Il massacro di Tak bai è stato prescritto e quindi non c’è nessun responsabile, e le scuse del governo non bastano a portare avanti la riconciliazione nazionale
E’ stata sempre una cosa senza speranza ma i musulmani di etnia malese nella regione di frontiera meridionale non hanno mai perso la speranza che il governo avrebbe cambiato il codice penale per poter estendere i termini della prescrizione per l’infame massacro di Tak Bai.
Hanno sperato che tutti i quattordici sospettati, che ora sono personale governativo in pensione, sarebbero potuti finire davanti alla giustizia per aver causato la morte di 85 manifestanti disarmati a Tak Bai il 25 ottobre 2004.
La prescrizione è scattata venerdì senza che sia stato messo sotto custodia nessuno degli accusati sebbene fossero stati emessi dei mandati di cattura nei loro confronti.
Nelle settimane passate ci sono state dimostrazioni continue e seminari su quell’incidente tra cui una audizione del senato e una protesta pubblica di fronte ad una base militare nella provincia di Yala, in cui la gente ha chiesto al governo di emendare il codice penale e dimostrare il proprio impegno per la giustizia.
La primo ministro thai Paetongtarn Shinawatra e i membri del suo governo hanno trovato la scusa delle procedure legali dicendo che devono essere esaminate molto bene e che bisogna osservare il giusto processo.
Nel chiedere scusa ai parenti delle vittime giovedì scorso, la premier ha detto che sarebbe stato costituzionalmente impossibile estendere i termini della prescrizione nel caso di Tak Bai oltre il 25 ottobre.
Nessuno voleva ammettere il fondamento politico di quell’incidente né come fossero in gioco il sistema giudiziario del paese e la sua posizione internazionale.
Delle 85 vittime sette furono sparate al sito della protesta, mentre il resto morì soffocato per essere stati accatastati come legname sui cassoni dei camion militari, dopo essere stati arrestati e detenuti.
C’erano quasi 1400 manifestanti che chiedevano il rilascio di sei persone della sicurezza del villaggio accusate dalla polizia di aver dato volontariamente le armi in dotazione ai militari all’insorgenza separatista.
Il massacro avvenne durante il mese santo del Ramadan sacro per i musulmani.
Il generale Pisarn Wattanawongkiri, il comandante militare di maggior grado nella regione che era al sito della manifestazione, fu trasferito velocemente. Qualche mese dopo sarebbe andato in pensione con gli onori dell’esercito reale thailandese.
Appena dopo quella strage iniziò a circolare molto un video clip mosso che mostrava i manifestanti presi a calci e colpiti con il calcio dei fucili, mentre erano costretti a strisciare sui camion.
Il messaggio dato a loro e ai musulmani di etnia malese, che costituiscono 85% dei 2 milioni di cittadini di questa regione storicamente contesa era chiaro. Siete un popolo sconfitto e non c’è molto che possiate fare se non imparare a vivere in questa realtà. Non dimenticate che sfidare le autorità comporta un costo oneroso.
Questo messaggio naturalmente fu rigettato immediatamente.
Il massacro di Tak Bai divenne parte di un discorso potente non solo per la popolazione musulmana di etnia malese locale perché rafforzava la loro storica sfiducia nello stato Thai, ma anche per l’insorgenza separatista che l’ha usata come una ragione per reclutare militanti.
Il premier di allora, Thaksin Shinawatra, con un gesto indicato di buona volontà, lanciò la campagna di “offensiva di pace” per calmare la furia degli abitanti malesi della frontiera meridionale thai.
Chiese alla gente di fare degli origami ad uccelli di carta che furono lanciati dagli aerei militari nel meridione. Chi raccoglieva 20 uccelli di carta aveva diritto ad un cartone di latte.
Nonostante le intenzioni, questa offensiva di pace rese perplessi sia i militanti che la gente del meridione che davano una interpretazione del tutto differente degli uccelli di carta.
La comprensione musulmana di far lanciare gli uccelli è la battaglia, disse il parlamentare Surin Pitsuwan anch’esso un musulmano in parlamento.
Lui indicò la Sura 105 del Corano in cui Dio manda giù stormi di uccelli verso i suoi nemici per appiattirli come foglie di erba.
Il primo ministro Surayud Chulanont che fu nominato da una giunta dopo il golpe contro Thaksin nel 2006, chiese scusa alle famiglie delle vittime di Tak Bai durante un incontro al comune nella provincia di Pattani nel 2007.
Ma lo stato thai e la società non sentirono il bisogno di consolidare le scuse di Surayud, né fu eretto un monumento pubblico o un evento ufficiale per commemorare il tragico evento.
A maggio 2009 la corte provinciale di Songkla decise che gli ufficiali della sicurezza inviati a reprimere la protesta di Tak Bai avevano agito secondo i propri doveri e che 78 vittime erano morte per soffocamento.
In altre parole morirono come conseguenza di circostanze sfortunate piuttosto che per atti intenzionali e non si disse nulla degli altri sette sparati sul posto.
Nel 2012, il governo di Yingluck Shinawatra diede oltre 200 mila euro di risarcimenti alle famiglie di ogni vittima. Il risarcimento economico comunque non è uguale alla giustizia indipendentemente dalla ferma volontà di Thaksin e dei suoi alleati.
Ad agosto e settembre scorsi un tribunale Thai decise di portare avanti i processi e accusare 14 uomini dal generale Pisarn fino agli autisti dei camion. Per alcuni significava dare una possibilità di giustizia, per altri una opportunità per chiudere, sanare le ferite e andare avanti come nazione.
A metà del 2001 l’insorgenza era ricomparsa dopo un intervallo di dieci anni. Ma la loro presenza non era stata ufficialmente riconosciuta dal governo di Thaksin fino al momento in cui realizzarono un importante furto di armi da un deposito militare nella provincia di Narathiwat, dove si trova Tak Bai, nel 2004.
Venti anni dopo sono morte 7500 persone dalla violenza legata all’insorgenza e non si vede ancora la fine nonostante vari tentativi di negoziati con i ribelli.
Le iniziative di pace non sono mai andate oltre le misure di costruzione della fiducia.
Dato il patto faustiano che ha unito i militari e il potere conservatore al partito di governo del Pheu Thai, è probabile che il negoziato di pace sarà persino più difficile che in passato.
Con l’avvicinarsi del ventesimo anniversario di quell’evento, la violenza nel meridione profondo ha avuto un picco. Ma gli attacchi di questo anno sono stati più cattivi forse perché la prescrizione per Tak Bai si avvicinava, e forse perché i militanti separatisti avevano bisogno di ricordare al paese, specie le forze della sicurezza nel profondo meridione fortemente militarizzato, che il caso non era affatto concluso.
Il partito di governo di oggi, Pheu Thai, un figlioccio del Thai Rak Thai, è guidato dalla giovane figlia di Thaksin, Paetongtarn. Pisarn è diventato un membro importante del partito e parlamentare fino alle sue dimissioni del 14 ottobre per distanziare il partito dal caso.
Come tutti gli altri accusati dal tribunale thailandese ad agosto, Pisarn è scomparso e si può dire la stessa cosa della riconciliazione nazionale.
Don Pathan, Benarnews