Perché pensavano di farla franca con la strage di Maguindanao

Amapatuan credeva che avrebbe potuto farla franca poiché è stato cresciuto per tutta la vita a pensare così.

Il conteggio dei corpi del Massacro a Maguindanao è salito per cinque giorni. Ora è a 57, mentre le autorità continuavano a muoversi tra tra il fango misto a sangue proprio alla periferia di Shariff Aguak. Trenta delle vittime erano giornalisti ed almeno venti erano donne. Dopo averle violentate hanno sparato ai loro genitali a distanza ravvicinata.

Aspettiamo che il numero dei morti cambi nei prossimi giorni. Quello che non cambierà è l’identità di chi ha ideato il massacro: è un tappetto dalla faccia rotonda e compiaciuta di nome Andal Ampatuan Jr, un sindaco del posto e figlio di un potente patriarca politico che ora è alleato con la presidentessa delle Filippine.

Secondo le cronache, il sospetto ha ordinato il massacro per impedire ad un politico rivale di sfidarlo nelle prossime elezioni a governatore della provincia. Secondo almeno venti persone che hanno testimoniato al Dipartimento di Giustizia, era il piano di Ampatuan di tendere un’ambasciata alla carovana costituita da sei auto, uccidere chi le occupava e seppellire vittime con i loro veicoli in grandi fosse comuni. Seppellendo le vittime, pensava, avrebbe cancellato le prove.

Di fatto, Ampatuan credeva che l’avrebbe potuta fare franca. Ma il piano gli andò male quando si sparse la voce che l’esercito era nella zona creando il panico tra gli attaccanti che lasciarono la scena del massacro seppellita a metà. Gli ultimi momenti dovettero essere così frenetici che persino chi stava adoperando il piccone del governo a scavare le fosse fu passato per le armi per minimizzare i possibili testimoni.

La voce cominciò a circolare e da martedì il mondo intero sapeva del massacro del 23 novembre. Per il resto della settimana le autorità hanno riempito l’etere e le prime pagine con le loro reazioni inorridite ma non è necessaria la telepatia che un po’ dell’orrore era a beneficio del pubblico internazionale.

Per quelli che non conoscono la vita contemporanea filippina, si deve puntualizzare che la violenza politica qui è la norma e che gente come Andal Ampatuan Jr non è un’aberrazione. Ce ne sono molti come lui dispersi per la nazione come cacca di animali nocivi. Il sistema ha creato Ampatuan.

La ragione per cui il massacro di lunedì è diventato una notizia internazionale è a causa della dimensione del numero delle vittime in una sola volta e poiché molti erano giornalisti e donne. Se gli omicidi fossero stati fatti lungo un periodo di giorni o settimane, pochissimi al di fuori della provincia ne avrebbero saputo.

“Il massacro di Maguindanao può colpire rimanere a lungo per la sua sfrontatezza, ma le forze che lo hanno messo in modto non sono affatto isolate o tipiche della Mindanao Musulmana.” scrive Randy David su Philippine Daily Inquirer, un professore di sociologia della UP, “Queste forze sono all’opera in molte zone oscure del paese….”

Sono nelle Filippine per lavorare ad un progetto giornalistico sulla povertà chiamato “Suriin Ang Kahiparan o Verifica di Bilancio sulla povertà. Uno degli obbiettivi è la creazione di un network di giornalisti cittadini nelle cinque regioni più povere delle Filippine. Maguindanao è una delle province.

In tutte e cinque le province, una famiglia di dinastia politica come gli Ampatuan e un macellaio, o più di uno, come Andal Ampatuan. Fino a lunedì nessuno è stato così temerario da uccidere tutti i propri nemici in un colpo solo. Il modo di fare solito è di abbatterne uno alla volta e nel modo più silenzioso possibile.

Per esempio, nella provincia di Masbate, un’isola a nord di Mindanao, ci sono stati almeno 30 omicidi politici lo scorso anno, e molti degli omicidi possono essere collegati ad una famiglia che sta al potere da anni. Tutti sanno il nome ma nessuno lo dirà mai ad alta voce. Chi oserebbe? Come a Mindanao, la maggior parte della polizia locale e dell’esercito prende gli ordini dalla famiglia al potere. Quelli che hanno osato mettersi tra i piedi dei membri della famiglia sono finiti uccisi su qualche strada solitaria di campagna, niente di più che cadaveri di strada. Quasi nessuno delle altre parti delle Filippine sa qualcosa, o se ne interessa, degli omicidi di Masbate.

In Maguindanao gli Ampatuan hanno controllato la polizia locale per più di un decennio, e il governatore attuale sta preparando a dovere suo figlio che prenda il suo posto. Gli Ampatuan sono perciò cresciuti con l’idea di partecipare ad elezioni senza opposizione per il terrore che prendeva i loro possibili oppositori.

Così quando qualcuno annunciava la propria candidatura come oppositore a Ampatuan per il governatorato il clan era furibondo. L’eretico, un locale vice sindaco di nome Ismail Mangudadatu mandò sua moglie e due sue sorelle, accompagnate da un seguito di giornalisti e avvocati, al comitato della regione per presentare la sua candidatura, chiaramente dell’idea che neanche gli Amapatuan avrebbero ucciso delle donne a sangue freddo. Fu questa carovana ad essere intercettata e massacrata. Alcune delle vittime secondo i resoconti furono costrette a a mangiare i certificati di candidatura prima di essere uccisi.

I membri della famiglia “si comportavano da dei” a maguindanao, diceva alle Forze Amate Filippine Leila de Lima, presidente della Commissione sui diritti umani delle Filippine, come pure ci sono stati omicidi di piccola scala sempre legati alla famiglia, ma finora i testimoni erano troppo impauriti per farsi avanti.

Ora Ampatuan dimora in una prigione di Manila in attesa di ulteriori procedimetni. Fu convvinto a presentarsi spontaneamente da un emissario inviato dalla Presidente Arroyo in persona. Molti sostengono che sia stata costretta a fare così per la montante pressione internazionale. L’emissario, consigliere particolare Jesus Dureza, ha accompagnato Ampatuan su un aereo militare diretto a Manila dove prima di separarsi Dureza e Ampatuan si sono stretti la mano e si sono abbracciati.

Potreste mai immaginare il presidente degli Stati Uniti inviare un ambasciatore per negoziare con un uomo sospetto di aver cancellato 64 persone e poi l’ambasciatore accompagnare il sospetto su un aereo privato al Campifoglio della nazione dove si danno l’addio con un abbraccio? Un abbraccio? Potreste immaginare Clinton che stende il tappeto rosso al bombarolo di Oklahoma City Timoty Mc Veigh?

Gli Ampatuan sono stati coccolati per lungo tempo dai personaggi in alto del governo; erano alleati ben conosciuti degli Arroyo, fotografati insieme alla presidente in vari luoghi tra i quali il Palazzo Presidenziale. Gli Ampatuan hanno “consegnato la provincia di Maguindanao alla Arroyo nella passata elezione presidenziale, e lo hanno fatto con un’efficienza da mettere paura, arruolando città e paesi, spesso senza neanche un voto contrario.

L’amministrazione per ricompensa hanno avuto un approccio da lasciate fare in Maguindanao. Gli amministratori provinciali per esempio possono scegliere i loro capi di polizia e gli ufficlai, molti dei quali finiscono come guardia del corpo o come loro sicari. Questi ufficiali finiscono per usare soldi di chi paga le tasse intesi per programmi contro il terrorismo, per finanziare ed armare mercenari ufficialmente conosciuti come Ufficiali Volontari Civili. Il risultato finale è che gente come Ampatuan si è creata la propria armata privata governando i loro territori come signori della guerra.

Non fu una sorpresa per nessuno che tutti quelli coinvolti nel massacro di lunedì fanno tutti parte di questi volontari, e quasi tutti dei gradi più elevati della polizia e dell’esercito nella provincia. Già si sono conosciute le prime avvisaglie sul come sarà condotta la difesa in tribunale dalle poche interviste rese pubbliche: hanno solo eseguito degli ordini. Naturalmente.

Ampatuan e la sua famiglia intrattengono rapporti con la famiglia del presidente. Suo padre fu per tre volte governatore e suo fratello Governatore della regione autonoma di Mindanao, di cui Maguindanao è una parte; suoi parenti erano sindaci di metà delle città; fu scortato e protetto dalla polizia locale e aveva avuto la sua armata di mercenari per comandare nella sperduta regione popolata da contadini poveri e analfabeti.

Amapatuan credeva che l’avrebbe potuto farla franca poiché è stato cresciuto per tutta la vita a pensare così.

Ce ne sono molti altri come lui nelle 83 province, farabutti con titoli del governo che credono che non saranno mai presi. E la maggioranza ha ragione

di Alex Tizon alexdizon

Quando si toccano i potenti, la giustizia filippina zoppica

Il 23 novembre 2009 fu compiuta una strage a Maguindanao, nell’isola di Mindanao, Filippine. 53 persone furono uccise con un’imboscata tesa dal clan al potere, gli Ampatuans,  per bloccare una carovana di familiari, di giornalisti e sostenitori di un’altra famiglia, Maguindadatu, che voleva proporre la propria candidatura a Governatore della provincia di Maguindanao.

Una strage che ha messo sotto gli occhi di tutto il mondo l’intreccio perverso dell’attuale presidente Arroyo con una serie di armate locali che le hanno permesso di vincere nelle precedenti elezioni nazionali.

Per la cattura dei responsabili fu promulgata una legge marziale nella provincia, furono scovati vari depositi di armi, un ingente quantitativo di soldi in una provincia delle più povere, furono scovate tante armi da guerra vendute loro direttamente dall’esercito filippino.

Di fronte alla giustizia furono portati con vari capi di accusa, tra cui massacro e ribellione, vari esponenti del Clan Amatuans tra i quali l’allora governatore della Provincia Autonoma Musulmana di Mindanao e suo figlio, sindaco di Sheriff Arguak dove fu materialmente consumata la strage.

Il dolore e la rabbia dei parenti delle vittime e di tutti i democratici nelle Filippine fu enorme. La richiesta di giustizia e la richiesta di smantellare tutte le piccole armate che rendono la vita politica filippina sanguinosa si elevarono alte.
A pochi mesi di distanza da quel massacro qualcosa si muove, e non nel verso della giustizia.

La Corte Regionale di giustizia di Quezon City ha annullato nei confronti di alcuni del Clan degli Ampatuans, tra cui l’ex governatore Zaldy Ampatuans, l’accusa di Ribellione: non c’è nulla, secondo la corte, che possa giustificare un atto di ribellione mancando il fatto di una sollevazione popolare armata, né è presente l’intenzione di sovvertire il governo.

Per certi versi è una sentenza attesa da qualcuno: gli Ampatuans non avevano certo lo scopo di attentare al presidente che loro stessi avevano aiutato a vincere garantendo, in alcune zone, una percentuale di voti pari al 100%. L’accusa di ribellione, è invece servita alla Presidente Arroyo, per giustificare l’imposizione posticcia della legge marziale e poter limitare così il Clan amico diventato così potente. In realtà le responsabilità del clan erano già state assodate in precedenza. La stessa legge marziale fu in seguito lasciata cadere dall’alta corte di giustizia.

Di conseguenza i giudici di Quezon City hanno soltanto fatto il loro dovere. Rimaneva l’accusa di omicidi multipli a tenerli in carcere. Ed è qui che giunge il grande misfatto.

Il segretario di giustizia su richiesta della difesa rivede l’accusa di omicidio multiplo nei confronti di Zaldy e Akmad Ampatuan e dichiara che chi ha fatto le indagini non ha preso in considerazione alcune prove. Le accuse quindi sono perciò infondate.
Molti sostengono che una mossa simile, mai criticata dal Palazzo del Presidente, è stata presa in accordo con il presidente stesso, un modo per ripagare la fedeltà del grande patriarca Zaldy Ampatuans al clan del Presidente e che ha prodotto il broglio in due consecutive elezioni nel 2004 e 2007.

La decisione del segretario di giustizia ha trovato la pronta risposta non solo dei giornalisti, dei media, dei familiari delle vittime e di tutti i politici filippini, al momento coinvolti nella campagna elettorale per le prossime presidenziali. Gli stessi investigatori del National Bureu of Investigation dichiarano:

“Quella risoluzione accrescerà la convinzione ancora di più che quando si tratta di politici influenti, il sistema di giustizia è impotente.”
 

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