Queste donne fanno parte del Kiper, un gruppo di sostegno nato nel 2005 per le sopravvissute della purga anticomunista del 1965 che fece almeno cinquecentomila morti, cifra stimata.
Un gruppo di donne si saluta con calore nella casa a Yogyakarta una domenica pomeriggio. Si sorridono e si danno la mano prima di sedersi sul materasso.
Cominciano dando del denaro, l’equivalente di 60 centesimi di euro ad una donna nominata cassiere del gruppo. Loro si radunano regolarmente, arisan in indonesiano, una volta al mese ed i partecipanti contribuiscono alla lotteria che un fortunato vincitore si prenderà quel giorno.
Mentre l’arisan è una pratica comune in Indonesia, questo arisan per queste donne anziane, è qualcosa di più della socializzazione o della vincita di una lotteria.
Queste donne fanno parte del Kiper, un gruppo di sostegno nato nel 2005 per le sopravvissute della purga anticomunista del 1965 che fece almeno cinquecentomila morti, cifra stimata.
Alzare la voce
“Abbiamo istituito questo gruppo di sostegno reciproco poiché la gran parte delle vittime non ha la forza di parlare delle proprie esperienze se non con chi ha vissuto la stessa cosa” dice la coordinatrice del Kiper Erlin Agus Sudadi.
Milioni di indonesiani furono arrestati, detenuti, torturati o uccisi dopo un presunto tentativo di golpe attribuito al Partito Comunista Indonesiano, PKI, il 30 settembre 1965.
La repressione sul partito e sui suoi simpatizzanti fu condotta da Suharto, comandante dell’esercito, e l’intera sciocchezza del golpe comunista è stata riconosciuta come tale da tutti come pretesto per il golpe militare contro il presidente Sukarno.
“E’ importante parlare delle ferite che hanno sofferto durante la prigionia” dice Erlin dei sopravvissuti. “Non cancelleranno le cicatrici, ma almeno hanno un luogo pieno di amici che non le giudicherà, ma al contrario le sosterrà. Sebbene la maggioranza sia già vecchia, hanno grande entusiasmo nella frequenza a questi incontri.”
Gli incontri avvengono due volte al mese e partecipano gente di Yogyakarta e le vicine città di Giava Centrale. “Ora Kiper ha 40 membri, ma non sempre ci ritroviamo tutti per le malattie” dice Erlin che fa notare che la maggioranza ha più di 60 anni.
Le donne parlano non solo del loro passato ma anche della loro vita quotidiana. Erlin dice che raccolgono una piccola quota, 25 centesimi di euro a testa, e il denaro raccolto è dato a colei che più ne ha bisogno e che dovrà solo continuare a venire e versare la propria quota.
Storie di sofferenza
Erlin che ha 49 anni è troppo giovane per ricordare quel periodo oscuro di storia che comunque ha irrevocabilmente formato la sua vita: i suoi genitori erano tra gli arrestati ed incarcerati nel 1965.
Ma a ricordare è Endang Lestari che al momento del suo arresto a casa da parte dei militari senza neanche un mandato era una studentessa di 20 anni. Era accusata di essere simpatizzante del PKI perché faceva parte del Movimento Unito degli Studenti Indonesiani, CGMI, che aveva legami col PKI. Quel tenue legame bastò a gettarla nella infame prigione Plantunang a Kendal Giava Centrale, dove vi rimase per 14 anni.
“Quando ero giovane, ero idealista e audace. Indipendente. Avevo un sogno da inseguire” dice Endang. “ma dopo essere rimasta 14 anni in prigione, si è perso qualcosa dentro di me.” Dice di continuare a soffrire di qualche dolore inspiegabile. “Talvolta sono per strada. Mi sento ansiosa senza alcuna ragione, tanto da non riuscire a respirare”.
“Dopo essere entrata nel Kiper la frequenza di questi attacchi è scesa gradualmente. Qui con le altre vittime posso parlare delle mie paure, e chiaramente loro provano le stesse cose che vivo io.”
Ma non parlerà delle sue esperienze in carcere.
Per Sri Muhayati, 73 anni, fondatrice del Kiper, il suo arresto nel 1965 terminò il sogno di diventare dottore. Ma più importante ancora, la sua condizione di prigioniera politca ha avuto maggiori ripercussioni sulla sua famiglia specie i figli.
“Quando ero in prigione, a farmi soffrire di più era lo stigma che la mia famiglia riceveva dalla comunità” dice Sri. “Le mie sorelle ed i miei fratelli erano chiamati servi del PKI. La mia sorella più piccola non poteva neanche stare col suo fidanzato a causa mia.” Ed aggiunge: “Non ho vissuto violenza fisica o sessuale nei miei cinque anni di prigione a Yogyakarta poiché aiutavo gli ufficiali ad aver cura dei prigionieri malati in carcere. Ero utile e loro non si curavano di mettere le loro mani su di me”. Sri dovette abbandonare la scuola di medicina di Yogyakarta.
“Ma il fatto che la mia prigionia ha avuto così tanti effetti cattivi sulla mia famiglia mi ha fatto paura per anni. Non potevano aver lavori con il governo. Avevano difficoltà ad andare nelle scuole pubbliche. Quando poi uscii dal carcere decisi di cancellare il mio nome dalla famiglia. Non volevo essere un peso ai miei fratelli e sorelle. Non volevo che il mio passato li torturasse.” conclude in lacrime.
Incubo reale
Christina Sumarmiyati che ora ha 69 anni era la figlia del presidente del Fronte dei Contadini, BTI, e sin dalla scuola superiore aveva nutrito l’interesse ad insegnare agli analfabeti del suo villaggio nel distretto Sleman di Yogyakarta a leggere e scrivere. Si unì nel 1962 all’associazione dei giovani e studenti indonesiani IPPI che aveva come fine l’istruzione delle comunità di campagna attraverso la lettura di buoni libri.
“Ricordo che Sukarno una volta disse che per migliorare la qualità della nazione dovevamo motivare la giovane generazione a leggere buoni libri.” dice nella sua casa di Yogyakarta. “Amavo insegnare ed amavo aiutare la gente del mio villaggio a diventare istruiti come me”.
Ma alla fine di dicembre 1965 Christina fu arrestata, senza mandato. Fu tenuta nella prigione Cebongan di Sleman senza accusa insieme ad altri 500 prigionieri fino ad aprile 1966 quando fu rilasciata senza una spiegazione. Per mesi dovette presentarsi per controllo due volte alla settimana. “Ma ad aprile 1968 seppi che era appena iniziato il punto iniziale del mio incubo reale quando fui riarrestata dai soldati che fecero irruzione nella mia stanza del dormitorio a Yogyakarta.” dice Christina. “Mi accusarono di fare parte di Gerwani, che dicevano aveva ucciso quei sei generali a Lubang Buaya, Giacarta”. Si riferisce al movimento delle Donne Indonesiane, legato strettamente al PKI che sarebbe stato coinvolto nel sequestro e nella tortura dei generali indonesiani da parte del PKI all’inizio del “golpe”. Fatto che poi è stato dimostrato essere solo propaganda.
“Ero una studentessa al dipartimento di insegnamento UGM. Insegnavo privatamente anche. Facevo parte di un’organizzazione di studenti all’università. Non ero né lo sono ora parte del Gerwani.” dice con enfasi. “Ma continuarono a costringermi ad ammettere un crimine mai fatto. Fui abusata sessualmente, torturata. Mentalmente violentata. Solo per farmi dire quello che volevano dicessi. Ma ero risoluta così continuarono ad infliggere crudeltà su di me.”
Christina aggiunge che altri prigionieri a Plantunang subirono la stessa sua tortura.
“Alcune delle prigioniere che conoscevo entrarono incinta in prigione, probabilmente da parte delle guardie.” dice Sri Wahyuni, ottant’anni, un membro del Kiper torturata e incarcerata per sei anni.
Senso di sollievo
Sebbene la condivisione delle esperienze con le altre donne del Kiper abbia aiutato Sri Wahyuni ad alleggerirle il fardello di dolore che ha dovuto portare per mezzo secolo, lei non ha mai dimenticato davvero la sua traumatica esperienza.
“Non provo rancore. E’ solo che il dolore non mi lascia ogni volta che lo ricordo. E’ diventata una parte di me” dice Sri che ora cammina con le stampelle.
Sri faceva parte di Gerwani. Fu arrestata nel 1965 e rilasciata nel 1971. “Fui violentata in prigione. Una volta i soldati mi picchiarono fino a che non potetti muovermi” dice aggiungendo che la sua disabilità è dovuta alle violenze fisiche sofferte in carcere.
Con Kiper dice di avere il sostegno delle amiche. “Mi sento felice ed in pace. Ma talvolta piango” dice Sri.
Erlin dice che comprende quel sentimento. “Figlia dei miei genitori, sento una sensazione di sollievo nell’essere tra le donne della comunità. Ma non voglio che i miei figli ereditino questo dolore e neppure i miei nipoti. Non voglio che sappiano del fatto amaro dell’arresto dei nonni.”
Il consigliere del Kiper, Pipit Ambariah dice che l’organizzazione, creata con l’aiuto di un gruppo islamico di Yogyakarta è qualcosa di più di una comunità di arisan per i suoi membri.
Dal momento che è partner di ONG locali e internazionali, Kiper ha tenuto un programma di sostegno contro il trauma oltre a workshop sul rafforzamento delle donne e sull’imprenditorialità.
“L’ultima organizzazione con cui abbiamo cooperato è Asia Justice and Rights con il programma di sostegno del trauma” dice Pipit di 33 anni i cui genitori erano anch’esse vittime della repressione. I membri del Kiper hanno fatto pressione per incontrare rappresentanti del governo ed ad aprile hanno avuto questa possibilità di incontrare i rappresentanti del distretto.
“Con quell’incontro i governi locali hanno alla fine saputo dell’esistenza delle vittime e hanno offerto aiuto. Hanno detto che potevano darci dei fondi. Ma perché potessimo accedere ai finanziamenti abbiamo dovuto stabilire la rappresentanza legale” dice Pipit.
A questo Kiper sta lavorando al momento. “Oggi abbiamo invitato un avvocato per spiegare ai membri l’importanza della legalizzazione. Vedete che ogni giorno i nostri membri hanno qualcosa di nuovo da apprendere.” dice Pipit. Essa aggiunge che, nonostante lo stigma presente ancora su chiunque fosse stato persino falsamente legato al PKI, Kiper non ha attirato nessuna risposta negativa dalla comunità locale.
“Gran parte delle sfide proviene dai membri stessi specialmente quando si vuole coinvolgere le famiglie con noi. Alcuni hanno paura di dire la verità alle famiglie che quindi non sanno del Kiper. Alcuni hanno figli a cui non importa nulla” dice Pipit.
Porta una luce
I recenti sviluppi hanno dato un segnale incoraggiante che l’Indonesia stia forse pronta ad affrontare quel periodo nero della sua storia e riconciliarsi con le vittime, se non portare i colpevoli di fronte alla giustizia. La Commissione Nazionale dei diritti Umani Komnas HAM pubblicò un rapporto epocale nel 2012 in cui per la prima volta riconosceva ufficialmente che la purga anticomunista del 1965 costitutiva una grave violazione dei diritti umani. Comunque i tentativi ripetuti di approdare all’avvocatura dello stato per lanciare l’inchiesta hanno trovato solo il rigetto.
Molti critici hanno sempre dubitato che il presidente Yudhoyono avrebbe fatto qualcosa di significativo per affrontare le atrocità del passato, dal momento che suo suocero, Sarwo Edhie Wibowo, era il comandante dell’esercito che propugno gli arresti e gli omicidi.
L’anno 2012 vide anche la nomina all’Oscar del documentario “The act of Killing” del regista Joshua Oppenheimer che descriveva le atrocità attraverso gli occhi degli assassini. Lo stesso regista ha rilasciato la sequela “The look of Silence” che è il resoconto di un sopravvissuto.
A luglio di quest’anno l’Indonesia ha votato a presidente il governatore di Giacarta Joko Widodo scegliendo questa volta un leader che non ha legami col passato del vecchio dittatore.
Joko con i suoi legami alla figlia di Sukarno Megawati è stato prescelto come la persona giusta per chiedere un’inchiesta sulla purga anticomunista.
“Spero che Joko possa portare qualche luce per sollevarci del peso del nostro passato. Mentre non sono totalmente sicura che potrà rivelare il passato oscuro di questa nazione, spero che il prossimo governo almeno riconoscerà le vittime del 1965” dice Christina.
Sri dice che non serba alcuna rabbia. “Non voglio null’altro che la volontà del governo a riconoscere la nostra esistenza come parte della storia di questa nazione. Per gente come noi, che ci venga tolta l’onta ha molto più valore del denaro”
Kennial Karoline Lala, Jakartaglobe