Nel Mare delle Andamane, al largo della costa thailandese, un peschereccio in legno che trasporta alcune centinaia di emigranti disperati birmani è stata giovedì individuata nel Mare delle Andamane tra la Thailandia e la Malesia, parte dell’esodo in cui migliaia di persone si sono dirette in mare nelle ultime settimane anche se nessun paese li vuole accettare.
Grida di aiuto e di “non abbiamo più acqua” salgono dal peschereccio mentre si avvicinava una barca con giornalisti. “Dateci l’acqua per favore”.
Il peschereccio verde rosso, stipato di donne uomini e bambini accovacciati sulla plancia dotati di una plastica a proteggerli dal sole, era stato rigettato dalle autorità malesi il giorno prima, dice uno di loro.
Dicono di essere stati in barca per tre mesi e di essere stati abbandonati dal capitano e dalla ciurma sei giorni prima. Dieci di loro erano morti durante il viaggio ed i loro corpi sono stati buttati in mare, dicono i passeggeri.
Un ragazzino di 15 anni, Mohamed Siraj, dice di avere tanta fame e di venire dalla Birmania occidentale. “Aiutateci in fretta per favore”.
Non era chiaro quanto aiuto avrebbero ricevuto. I militari thai, allertati dai giornalisti di questo giornale della loro presenza, hanno dato dell’acqua e degli alimenti giovedì, poi hanno assistito la barca affinché prendesse largo venerdì, secondo il governatore della provincia thai di Satun, Dechrat Simsiri.
E’ un esempio drammatico della crisi migratoria che si trova davanti la regione. Ci sono dai 6000 ai 20 mila migranti in mare che scappano alla persecuzione etnica in Birmania e alla povertà in Bangladesh, mentre i paesi si accusano a vicenda e non vogliono prendersi alcuna responsabilità.
Si pensa che la maggioranza dei migranti sia diretta in Malesia, ma dopo che oltre 1500 profughi hanno toccato la costa in Malesia ed Indonesia la scorsa settimana, entrambi i paesi hanno dichiarato di voler respingere ogni altra barca di emigranti.
La Thailandia non ha stabilito una politica ufficiale da quando è iniziata la crisi oltre a voler indire una conferenza regionale per discutere il problema alla fine del mese. Si sa che la Thailandia non permette a dei migranti di toccare terra. Il comandante della nave della marina thailandese che ha intercettato il peschereccio ha detto che “era entrato illegalmente”.
La Marina Indonesiana ha rigettato una barca con migliaia di passeggeri giovedì, invitandoli ad andare in Malesia, dove le autorità locali avevano respinto due imbarcazioni con oltre 800 persone.
“Quello che abbiamo è un gioco a Ping Pong” dice Joe Lowry dell’IOM di Bangkok. “E’ un gioco a Ping Pong in mare con la vita umana. Quale sarà la conclusione? Senza essere oltremodo drammatico, se questa gente non è aiutata e portata a terra presto, avremo una nave di cadaveri”.
Il portavoce militare indonesiano Fuad Basya ha detto che “i militari respingeranno ogni imbarcazione che vuole entrare le acque indonesiane senza permesso comprese le navi dei Rohingya”.
Dopo che la Malesia ha rigettato un’imbarcazione con 500 persone a Penang il ministro degli interni disse: “Cosa ci aspettate che facciamo? Siamo stati attenti alle persone che sono penetrate nelle nostre frontiere .Li abbiamo trattati umanamente ma non possono allagare le nostre coste così. Dobbiamo inviare il messaggio che non sono benvenuti qui”.
Decine di migliaia di Rohingya, gruppo etnico musulmano apolide, sono fuggiti dalla Birmania nei vari anni scorsi per andare in Malesia o Bangladesh. Ma il loro esodo in queste settimane sembra aver preso un po’ tutti di sorpresa.
Dice Chris Lewa di Arakan Project che non esiste una ragione per queste partenze. Per i Rohingya un accumulo di sconfitte ha avuto il sopravvento compresi il diniego di permessi di pesca, che colpisce i Rohingya sia finanziariamente che per l’alimentazione, oltre all’insistenza del governo birmano che un milione di residenti in Birmania non sono suoi cittadini.
“E’ una combinazione di cose” dice Lewa “La loro vita si è fatta sempre peggio”. Il fatto che sono così tanti in mare comunque potrebbe essere una conseguenza non voluta della repressione thailandese sul traffico di schiavi. Dopo la scoperta di fosse comuni dove si crede siano presenti i corpi di decine di Rohingya e Bangladeshi, le auoirtà hanno chiuso vari campi di smercio nel meridione thai ed hanno messo in carcere decine di ufficiali di polizia e autorità locali per complicità nella tratta di schiavi.
I campi erano luoghi dove i migranti erano tenuti in prigione finché le famiglie non erano in grado di pagare il riscatto per il passaggio finale in Malesia. Per quanto orribili fossero questi campi, senza di loro, gli emigranti sono bloccati in mare per la paura che i trafficanti hanno di toccare terra in Thailandia.
“Il loro modello di affari è stato interrotto dalle operazioni in Thailandia” dice Lowry. “Alla fine ritorneranno perché il traffico di persone è molto remunerante, ma ora sono in attesa”.
Gli emigranti pagano circa 1800 dollari a testa per andare in Malesia insieme alla promessa di un lavoro al loro arrivo, dice Lowry. Ma lungo il percorso sono picchiati per avere altri soldi e in tanti non ce la faranno a raggiungere la Malesia, un paese musulmano che fino a poco tempo fa tacitamente permetteva la migrazione segreta dalla Birmania e Bangladesh di persone musulmane.
Le interviste con chi era sbarcato dalla nave sulla punta settentrionale di Sumatra ci dà uno sguardo delle condizioni brutali che hanno visto in mare e della disperazione che li ha portati a questo viaggio rischioso.
Hanno raccontato di aver atteso mesi sulla nave prima che salpasse poiché i trafficanti la volevano piena zeppa di passeggeri paganti. Erano costretti a restare in attesa in spazi ristrettissimi, uno di fronte all’altro. Un giorno si e l’altro no avevano del riso e spaghettini con un po’ di acqua. Un buco sul pavimento, aperto sull’oceano, serviva da toilette.
I passeggeri pregavano o parlavano a voce bassa con le voci interrotti dai conati di vomito.
“Non c’erano canti ma solo pianti” dice Muhammed Kashim del Bangladesh. Dopo sette giorni che era iniziato il viaggio, il capitano thai della nave si fermò improvvisamente in mare. Il giorno dopo arrivarono uomini armati con barche veloci, salirono sulla nave e derubarono gli emigranti delle cose di valore. Dopo capitano e ciurma abbandonarono la nave nelle barche veloci.
Mahammed Hashim, Rohingya del distretto di Kyauktaw nell’Arakan, ha detto che i rischi del viaggio in una nave malandata con poca a acqua e cibo erano inferiori a quelli che vivono in Birmania.
“Pensavamo che sarebbe giunto il pericolo ma non esisteva alternativa. Vivevamo in un paese che è più pericoloso del mare”.
Sono stati fortunati. Un giorno dopo la nave ha toccato la costa indonesiana dove la politica non è di rimandare indietro una volta che hanno toccato terra.
I 584 passeggeri, tra i quali ci sono 59 bambini e 86 donne di cui cinque in attesa, potranno richiedere lo status di rifugiati con l’agenzia dell’ONU in un processo che durerà dei mesi. Per ora sono ospitati in un luogo del governo a Paya Bateung nella provincia di Aceh. Lì dormono sul nudo pavimento ma hanno coperte, acqua e del cibo.
Per i Rohingya, che sono apolidi, c’è la possibilità concreta dell’asilo. Ma gli altri 208 bangladeshi saranno considerati emigranti che, senza la possibilità di lavorare in Indonesia, sceglieranno di tornare a casa, dice Savage dell’ONU.
Mahammed Jahangir Hussein del Bangladesh ha detto che quella non era un’opzione. Suo padre si era venduto casa e terra per ricavare 3250 dollari per pagarsi il viaggio e un lavoro in Malesia.
“Se il governo indonesiano dice che non possiamo lavorare, qui tutti dicono lavoriamo in un altro paese. Non abbiamo nulla più a casa.”
Quando gli chiediamo del futuro, agita le braccia verso gli altri emigranti intorno a sé e verso le mura di cemento della costruzione dove sono ospitati. “Questo è il mio futuro”.