A gennaio 2023 il ministro dell’interno e del governo locale filippino B. Abalos Jr ha iniziato un processo di verifica delle credenziali degli alti ufficiali di polizia filippina chiedendo le dimissioni di cortesia di tutti i generali e colonnelli della Polizia Nazionale Filippina, mentre un comitato di cinque persona verifica il loro coinvolgimento nel narcotraffico.
Abalos ha presentato questa iniziativa come una mossa forte per liberarsi delle mele marce e risanare la reputazione della polizia filippina nei sospetti del suo coinvolgimento di attività criminali.
La maggioranza dei grandi ufficiali sembra aver accettato la richiesta delle dimissioni di cortesia per il tempo necessario alle indagini, dopo le quali gli ufficiali puliti potranno tornare in servizio.
Mentre la verifica delle credenziali degli alti ufficiali di polizia è in corso, il processo appare come un esercizio di aspirazioni politiche.
L’iniziativa non è né irrilevante né falsa. Essa però fa parte di un intricato gioco politico in cui vari attori politici differenti, tra cui presunti alleati, si scontrano per la supremazia politica sull’istituzione estremamente importante di polizia.
E’ importante notare che i sospetti di corruzione e complicità nel traffico della droga ha perseguitato la polizia filippina durante la guerra alla droga dell’ex presidente Rodrigo Duterte.
A gennaio 2017 durante la parte più violenta e intensa di quella campagna, Duterte sospese le operazioni per una presunta ripulitura della polizia degli elementi corrotti.
La logica di allora diceva che si fosse resa necessaria per estirpare gli elementi corrotti e fuori norma della polizia che minacciavano di compromettere la legittimità di quella guerra e la popolarità del presidente. Le strategie includevano la rotazione delle forze di polizia tra Manila e Mindanao dove ufficiali di polizia meno compromessi ed onesti sarebbero stati spostati a Manila, mentre gli elementi impazziti erano mandati a Mindanao per la rieducazione.
Nel primo anno di quella guerra, non era insolito che comandanti di polizia fossero cambiati a causa di accuse di corruzione e complicità.
Non si può facilmente paragonare le riforme di Abalos a questi tentativi di recuperare una campagna antidroga violenta. Ma bisogna piuttosto guardare alle politiche efficaci dell’iniziativa.
Da una prospettiva politica, l’iniziativa di Abalos può essere considerata come un gesto del governo del presidente Marcos Figlio di prendere le distanze dalla guerra alla droga allo scopo di rassicurare i critici all’estero e in casa.
Questa mossa è conseguenziale in modo particolare se la si vede dal palcoscenico mondiale. Da quando è salito alla presidenza Marcos Figlio non ha perso tempo nel dire al mondo che le Filippine sono “aperte al pubblico” e si includeva il fatto che la sua amministrazione era vista fare qualcosa per riformare la forza di polizia e che lui prendeva le distanze dalla recente storia di sangue del paese.
Tuttavia il governo filippino non è cooperativo nelle misure di accertamento delle responsabilità particolarmente dopo che la Corte Penale Internazionale ha annunciato la ripresa delle indagini per i presunti crimini contro l’umanità per la guerra alla droga.
Nonostante queste iniziative di riforma, sono continuati gli omicidi nelle zone povere urbane. Gli arresti, i sequestri e gli omicidi di militanti continuano a restare tra le notizie a suggerire un chiaro proseguimento della linea dura del governo Duterte.
Al di là dell’atteggiamento, l’iniziativa di Abalos vuole dire un’ammissione implicita del fallimento della sanguinosa guerra alla droga. Dopo sei anni, i cosiddetti narco-generali e narco-politici restano nelle posizioni di potere intoccati, nonostante la forte retorica contro individui e gruppi coinvolti nel commercio illegale della droga.
I gruppi dei diritti umani filippini lo hanno sempre indicato. La guerra alla droga è uno sforzo profondamente compromesso sul piano morale, legale e in termini di efficienza, ed è selettivo nel suo prendere di mira i poveri e i settori marginalizzati.
Oltre ad essere un tentativo compromesso di rettificare gli errori della precedente amministrazione, l’iniziativa la si può vedere come parte di uno scontro di potere all’interno dell’alleanza Duterte Marcos. Ancora una volta la polizia diventa un importante veicolo politico in un modo che non porta bene per il futuro della polizia nelle Filippine.
Si può discutere se l’iniziativa non sia un gesto vuoto nel momento in cui il governo filippino manca di assicurare la giustizia in tempi veloci in casi di gravi irregolarità.
Lo suggerisce molto la continua incarcerazione della senatrice di opposizione Leila de Lima, i cui accusatori hanno in gran parte ritratto o denunciato le proprie affermazioni come causate dalle pressioni politiche.
Una trasformazione della PNP dovrebbe coinvolgere azioni per ridurre le modalità in cui i politici usano la polizia per portare avanti i propri obiettivi, per introdurre iniziative forti contro la corruzione e lo sviluppo di una cultura più forte dei diritti umani nelle forze di polizia.
Steffen Jensen, Karl Hapal EASTASIAFORUM