Una volta l’anno Singapore vive una manifestazione pubblica di amore. La gente indossa una maglietta, un pantalone, un vestito, scarpe, trucco o calze di rosa, quello che vuole, e trasforma un piccolo, accaldato parco in un Punto Rosa a sostegno della libertà di amare. L’evento è essenzialmente un modo meno forte di dire che si vuole l’uguaglianza per la comunità LGBT in una città stato controllata e conservatrice.
L’uguaglianza per la comunità LGBT è da sempre una questione controversa a Singapore che, con il suo articolo 377A del codice penale, criminalizza il sesso tra uomini, il sesso gay a Singapore. Gli sforzi per sfidare la costituzionalità della legge nei tribunali sono stati sconfitti in tribunale nel 2014.
Punto Rosa, o Pink Dot, è stato lanciato per la prima volta nel 2009 e rappresenta il Gay Pride della città. Da evento familiare è accessibile ed allegro. Ed è un approccio che ha dato i suoi frutti: La partecipazione è cresciuta con gli anni fino a raggiungere i 28 mila lo scorso anno. Gli organizzatori hanno desistito dal contare questo anno perché le presenze sono state nettamente superiori alla capacità del Hong Lim Park, unico spazio a Singapore dove si possono fare manifestazioni senza il permesso della polizia.
Per l’evento di questo anno, tenutosi il 5 giugno, Pink Dot ha deciso di usare 5000 manifesti invece di tante piccole luci rosa che avevano segnato le manifestazioni del passato. Permetteva alla gente di scrivere i propri messaggi, di inserire le proprie voci nel movimento. Molti hanno scritto dell’amore, ma molti anche dei diritti, dell’uguaglianza e della giustizia. A suo modo l’uso dei manifesti ha fatto fare alla manifestazione un piccolo passo verso la protesta: una domanda di cambiamento piuttosto che un suggerimento.
Potevano portare i manifesti solo i singaporeani ed i residenti permanenti; qualunque altra cosa avrebbe infranto le regole del Spakers Corner, il solo posto della città dove la gente, Singaporeani e residenti permanenti, si possono radunare per una causa. Le carte di identità sono state controllate con molto zelo come sono stati emessi molti avvisi sulla partecipazione degli stranieri. A qualche non residente è stato detto che anche nel caso che dovesse mantenere il manifesto per un amico, non poteva tenerlo sulla testa. Un altro ha scrivere il proprio messaggio di fronte agli organizzatori perché potessero vedere quello che scriveva.
Non si vuole accusare gli organizzatori della manifestazione Pink Dot che in fin dei conti provano solo a far funzionare tutto nei confini della legge. E si sa che la polizia ha indagato sull’incidenza degli stranieri che partecipano alle attività del Hong Lim Park.
Ma considerarlo alla luce di quello che è successo una settimana prima del Pink Dot ci serve per ricordare i limiti entro cui si deve operare a Singapore.
Tre persone sono state interrogate per ore lo scorso giovedì nel corso delle operazioni di polizia per le presunte violazioni del giorno di tregua elettorale. Un’altra fu interrogata il giorno dopo. Le case di tutti e quattro sono state perquisite con il sequestro di tutti i mezzi elettronici con l’accesso ai dati personali da parte delle autorità. Erano attivisti o blogger e la polizia non aveva bisogno di mandato.
Per la violazione della tregua elettorale è previsto l’arresto e a polizia può perquisire arrestare o sequestrare qualunque cosa o persona decidono senza il bisogno di un mandato.
Si aggiungano a questo le questioni del processo giusto che abbiamo a Singapore; come tutti sappiamo non esiste alcun diritto a ricevere la protezione legale immediata, ma la polizia deve solo dare alla persona accusata accesso all’avvocato dentro un tempo ragionevole. Ci viene ricordato questo col caso sconvolgente di Benjamin Lim. Non si richiede che le dichiarazioni siano registrate e sottoscritte.
L’indagine di Roy Ngerng and Teo Soh Lung del giornale The Indipendent Singapore, con la conoscenza conseguente che la polizia ha il potere di perquisire casa tua e sequestrare il tuo computer per un post su Facebook messo lì in un momento particolare, manda un segnale rabbrividente che va ben oltre le persone indagate. Ti fa domandare quello che la polizia cerca quando dà uno sguardo sui tuoi mezzi informatici. Ti fa chiedere se sono al sicuro i tuoi account dei media sociali, le tue discussioni con gli amici, il tuo lavoro, i tuoi dati.
Ti fa sentire così piccolo difronte ad uno stato così potente.
Perciò decidi che è meglio non tentare il destino per non entrare nei guai. O si dà a chiunque una scusa per accusarti di aver fatto qualcosa. Questa è la ragione per cui gli organizzatori di Pink Dot sono stati così scrupolosi nell’assicurarsi che le regole fossero seguite alla lettera.
Ma persino gli sforzi migliori di Pink Dot per operare nei confini dello stato non hanno pagato. Qualche giorno dopo l’evento, il governo annunciava che avrebbe preso delle misure per impedire che entità straniere finanziassero, sostenessero o influenzassero gli eventi tenuti a Hong Lim Park. Si vuole essenzialmente porre fine alla sponsorizzazione da parte di multinazionali come Google, Barclays e Facebook che rendono possibile Pink Dot.
Ci sono tante piccole cause a Singapore ma tutti operano negli stessi limiti: ottenere dei dati dallo stato è quasi impossibile, le adunanze pubbliche sono vietate se non in un piccolo angolo facilmente dimenticabile di Singapore, la paura di essere accusato di avere uno scopo politico non meglio definito, o peggio interferenza di elementi stranieri. Si aggiunga la paura, resa improvvisamente reale dagli eventi della settimana scorsa, che in qualche modo saranno attribuiti motivi più sinistri alle vostre attività, e che Loro faranno qualcosa.
Quando lo si vede da questo profilo, sembra futile che tanti gruppi della società singaporeana, che sia la società civile, ONG, artisti o accademici, lavorino così fermamente sulle loro questioni frivole e solo quelle.
Si potrebbe dire che Pink Dot non abbia nulla a che fare con le indagini su Roy Ngern e Teo Soh Lung, o che la pena di morte non sia legata all’uguaglianza di genere, o che i diritti dei lavoratori dell’emigrazione sono una cosa separata da Singaporeans’ Central Provident Fund, ma la verità è che ci sono così tanti punti di condivisione, così tanti ostacoli e sfide uguali.
Si prendano le questioni del potere di polizia e del processo dovuto. I militanti dei diritti dei migranti affrontano già la questione con le indagini di polizia che riguardano i lavoratori della migrazione. I militanti che lavorano sulla pena di morte hanno ascoltato storie allarmanti sui processi della polizia, raccontati da chi si trova nel braccio della morte ai propri familiari. Il movimento dei diritti LGBT dovrebbe essere preoccupato delle indagini su Roy e Soh Lung perché, indovinate un po’, l’articolo S337A prevede l’arresto. Il governo di sicuro dirà che questo articolo non è di fatto applicato, ma finché resta scritto può essere usato, proprio come la polizia può perquisire casa tua, sequestrare la tua proprietà e persino arrestarti se deve lanciare un’operazione.
L’oppressione di una singola persona, se tollerata, può ben diventare l’oppressione di tutti.
Amo Pink Dot non perché mi motiva a parlare per l’uguaglianza dei diritti di genere, cosa che facevo di solito, ma per la gente e l’atmosfera. Per essere circondati da così tanti pronti ad includere, accettare, amarti per quello che sei. Per sentirsi liberi di immergersi semplicemente in tutto, di poter respirare in un paese che è così spesso letteralmente e figurativamente troppo soffocante per farlo.
Ma non si dovrebbe farlo solo un giorno all’anno. E’ nostro diritto sentirsi così ogni giorno dell’anno. Abbiamo bisogno di più solidarietà, più cooperazione. E’ solo quando siamo insieme che siamo forti.
PS. Ancora poiché questa è Singapore, sento il bisogno di aggiungere questo Post Scriptum per dire che sto cercando di rovesciare il partito del PAP, o la conversazione rischia di essere deragliata da tale accuse. Affronto specificamente questioni problematiche rispetto alle procedure di polizia come pure alla restrizione di diritti democratici. Votare contro il PAP potrebbe essere un modo per cambiare, ma credo che sia più importante e produttivo focalizzarsi sulla protezione e promozione dei diritti umani e politici di tutti indipendentemente dal partito con cui trattiamo.
Kirsten Han,TheNewLens