Ricordare per non dimenticare ciò che accadde e non ripetere il male fatto nel passato è il leitmotive che si sente spesso in tutto il mondo, e la data del 6 ottobre 1976 per la Thailandia ha due ragioni opposte per non essere dimenticata.
La prima ragione è quella del potere che vuol lasciare nelle menti il trauma degli eventi violenti, delle persone scomparse, dei giovani uccisi, di chi poi andò nella giungla per continuare la lotta per la libertà e che poi tornò deluso e amareggiato.
L’altra ragione per non dimenticare è quella di riportare la Thailandia nella democrazia compiuta con i militari che tornano nelle caserme ed una monarchia riformata che non ha bisogno di condannare la gente con l’infame legge di lesa maestà.
Ma a 45 anni di distanza il potere di oggi prova a bloccare ancora Bangkok che vuole commemorare quel massacro del 6 ottobre alla Università della Thammasat nel campus di Prachan, le cui foto vivide ancora sollevano dolore e incredulità.
Il governo ha chiesto all’Università di chiudere il cancello per impedire che i sopravvissuti di quel massacro potessero riprenderlo con i propri discorsi brevi e ricordare non solo il massacro, ma anche la folla macabra e la caccia ai giovani che la macchina propagandistica di allora definì vietnamiti comunisti.
Alcuni studenti furono picchiati a sangue, altri trascinati nell’antistante piazza di Sanam Luang, alcuni furono impiccati ad un albero e picchiati nel sorriso nefasto di alcuni astanti.
Fu un’intera generazione di giovani che decise poi di sfuggire al massacro rifugiandosi nella giungla unendosi così, sebbene per poco, alla guerriglia del Partito Comunista Thailandese.
Scrive Netiwit chotiphatphaisal:
Il massacro e l’evento non è stato mai riconosciuto dallo stato thai. Molti di quelli che commisero quei crimini vivono liberamente e hanno una posizione nella società thai. Persino scrittori famosi come la scrittrice Thom Yan Tee, che istigò gli omicidi con la sua propaganda, è celebrato nella società nonostante i suoi crimini precedenti. …
Dobbiamo non dimenticare e ricordare che la violenza sanzionata dallo stato è ancora l’eterno problema nella nostra società fino ad ora. Non dobbiamo dimenticare che la polizia thai sparò indiscriminatamente contro gli studenti e aizzò la violenza dei vigilante e della folla…. “
Alla commemorazione avvenuta comunque al di fuori dell’Università ed in altri punti di Bangkok, hanno anche parlato i capi dell’opposizione thai come Pita Limcharoenrat. Lui ha ricordato che le differenze politiche restano una questione spinosa che non è mai accettata dallo stato che continua ad attaccare militanti e manifestanti con la violenza della polizia e le accuse legali.
Lo stato non è mai stato aperto ai cambiamenti e non accetta mai alcuna forma di compromesso nel trattare con chi la pensa diversamente.
6 ottobre 1976 è una data critica e fondamentale per la storia thailandese moderna, e viene ricordata ogni anno da 40 anni ormai da chi lotta per la democrazia e la giustizia. E’ anche una data che il potere dei militari vorrebbe far dimenticare. A 40 anni di distanza la Thailandia è ancora sotto il tallone degli stivali militari ad arrovellarsi sugli stessi temi su cui tanti studenti furono trucidati.
Un progetto grande, di cui si fa carico lo storico thailandese Thongchai Winichakul, si prefigge di Dare un nome a chi non lo ha, ai tanti morti nel 6 ottobre 1976 il cui nome vuole essere ricordato e che incutono ancora paura nei familiari.
Terresottovento
“Di certo è un bene parlarne” risponde Thongchai. “Gli studenti lo stanno accennando, ricordando, rompendo questa cappa di memoria traumatica in un modo mai fatto prima” e quindi costringono i thailandesi a guardare in faccia un periodo oscuro della loro memoria ed accettarlo per andare avanti.
Ma sarebbe ingenuo pensare che quello che si è conquistato non possa essere perso, che la destra non possa reprimere: si possono sempre bruciare i libri ed i ricordi cancellati, i coraggiosi possono essere arrestati. “Sono un cinico”.
In fondo Thongchai dice il 6 ottobre è il vero spettro della Thailandia e che la mancata chiusura irrisolta di un passato traumatico perseguita ancora il paese.
E’ la cultura buddista del perdono, del lasciar andare le cose che spinge la gente a dimenticare quel 6 ottobre.
“E’ sia un bene che male per la nostra cultura. Per il reato è una cosa cattiva, ma è un bene per le interazioni sociali. Per un paese che deve stabilire il governo della legge è molto pericoloso”
“Ora c’è la speranza. Quanto sia radicata e profonda è tutto da vedere.” Non esiste il progresso e tutto può ritornare a quello che era prima.
“Questa radicalità ebbe luogo dal 1973 al 1976 ed era impossibile da sopportare per la società conservatrice. Non so se oggi la gente vivrà la stessa cosa. Per molti versi il paese è ancora molto conservatore ma è molto più cosmopolita e molto più laico”
terresottovento