Owners of the map sono i tassisti in motocicletta che ritroviamo in ogni angolo di strada a Bangkok.
Claudio Sopranzetti venne a Bangkok dal Centro Italia via l’Università di Harvard nel 2008 in cerca di un argomento per una dissertazione sull’antropologia urbana.
Scelse i tassisti in motocicletta come un esempio di mobilità essenziale di una città moderna, ma anche come un punto di entrata nel comprendere la fratturata società thailandese. Per oltre tre anni gironzolò per i loro angoli di strada, li seguì per le stradine secondarie, si ubriacò con loro in bar di fascia bassa e nei locali di karaoke, e li accompagnò sul treno a visitare le famiglie nelle campagne dell’Isan. Quando furono conquistati dalle magliette rosse, Sopranzetti li seguì nella corsa.
Claudio ha prodotto un libro favoloso, un’antropologia di esseri viventi, di prosa leggibile ed impegno ardente. Per stile, soggetto e sostanza, il libro è una risposta alla tendenza postmoderna.
I tassisti in motocicletta non sono sempre stati presenti. Apparvero agli inizi degli anni 80, per diventare ubiquitari nel millennio. Sopranzetti traccia le condizioni che li ha generati: lo sviluppo non pianificato e avido di una metropoli affamata di strade; le politiche e le forze che spingevano tanti giovani delle campagne nella città; e la crisi del 1997 che rallentò la crescita nell’economia formale spingendo più migranti verso il lavoro informale.
La maggioranza di loro sono giovani che provengono dai villaggi del nordest. All’arrivo molti hanno lavorato nelle fabbriche costruite con l’afflusso dei Yen giapponesi.
Nel crollo del 1997 persero il loro lavoro finendo in lavori più precari decidendo alla fine di diventare tassisti. Amano il itsaraphap, la libertà d non avere un padrone che ti dice cosa fare, la libertà di ritornare nei villaggi e nella famiglia quando vogliono.
Questa libertà la pagano a caro prezzo. Guidare dentro Bangkok non è salutare ed è pericoloso. I loro guadagni non sono alti, e spesso finiscono per lavorare molto di più che in una fabbrica. Eppure celebrano questa libertà per quanto possa sembrare una trappola.
Fanno molto di più del semplice spostare corpi dal soi verso la stazione della BTS. Consegnano pacchi, prendono alimenti da consegnare, attendono che i bambini escono dalla scuola, e fanno da guide alle persone del vicinato. Le loro relazioni con i clienti, costruite negli anni, può diventare molto stretta.
Ad un autista che lavorava per un uomo di affari criminale era affidata la consegna di pacchi contenenti milioni di baht in tutta Bangkok. Un altro era così apprezzato che un cliente pagò l’università della figlia. Gli autisti sono essenziali per la rete della città. E’ impossibile immaginare Bangkok senza di loro.
Poiché vivono nella città e vicino al fondo della scala sociale, il loro sguardo sulla vita cambia. Desiderano le cose che vedono che hanno altri. Vogliono essere al passo.
Come gli emigranti di tutto il mondo, lavorano fino alla morte ed investono le speranze nei loro figli. Quando tornano nel villaggio a fare visita, contribuiscono con i loro risparmi a migliorare la casa di famiglia cambiando il vecchio legno a favore del cemento moderno, e la riempiono con mezzi e simboli dello stile di vita moderno, compreso i sofà su cui nessuno si siede. Sopranzetti nota che questi progetti di miglioramento non “finiscono mai”. Non sono mai all’altezza. I loro desideri non sono mai soddisfatti abbastanza.
Il loro status legale di fornitori di servizio pubblico è sempre stato un guazzabuglio che li lascia vulnerabili a “persone influenti” che fanno la cresta sui loro guadagni in cambio di una dubbia protezione.
Agli inizi degli anni 2000 alcuni autisti militanti iniziarono ad organizzarsi in un sindacato non ufficiale. Quando avvicinarono al primo ministro del tempo Thaksin Shinawatra in cerca di aiuto, li considerò come un primo esempio di “imprenditoria libera cui lui aspirava di creare in tutti i livelli della società.
Thaksin aiutò ad individuare le “influenze oscure” sulle spalle dei tassisti e regolò la professione con la registrazione degli autisti e il giubbotto ufficiale.
Quando la politica si rivoltò contro Thaksin, i tassisti in motocicletta sentirono di avere un debito di gratitudine. Divennero una parte essenziale delle magliette rosse.
Le loro esperienze di mobilità aiutarono a ricucire il movimento delle magliette rosse. Quando iniziarono le grandi dimostrazioni a marzo 2010, cortei di motociclisti andavano in giro per la città come una bestia che marca il proprio territorio.
Dopo che furono erette le barricate, i motociclisti trasportavano le persone dentro e fuori, evadendo l’accerchiamento dei soldati con la loro conoscenza della mappa della città.
Quando iniziarono gli scontri, lavorarono come bande di guerriglieri, materializzandosi dal nulla in un punto di scontro e rifondendosi nel panorama urbano. Dove un tempo avevano aiutato la città a muoversi, poi l’aiutarono a congelarsi, a bloccarsi.
Quando le proteste finirono, i militari si dedicarono a separare gli autisti di motocicletta dalle magliette rosse. Come fece Thaksin in precedenza, promisero di liberarli degli “uomini influenti”, tornati dopo la caduta di Thaksin, ma solo se gli autisti avessero abbandonato Thaksin e se si fossero uniti al programma di sorveglianza ad occhi di ananas. Gli autisti si divisero.
Alcuni sentirono che il loro dovere verso gli altri e verso le famiglie significava accettare l’offerta dei militari. Altri non potevano digerire di lavorare per persone che avevano ucciso i loro compagni e distrutto i loro sogni.
Molti di questi ultimi, scelsero di non fare più i tassisti o furono cacciati lasciandoli pieni di tristezza e risentimento.
Il tema di Sopranzetti è la mobilità, e scrive con lo stesso motivo. Costruisce la sua analisi sociale e la sua narrativa politica raccontando storie di singoli autisti con tanti dettagli affettuosi. Gli autisti attraversano il catastrofico traffico di Bangkok e la società senza fiato thailandese e la politica arzigogolata. Questo approccio comporta una meravigliosa lettura fino a riuscire a sentire la puzza del fumo dei tubi di scappamento nell’inchiostro.
Sopranzetti ci dà tre finali. Il primo giunge con la distruzione di Central World nel 2010 e la fine di quello che chiama “il più grande movimento sociale nella storia thailandese”.
Il secondo viene quando torna per ritrovare una Thailandia che scivola all’indietro sotto il cupo governo militare, e le aspirazioni dell’era delle magliette rosse sembrano una memoria pallida se non infantile. Ma allora riprende il suo spirito, ricordando a se stesso ed ai lettori che tutti i governi dei golpe alla fine cadono, e pone una richiesta per una coscienza sociale più impegnata.
E’ un libro brillante e straordinario che mette insieme un modo originale per comprendere la città asiatica moderna, una visione accorata di un movimento politico fondamentale ed una sfida alla pratica dell’antropologia.
Un libro favoloso, un’antropologia di persone viventi, prosa godibile e impegno ardente.
Chris Baker, Bangkokpost.com