L’ ondata di caldo torrido che quest’anno ha colpito gran parte del Sud-Est asiatico con temperature giornaliere che hanno superato i 40 gradi Celsius è una avvisaglia incendiaria di ciò che accadrà.
Da decenni salgono le temperature medie e questo secolo Thailandia, Myanmar e Vietnam sono tra i paesi più colpiti dal cambiamento climatico e dal riscaldamento globale.
Mentre la temperatura sale in una regione di oltre mezzo miliardo di persone che vivono in gran parte in base ai raccolti locali come il riso, saranno colpiti gravemente la produzione alimentare e la produttività del lavoro.

L’impatto sulla sicurezza umana a sua vota toccherà la stabilità economico-sociale e cambierà le relazioni regionali. Il cambiamento climatico è di già un fattore chiave di conflitti in Africa ed il Sud Est Asiatico poi non è poi così lontano.
Al momento il cambiamento climatico già impone difficoltà alle popolazioni che già vivono in zone di conflitto. Myanmar è considerato uno dei paesi più vulnerabili al mondo verso eventi climatici estremi come ondate di calore, allagamenti e cicloni.
Nella zona secca del Myanmar centrale, in aree già colpite da siccità e crescenti temperature medie c’è una resistenza determinata al governo imposto dai militari sin da febbraio 2021.
Nel Sagaing e nel Magway, regioni sempre più aride che dipendono moltissimo dall’agricoltura, i contadini lottano da anni per la sopravvivenza e la risposta principale è stata la emigrazione verso nord e verso est verso Cina e Thailandia.
Ora anche se la gente riesce ad emigrare verso aree e città più sviluppate della regione centrale del Myanmar, la mancanza di acqua potabile e di elettricità rende l’esistenza difficile in luoghi dove si deve lavorare anche con temperature superiori ai 40 gradi Celsius.
La gestione di questa lenta comparsa degli impatti del cambiamento climatico è stata ostacolata dalle risorse limitate dello stato e dalla resistenza armata alle autorità centrali come mostrato all’indomani del ciclone Mocha, supertifone che ha colpito a metà maggio lo stato del Rakhine.
Oltre alle difficoltà di entrare nelle aree colpite controllate dalla resistenza, l’ONU ha citato ostacoli alla fornitura del tanto necessario aiuto posti dalle restrizioni bancarie e dal bisogno di avere le autorizzazioni di spostamento a Yangon.
Sebbene scarseggino informazioni e dati dettagliati, il Myanmar potrebbe essere il primo paese della regione a vedere un grave impatto sulla sicurezza umana del nesso debilitante tra cambiamento climatico e conflitto
In altre parti della regione, la stagione secca particolarmente calda di questo anno ha portato con sé problemi economici e di salute: la combinazione di alte temperature e inquinamento atmosferico derivante dagli incendi delle stoppie ha colpito la salute e i residenti del Nord thailandese riducendo anche l’importante industria turistica.
A Chiang Mai l’indice di qualità dell’Aria che misura il particolato PM2.5 è restato oltre 300 per due settimane dalla fine di marzo, di 20 volte oltre il limite massimo raccomandato dall’OMS.
Ne è conseguito che l’occupazione degli hotel è scesa sotto il 50% nell’alta stagione turistica, mentre oltre 2 milioni di persone sono state finite in ospedale a curare le conseguenze del tratto respiratorio.
Mentre non c’è un conflitto interno che paralizza come nel Myanmar, gli studi indicano che sono comparse tensioni locali tra i residenti delle città colpiti dall’inquinamento e gli agrari delle province accusati di bruciare le stoppie.
Prima delle elezioni generali di metà maggio, il governo thai si è mosso per ordinare alla gente di lavorare da casa nelle aree più colpite ed ha invitato i paesi vicini a fare qualcosa per ridurre l’incendio delle stoppie.
Queste cose saranno la routine nella regione quando ogni anno cresceranno gli impatti del cambiamento climatico.
Ci si pone la domanda di quanto siano preparati i governi regionali alle conseguenze economiche e sociali più gravi e di cosa bisogna fare per aiutare la regione a dare una risposta più efficace.
Forse potrebbero essere utili gli strumenti del dialogo e della mediazione.
Nelle zone di conflitto come il Myanmar, come nelle parti dell’Africa, dove la governance è ostacolata dal conflitto, sarà importante aiutare le comunità ad aiutarsi da sole.
Ma anche mentre sono escluse soluzioni calate dall’alto, i gravi impedimenti imposti alle società civili locali e alle organizzazioni umanitarie rendono difficile estendere aiuti e sostegno alle comunità colpite.
Nel Myanmar l’ONU nota che c’è “il grande rischio che il soccorso per i disastri naturali, come cicloni, allagamenti e siccità, sarà minato o usato come mezzo politico di oppressione, mentre i militari impediscono alle organizzazioni umanitarie di aiutare le popolazioni colpite”.
Per far fronte al peggioramento della situazione, gli esperti invitano le agenzie di aiuto internazionali ad attingere alle reti della società civile locale, soprattutto nelle aree di conflitto. Nelle aree più stabili, dove il governo e la società civile operano senza ostacoli, ci sono ancora problemi significativi nella gestione della situazione.
La colpa del degrado ambientale è posta con facilità sulle spalle dei gruppi vulnerabili della società. La condivisione dei dati è un grandissimo ostacolo tra gli stati in una regione dove la sovranità diventa un ostacolo alla cooperazione. La profonda sfiducia e disallineamento tra strutture statali e società civile causa il lento progresso nel disegnare efficaci strategie e politiche di contrasto.
La più grande difficoltà sarà forse gestire gli spostamenti di popolazione dovuti al cambiamento del clima. Che siano volontari, costretti o pianificati, e per quanto poco evidenti oggi, i movimenti in grande scala di persone diventeranno una caratteristica della risposta della regione al cambio del clima.
I disastri naturali hanno cacciato dalle case quasi 8 milioni di persone in Indonesia, Myanmar, Vietnam e Filippine nel 2021 secondo il Centro di monitoraggio degli spostamenti interni di Ginevra. La banca mondiale stima che nel Basso Mekong fino al 2050 saranno cacciati dalle case da 3,3 a 6,3 milioni di persone.

Ci vogliono forti strutture di governo in alcuni paesi per aiutare ad assicurare che vadano avanti i ricollocamenti preventivati. La sfida maggiore sarà la migrazione tra paesi che colpisce diritti del lavoro e diritti umani per cui saranno necessari accordi e monitoraggi interstatali.
In sintesi visto che le crescenti temperature e le siccità, per non citare la rapida insorgenza di eventi atmosferici estremi, hanno già un peso sulla sicurezza umana nella regione, sarà necessario affrontare a livello nazionale e regionale una anticipazione e pianificazione istituzionali.
Affidarsi alle agenzie internazionali e alle iniziative globali non darà necessariamente risposte adatte alla regione né affronterà specifici impedimenti alla cooperazione.
C’è bisogno urgente piuttosto di un approccio concertato minilaterale
Michael Vatikiotis Consigliere pressoCentre for Humanitarian Dialogue ASIATIMES