La Thailandia forse non ha avuto così tanti golpe e costituzioni come, diciamo, il Venezuela o la Repubblica Domenicana, ma li supera per la velocità con cui li ha cambiati. Il tempo di vita medio di una costituzione è appena più di quattro anni.
A maggio dello scorso anno, dopo mesi di proteste per le strade, il generale Prayuth e altri generali anziani rovesciarono il governo eletto del Premier Yingluck Shinawatra. La giunta che seguì a quella santificata tradizione dei golpisti thai, immediatamente abolì la diciottesima costituzione permanente del paese.
Ne hanno proposta una nuova ad aprile. La costituzione provvisoria, presumibilmente la pietra angolare del percorso del regine verso la “democrazia sostenibile”, è un grande passo indietro. E il recente annuncio di sottoporre il testo ad un referendum popolare appare come un progetto malcelato di estendere il suo potere nel tempo, dal momento che tenere un referendum implica di spostare la data delle elezioni generali almeno fino ad agosto o settembre 2016.
Ogni tentativo della giunta di giustificare la propria posizione in realtà mina la sua legittimità.
La bozza costituzionale indebolisce i partiti politici, propone che il Senato sia in gran parte nominato. Permette un primo ministro non eletto. La sezione che porta il titolo “Il buon comando e il sistema politico desiderabile” vieta a chiunque abbia il mandato di esercitare “il potere e i doveri per creare la popolarità politica che, nel lungo periodo, potrebbe essere negativa per il sistema economico nazionale o il pubblico.”
Il testo crea anche una serie di meccanismo e corpi di osservazione che potrebbero rimuovere i politici eletti. Il corpo più importante e problematico è l’Assemblea Morale Nazionale che è composta per lo più da rappresentati nominati e che potrebbe iniziare le indagini di messa sotto accusa secondo un Codice Etico che deve ancora essere specificato.
La costituzione del generale Prayuth, nonostante le parole di moda della partecipazione, responsabilità e eguaglianza sostenibile, incollerà ad un sistema politico antidemocratico la filosofia. La bozza è un passo di allontanamento dalla costituzione del 2007 che a sua volta era peggiore della costituzione del 1997, la cosiddetta costituzione popolare e discutibilmente la più democratica della Thailandia.
Gran parte di chi scrisse la costituzione del 1997 fu eletto. Il suo testo fu oggetto di una consultazione pubblica. Includeva estese protezioni senza precedenti per i diritti politici e sociali, fornendo altresì un esecutivo più forte e partiti politici più forti e pesi e contrappesi.
La costituzione del 1997 forse è stata troppo democratica, per lo meno per le elite tradizionali di Bangkok: i grandi affaristi, monarchici ultraconservatori e militari di alto grado e la burocrazia. Thaksin Shinawatra, magnate delle telecomunicazioni e politico della provincia, fu eletto primo ministro nel 2001 su una piattaforma populista che promuoveva un sistema sanitario universale, sussidi agricoli e accesso al capitale nelle aree rurali. Vinse la fedeltà dei contadini, dei lavoratori e poveri delle campagne, per lo più nelle aree popolose del Nord e Nordest, instillando in loro un appetito per valori democratici e l’ordine costituzionale.
Le elite di Bangkok, accusando il governo di Thaksin di corruzione e di aver monopolizzato il potere, lanciò il golpe contro di lui nel 2006. Fu messa assieme una nuova costituzione che, con la riduzione delle libertà democratiche, avrebbe dovuto prevenire il ritorno al potere di populisti indesiderabili. Ma da allora si percorse la stessa strada, con i partiti vicino a Thaksin che vincevano tutte le elezioni e le elite che si organizzavano per la loro rimozione con i tribunali o con i militari.
Non appena il generale Prayuth e la sua giunta presero il potere cacciando Yingluck lo scorso anno, sembrò chiaro che avevano intenzione di restare per un bel po’. Virtualmente tutti i loro nominati all’Assemblea legislativa Nazionale, al Consiglio Nazionale della Riforma e al comitato di stesura della costituzione sono burocrati di Bangkok, generali, studiosi e affaristi ultraconservatori. E l’intero esercizio di scrittura della costituzione appare come una tattica dilazionatoria elaborata designata a mantenere chi sta al potere.
Lo scorso anno, sotto la pressione dei governi stranieri e dei partiti politici thai, la giunta svelò un percorso per le riforme, tra i quali una nuova costituzione che portava ad una elezione generale per il febbraio 2016. Ma poi giunse la bozza. Prevedibilmente il testo era stato largamente condannato, non solo dai partiti di Thaksin e dai gruppi democratici, ma da tutti i partiti politici di ogni colore. E allo stesso modo, i partiti che avevano fatto clamore per le elezioni immediatamente si fermarono: qualunque cosa era migliore dell’applicazione di questa costituzione.
La giunta allora fece finta di non voler tenere un referendum: all’inizio inveì contro l’idea di un referendum, per rilassarsi dopo come se stesse rispondendo alla pubblica opinione. Eccetto naturalmente per il fatto che organizzare un referendum richiede che si cambi la data delle elezioni, e finché non ci sono elezioni la giunta resta al potere.
E’ un gioco pericoloso. Per una cosa, i thai potrebbero rigettare la costituzione in un referendum.
L’unica altra volta che si tenne un simile plebiscito fu nel 2007; la gente ha visto quanto poco sia servito votare sì allora; e la bozza attuale è persino meno democratica di quella. Un voto no sarebbe un duro ammonimento per la giunta, un rifiuto del suo golpe e una grande perdita di legittimazione, sufficiente affinché Prayuth si dimetta.
Ma lo farebbe? Perché? Qual’era comunque la ragione di questo golpe? Non certo la democrazia. Piuttosto doveva servire a mettere in piedi un sistema che tenesse fuori dal potere Thaksin e i suoi alleati. Thaksin rappresenta l’altra Thailandia, quella delle campagne, ed i tradizionalisti lo vedono come un usurpatore. Re Bhumibol è spesso ritratto come un monarca del popolo che si dedica ai poveri. Thaksin prese il suo posto, in realtà, scuotendo le fondamenta del senso di identità dello stato thai.
In un rifletto conservatore, Prayuth e le elite tradizionaliste si rivolgono alla monarchia per reclamare la legittimità. Hanno raddoppiato gli sforzi per cacciare la gente che percepiscono come una minaccia alla famiglia reale, invocando la durissima legge di maestà per imprigionare i dissidenti per inimmaginabilmente lunghe sentenze, spesso per affermazioni ambigue. Chi succederà a Bhumibol, anziano e malato, è di estrema preoccupazione per la giunta.
Eppure è una preoccupazione che tradisce quanto i generali siano distanti dalla nuova Thailandia. Credono ancora che la monarchia è il sommo simbolo unificante del paese anche se la sua influenza sia in declino da metà degli anni 2000.
C’era un tempo quando una giunta militare thai poteva abbattere un governo eletto, stracciare la costituzione, far sì che una corte legittimasse il proprio golpe, ricevere la benedizione reale, riscrivere una nuova costituzione, garantirsi un’amnistia per tutti i propri guai, e finirla lì.
Ora non sarà più così.
David STRECKFUSS, The New York Times