Ne è valsa la pena al premier cinese Li Keqiang di fare tutta quella strada fino a Phnom Penh per seguire il secondo summit di Cooperazione Mekong-Lancang, MLC?
Mentre si avvicinava l’incontro dei capi di stato del MLC, (Cambogia, Vietnam, Thailandia Laos, Birmania e Cina), sono apparse poche notizie nuove o positive sul come l’agenzia regionale avrebbe risposto alle questiono ambientali e alle altre cose che riguardano il Mekong, che in Cina è chiamato Lancang.
Il presidente cinese Li ha detto che il nuovo piano di azione quinquennale include dei modi per risolvere i disaccordi tra le nazioni sottolineando, però, allo stesso tempo l’impegno serio del MLC a non interferire negli affari interni degli altri paesi.
Ha anche detto che le grandi corporazioni cinesi sono ben attente ad aiutare a costruire progetti e riserve idroelettriche nella regione ed ha promesso un maggiore sostegno per alleviare i danni ambientali, senza però considerare come le due cose siano legate, come hanno fatto notare gli esperti.
Il resto degli accordi fatti avevano a che fare su come la Cina promuoverà lo sviluppo economico nei cinque paesi rivieraschi del MLC.
La cosiddetta Dichiarazione di Phnom Penh di mercoledì scorso ha preso solo di striscio il Mekong, ma era a proposito del contributo cinese allo sviluppo economico della regione.
I numerosi limiti strutturali ed istituzionali del MLC hanno portato gli analisti a considerarlo come un luogo in cui la Cina esercita il suo potere soffice nel Sud Est Asiatico e i paesi acquiescenti ad accrescere gli investimenti cinesi.
La Commissione del Fiume Mekong, MRC, che esiste da quasi 60 anni sotto varie forme, ha chiesto più volte alla Cina di entrare a farne parte, ma la Cina ha sempre rifiutato. Per taluni la ragione è che Pechino vuole un’agenzia del Mekong nuova da poter controllare.
“L’incontro vuole puntellare il sostegno dei paesi del sudestasiatico continentale alle dighe cinesi, ai corridoi commerciali e ai legami di trasporto che facilitino la penetrazione espansa cinese nella regione del Mekong” ha detto Paul Chambers della Naresuan University di Bangkok al PhnomPenh Post, prima del summit.
Lontano dai riflettori comunque, i politici della regione si lamentano del fatto che la Cina non sia solo in capo al MLC finanziariamente e politicamente, ma anche geograficamente. Forse il premier cinese Li non è riuscito a placare le sensazioni di inferiorità quando ha detto: “Questa istituzione l’ha fatta la Cina che si assume questa responsabilità”
Ha il suo ruolo la geopolitica. Nel 2009 il governo americano aiutò alla creazione dell’Iniziativa del Basso Mekong insieme a Cambogia, Laos, Thailandia e Vietnam.
“Credo che quello che gli USA stanno facendo” disse Wu Xinbo a questo autore nel 2015 “è di provare ad impedire che la Cina acquisisca maggiore potere nella regione, ed è un’altra tattica”.
Pochi si meravigliarono poi che la Cina tenne il suo primo incontro dei capi di stato del MLC nel 2016. Pechino ha mostrato di essere pronta ad investire e prestare più degli americani sostenendo il MLC con capitali della cinese Asian Infrastructure and Investment Bank.
Ma la geopolitica ha un suo ruolo regionale anche. Il Mekong lungo 49009 chilometri nasce sul plateau del Tibet nella Cina sudoccidentale e si svuota nel Delta del Mekong in Vietnam. Ne consegue che la Cina controlla efficacemente il rubinetto che determina quanta acqua scorre nel fiume. Allo stesso modo fa ogni nazione che si trova a monte del flusso.
“MLC è un modo di mostrare che la Cina gioca solo con le proprie regole. Crea fatti compiuti costruendo dighe a monte a danno dei paesi a valle e quindi crea i suoi propri corpi di governo” dice lo studioso internazionale Thitinan Pongsudhirak della Chulalongkorn University.
Il Vietnam che è la nazione più a valle ha fatto pressioni senza alcun successo sul suo vicino Laos negli ultimi anni affinché rivedesse la costruzione di molte sue dighe idroelettriche che secondo Hanoi potrebbero distruggere la zona del Delta del Mekong. Gli esperti infatti mettono in guardia chele dighe laotiane potrebbero causare sia allagamenti che siccite in Vietnam come pure colpire l’industria della pesca a valle.
“Il Vietnam vuole che tutte le nazioni a monte sul fiume Mekong adottino delle politiche appropriate nello sfruttamento del fiume specialmente per la costruzione di dighe idroelettriche per assicurare i diritti di chi si trova a valle come il Vietnam” ha dtto Tran Hong Ha, ministro delle risorse vietnamita.
Nonostante le relazioni forti tra i due paesi, non si è risparmiata con i suoi piani di costruzione di dighe. Agli inizi del 2011, il governo laotiano annunciò di aver condotto consultazioni regionali sulla diga di Xayaburi, come stipulato nell’Accordo del Mekong del 1995, e concluse che avrebbero proceduto alla costruzione. Il Vietnam contestò il fatto che si fossero avuto delle consultazioni.
Vientiane fu allo stesso modo intransigente quando nel gennaio 2015 i comitati nazionali del Mekong di Thailandia, Cambogia e Vietnam espressero la loro opposizione alla diga di Don Sahong. Espressero la loro opinioni due ONG internazionali come International Rivers e WWF , per dire che la diga avrebbe minacciato il sostentamento per milioni di persone a valle.
“Per lo sviluppo del fiume Mekong non abbiamo bisogno di consenso” fu la risposta del Ministro Dell’Energia Laotiano Daovong Phonekeo.
Il suo commento fa vedere i problemi del MLC che poi sono anche i problemi del ASEAN. I governi regionali parlano moltissimo di cooperazione ma, quando si passa al concreto, tendono ad agire puramente sulla base degli interessi dei singoli stati.
Il Laos per esempio sa che il suo futuro economico dipende dal fatto di costruirsi un ruolo come produttore maggiore di energia idroelettrica che, una volta esportata in Thailandia, Vietnam e Cina, potrebbe trasformare la seconda regione più povera della regione in un’economia a medie entrate.
Vietnam e Cambogia, dal canto loro, sanno che le loro agricolture non vanno e potrebbero peggiorare se si avverassero le brutte predizioni sulle dighe idroelettriche laotiane. Il pescato sul Mekong è sceso in Thailandia, mentre il Vietnam ha vissuto il suo raccolto peggore nel 2016 con la siccità peggiore degli ultimi 90 anni.
Da anni studiosi e diplomatici suonano i campanelli di allarme sul Mekong che rischia di diventare il prossimo Mare Cinese Meridionale, una situazione in cui le nazioni insoddisfatte del parlar di pace e non interferenza cominciano a mettere in atto azioni per contrastare le politiche dell’altro.
Un corollario all’idea del Prossimo Mare Cinese Meridionale è il dominio di Pechino sulle acque che in molti credono facilitato dal MLC.
Come compromesso, molti ambientalisti ed esperti nazionali hanno suggerito che le nazioni a valle del Mekong dovrebbero prendersi una pausa per considerare gli effetti a lungo termine di quello che stanno facendo al loro corso d’acqua.
Nel 2011 il governo birmano, sotto il governo di Thein Sein, fece appunto questo quando sospese per ragioni ambientali i lavori della diga Myistone, sostenuta dalla Cina, sulla parte superiore del fiume Irrawaddy.
La decisione fu presa dopo pressioni estenuanti da parte delle ONG e la reticenza del ministro dell’energia ad andare avanti. Il progetto fu fatto per esportare il 90% dell’energia in Cina.
Comunque la maggior parte dei lavori sul Mekong sono andati avanti ad una velocità allarmante, giustificati dai governi come necessari al progresso economico.
Tutte le cinque nazioni del Sud Est Asiatico nel MLC forse con l’eccezione della Thailandia si considerano in un deficit infrastrutturale. Le dighe idroelettriche ed altri progetti soddisfano il concetto governativo di sviluppo guidato dalle infrastrutture, mentre allo stesso danno ai capi di stato qualcosa da indicare come loro eredità.
Con l’essere sottomessi al potere soffice cinese in luoghi come la MLC i governi nazionali si assicurano l’amicizia con Pechino alla ricerca di nuovi investimenti, come chiaramente mostrato nel summit dei capi di stato del MLC. Il premier cinese ha firmato, infatti, 20 nuovi accordi di sviluppo con la Cambogia del valore di miliardi di dollari che ospitava il summit.
Ed il fatto che questi megaprogetti sul Mekong siano spesso una fonte ricca di corruzione è un’altra potenziale ricaduta per i governi del MLC.
David Hutt, Asiatimes.com