze si sono dimostrate importanti nella stagione monsonica ora al termine. Anche se restano inadeguati i rifornimenti di munizioni, la migliorata organizzazione tattica richiesta dalla maggiore capacità di fuoco ha spinto a nuove e significative capacità offensive.
Le forze di opposizione hanno occupato sempre più postazioni del regime catturando così armi sempre più pesanti ed hanno eroso la presa del SAC sulle aree urbane.
Un analista di intelligence occidentale che segue il conflitto quotidiano a livello dei 330 comuni del Myanmar e oltre, ha dichiarato ad Asia Times che nella regione di Sagaing, aspramente contesa, circa il 30% delle operazioni dei PDF si svolge ora all’interno delle aree urbane, rispetto al 20% dell’inizio dell’anno. Ha aggiunto che nella vicina Magwe, nel settembre 2023, il 28% degli attacchi è avvenuto all’interno delle città.
In breve in aree fondamentali del Myanmar centrale vicine alle capitali commerciali e nazionale, il controllo del regime non riguarda tanto le aree urbane nel loro complesso, quanto piuttosto i punti di forza all’interno delle città, vulnerabili agli attacchi dei PDF con armi leggere e mortai e, sempre più spesso, con droni operati dai sobborghi.
Sullo sfondo dello stallo strategico che vedono dalle ambasciate di Yangon, a livello tattico il controllo del SAC su molti centri cittadini si sta sgretolando.
Il secondo aspetto della resilienza dell’opposizione è l’emergere dell’unità. Fin dai primi mesi della guerra, si è parlato molto della frammentazione tra centinaia di PDF locali e della presunta sfiducia dei gruppi armati etnici nei confronti del Governo di Unità Nazionale (NUG) anti-golpe, che era visto dominato da esponenti della Lega Nazionale per la Democrazia (NLD) di etnia Bamar, che vinse le elezioni del 2020. Entrambe le questioni non colgono punti essenziali.
Nel contesto del Myanmar, rispetto ai tanti altri conflitti di guerriglia del secondo dopoguerra, è da notare proprio l’assenza di lotte intestine organizzate tra le fazioni che si oppongono al regime militare in carica.
Questa impressionante unanimità di scopo non garantisce nulla nel futuro ma per ora è una dinamica che vede i PDF, alcuni legati al NUG e altri indipendenti, formare una coalizione operativa lasca contro il regime senza combattersi a vicenda.
Allo stesso modo, nonostante i prevedibili sforzi di divisione e di governo da parte della SAC per rompere il patto etnico dei Bamar, il nucleo di alleati etnici Kachin, Karen, Karenni e Chin del NUG – il cosiddetto “K3C” – è rimasto fermamente impegnato nella “Rivoluzione di Primavera” anti-golpe.
E’ ingenuo immaginare che decenni di sfiducia verso l’etnia dominante Bamar da parte delle altre etnie siano stati superati da un ritrovato affetto. E’ chiaro comunque che ogni organizzazione etnica ha fatto un calcolo freddo che partecipare attivamente allo smantellamento della dittatura militare serve ai propri interessi fondamentali e che c’è una guerra da vincere.
Ci sono poche ragioni per supporre che le lusinghe del SAC possano indurre a rivedere queste valutazioni, tanto più che i regolari attacchi aerei del regime massacrano le comunità civili etniche.
Infine il 2023 ha portato chiari prove di una pianificazione strategica che sostiene un nuovo livello di efficacia operativa. Questo spostamento ha riguardato in gran parte le operazioni congiunte tra armate etniche e PDF a livello regionale piuttosto che nazionale.
Queste campagne che mirano a livello nazionale alle arterie fondamentali per la comunicazione e i rifornimenti non accadono per caso ed implicano quasi certamente un alto grado di collaborazione.
La campagna pù impressionante è stata l’ultima: un’offensiva congiunta del 27 ottobre da parte della Brotherhood Alliance nello stato Shan Settentrionale.
Gli aderenti alla Brotherhood Alliance, vale a dire MNDAA, Esercito dell’Alleanza nazionale dei cinesi del Kokang nel Myanmar, il TNLA, esercito di liberazione dei Ta’ang di Ta’ang National e Arakan Army (AA) del Rakhine, hanno occupato la città di Kokang Chin Shwe Haw sul confine cinese insieme ad una serie di attacchi sull’autostrada tra Mandalay e il centro di frontiera di Muse che hanno tagliato il traffico sul collegamento di terra del Myanmar con la Cina.
Alleanze potenti
Probabilmente non per coincidenza, lo stesso giorno si sono avuti forti combattimenti nella città di Kawkareik, sulla Asia Highway che collega Yangon a Myawaddy, al confine con la Thailandia, dove la potente alleanza tra l’Esercito di Liberazione Nazionale Karen (KNLA) e le forze PDF, che ha addestrato e guidato, ha intensificato drasticamente gli attacchi quest’anno.
Negli ultimi mesi la stessa alleanza KNLA PDF ha esteso le operazioni nello stato Mon bloccando la strada tra Yangon e la città portuale di Mawlamyine, mentre nel nordovest un’altra campagna del KNLA ha preso di mira la valle del fiume Sittang dove corrono la strada e la ferrovia tra Yangon e Mandalay centrale.
All’estremità settentrionale della Valle del Sittang le operazioni si sono estese alla regione della capitale. Nel mese di agosto, l’aviazione militare ha condotto missioni di supporto aereo ravvicinato per le truppe del regime che erano sotto la pressione delle forze KNLA-PDF che sondavano la NCR in forza per la prima e improbabile ultima volta.
Più a nord, al confine degli stati Sagaing e Kachin, l’alleanza KIA-PDF continua a stringere la morsa lungo la linea vitale del fiume Ayeyarwady che collega le forze del regime nel nord al loro centro logistico di Mandalay.
Dando uno sguardo alle forze del SAC, non si capisce quali risorse strategiche aggiuntive il regime, che già combatte una guerra difensiva, possa mettere in campo per arrestare, e tanto meno invertire, l’attuale traiettoria del conflitto.
La forza del SAC sta sulla centralità istituzionale che gli deriva dal controllo sull’apparato dello stato. Ma politicamente un regime molto disprezzato sembra trovarsi in un cul de sac mentre la sua strategia di uscita basata su un’elezione controllata e un ritorno presunto ritorno alla democrazia è ora spostata dal 2023 al 2025.
Sul piano economico il Consiglio di Amministrazione dello Stato si trova davanti ad una crisi senza precedenti caratterizzata da prezzi in ascesa, croniche interruzioni di energia elettrica e un settore bancario minato dalle sanzioni.
Sul piano diplomatico, intanto, l’unico alleato impegnato del SAC resta la Russia, che è completamente impantanata in Ucraina e che non è né disposta né è in grado di salvare un protetto in difficoltà come ha fatto in Siria nel 2015.
Sul fronte militare, l’esercito, mentre sul piano operativo è ancora coeso, resta minato da un bacino di manodopera che si contrae e da una forte carenza di reclutamento.
Nel 2023, i livelli di forza insufficienti e troppo ridotti hanno portato a un notevole calo delle offensive su larga scala, a una crescente dipendenza da milizie non addestrate e al ricorso ben documentato della potenza aerea e dell’artiglieria che difficilmente conquistano cuori e menti.
Quando ad agosto l’esercito ha tentato un’offensiva per inscatolare Laiza, “capitale” kachin, al confine con la Cina, la concentrazione di forze che ha potuto radunare è stata di 1.000-1.500 uomini provenienti da diversi comandi. A fronte di un’emorragia quotidiana di vittime, la campagna del regime in Kachin ha avuto un impatto strategico minimo, se non nullo.
Più tipicamente, le recenti operazioni di terra hanno comportato controffensive frettolose per riprendere le posizioni perse dalla resistenza – a sud della città di confine thailandese di Myawaddy e nello Stato di Kayah a luglio, nello Stato di Shan settentrionale a settembre e intorno a Mogok nella divisione di Mandalay all’inizio di ottobre.
L’attuale lotta disperata per rispondere alle battute d’arresto nello Stato Shan settentrionale e per riaprire le strade verso la Cina metterà a dura prova le risorse dell’esercito.
In attesa del cigno nero
In questo contesto, il futuro a breve e medio termine del Myanmar si basa su una domanda centrale: quanto può durare l’attuale situazione di stallo tra una coalizione di resistenza sempre più aggressiva e un esercito svuotato che difende un castello di carta politico ed economico?
La risposta è impossibile da prevedere. Ma un “evento cigno nero” – un incidente imprevisto con conseguenze a cascata – che colpisca un edificio sempre più fragile e ponga fine all’attuale situazione di stallo strategico è praticamente certo.
Per definizione un evento cigno nero sfugge alle previsioni. Ma nel Myanmar di fine 2023 non è difficile immaginare una serie di scenari credibili e forse in sovrapposizione. In cima alla lista c’è un ritorno alla guerra della potente Arakan Army nel Rakhine che culmina in una perdita disastrosa di territori e un colpo mortale al morale del regime.
E’ ora plausibile la perdita completa dello stato settentrionale dello Shan a favore della Brotherhood Alliance, aggravata probabilmente da un improvviso colpo di stato da parte dell’Esercito dello Stato Unito di Wa, finora neutrale ma potente, volto a estendere il proprio controllo sullo Stato Shan orientale e meridionale.
Dopo uno qualsiasi di questi disastri alla Stalingrado, la possibilità di un conflitto violento nelle alte sfere dell’esercito innescato dalla rimozione, riuscita o tentata, del presidente del SAC e artefice del colpo di Stato, il generale maggiore Min Aung Hlaing, è poco credibile.
Allo stesso modo, è impossibile sapere in quale momento l’edificio del controllo del SAC sarà diventato sufficientemente fragile da soccombere a un evento al quale avrebbe potuto sopravvivere in precedenza.
Ci potrebbero volere tre mesi da ora, o sei o persino 24; data la velocità a cui è cambiata la traiettoria del conflitto nel 2023, è difficile prevedere un quadro temporale esteso su tre anni o di più.
Ciò di cui non si dubita alla fine del 2023 è la traiettoria stessa e la prossima inevitabilità di un evento cigno nero che potrebbe anche cogliere di sorpresa la stessa opposizione.
I vicini del Myanmar e, più in generale, la comunità internazionale farebbero bene a preparare risposte diplomatiche, umanitarie e giudiziarie per un “giorno dopo” in cui difficilmente sarà garantita una transizione graduale verso un nuovo ordine federale-democratico.
Anthony Davis, Asiatimes