Il problema preminente è l’uso incredibile fatto della detenzione in attesa di giudizio contro chi è accusato di lesa maestà o di possesso di armi da guerra, accuse che rendono gli accusati dei prigionieri dimenticati.
Da quando la giunta del NCPO ha deciso l’uso delle corti marziali per giudicare i crimini politici e di coscienza in Thailandia, sono oltre 1400 i processi gestiti dalle Corti Marziali contro oltre 1600 civili.
Il problema preminente è l’uso incredibile fatto della detenzione in attesa di giudizio contro chi è accusato di lesa maestà o di possesso di armi da guerra, accuse che rendono gli accusati dei prigionieri dimenticati.
Se poi i prigionieri dimenticati decidono di battersi contro l’accusa loro rivolta la detenzione diventa infinita, per la serietà delle accuse e per le procedure lente delle corti marziali.
Thai Lawyers for Human Rights (TLHR), gli avvocati thai per i diritti umani, ha pubblicato un rapporto a fine 2015 sui casi civili gestiti dalle corte marziali sulla base di dati ufficiali del JAG, Judge Advocate General.
Nei sedici mesi che terminano il 30 settembre 2015 ci sono stati 1408 casi con 1629 civili gestiti dalle corti marziali, dei quali 208 solo per quella di Bangkok che è seguita da quelle di Khon Kaen e Lampang, nel nord e nordest. Poi quella di Songkhla nel meridione thai.
Con due ordini della giunta NCPO, a tre giorni dal golpe, ed una linea guida viene applicata la giustizia militare ai civili. Senza spiegazione o giustificazione sono soggetti alla giustizia militare i crimini contro la monarchia compreso la lesa maestà, i crimini contro la sicurezza nazionale, le violazioni degli ordini della giunta e violazioni della legge delle armi.
Complessivamente ad essere accusati di aver violato gli ordini della giunta non sono in molti e liberati su cauzione quasi immediatamente. Ricordiamo i casi di Jittra Cotchadet, Worachet Pakeerut, e Sombat Boon-ngam-anong. Ultimamente il caso di Apichart Pongsawat, impiegato della Commissione di riforma della legge fu rigettata per ragioni tecniche. Chi ha confessato ha avuto il dimezzamento delle sentenze. Dei 1629 casi circa mille sono relative alle armi senza detenzione predibattimento.
Comunque il problema più grosso sono quelli accusati di lesa maestà o di detenzione penale di armi da guerra che li rende dei prigionieri dimenticati.
Se scelgono di ribattere le accuse la detenzione diventa indefinita, per la gravità delle accuse e per la lentenzza della giustizia militare.
“Non sapere quanto tempo si passerà in carcere ha un effetto negativo psicologico sull’accusato” dice Winyat Chatmontree, che rappresenta molti detenuti politici nelle corti civili e militari. “Costringe il detenuto a confessare per uscire dal carcere anche se non sono colpevoli. Non perché non hanno fiducia nella difesa o nel loro avvocato. Ma la dura pene per crimini contro la sicurezza nazionale, la quasi certezza di finire colpevoli e la detenzione lunghissima prima del processo sono le motivazioni a confessare”.
Nella maggioranza dei casi nazionali gli accusati si trovano di fronte a detenzioni senza fine prima i poter vedere il tribunale. Ora ci si attende che le 14 persone, accusate di aver pianificato e lanciato un attacco con granate ed armi contro la Corte Penale nel 2015, dovranno fare fronte ad una lunghissima detenzione predibattimento.
Sono stati arrestati a marzo 2015 ma il processo e la raccolta delle prove è cominciato solo a marzo 2016. Ci sono 86 testimoni dell’accusa da interrogare e controinterrogare e, se si considera la pratica del tribunale militare di esaminare un solo dibattimento al mese, c’è il forte sospetto che i 14 accusati dovranno sottostare a 86 mesi di detenzione, sette anni, prima che si possa raggiungere un verdetto.
Per quanto attiene alla rete antimonarchica Banpodj, si ha una grande differenza di trattamento tra chi si è detto colpevole e chi ha deciso di ribattere l’accusa. Tra gennaio e febbraio dello scorso anno 12 individui furono arrestati accusati di far parte della rete e soggetti a sei sette mesi di detenzione. A luglio 2015 gli otto accusati dichiaratisi colpevoli ebbero cinque anni di carcere, mentre gli altri due furono condannati a solo tre anni di carcere perché ritenuti di aver avuto un ruolo secondario nel caso. Chi ha ricevuto la sentenza più lieve si trova ad aver scontato metà della pena.
Gli altri due che hanno rifiutato di autoaccusarsi, dopo l’udienza di deposizione di dicembre scorso, hanno chiesto di essere giudicati in un tribunale civile. Ma dopo 13 mesi di carcere il loro processo procede lentamente, senza che si riesca ad intravedere la fine.
Contro questi due accusati, Anchan e Thara, della rete di Banpodj accusati da un’agenzia della polizia, esiste un’altra accusa sostenuta dal DSI del ministero di giustizia.
La donna Anchan ha 29 capi di accusa per lesa maestà ed il processo è iniziato a gennaio 2016, un anno dopo il suo arresto. La seconda udienza si terrà a maggio dopo 4 mesi dalla prima. Ci sono una dozzina di testimoni a suo carico e non si riesce a capire quando potrà aver termine il suo processo.
Thara invece ha solo sette accuse di lesa maestà.
Anche per Sirapop, poeta conosciuto col nome di Rung Sila, la strada per la libertà è molto lunga. Sirapop si è dichiarato innocente sin dal giorno del suo arresto nel giugno 2014 ed in ogni udienza. Il suo avvocato ha invocato l’articolo 10 della Legge di giurisdizione del 1999 per contrastare l’autorità della corte militare, in considerazione del fatto che il presunto reato è accaduto prima che gli annunci della giunta avessero effetto. Quando nel gennaio 2016 Sirapop ricevette il diniego del passaggio al tribunale civile, aveva già fatto oltre 28 mesi di carcere. La sua prima audizione sarà a maggio, 2 anni dopo l’arresto, resta da chiarire quanto tempo ancora il poeta resterà dentro le regie prigioni.
“Nelle procedure penali normali, la data del processo e la presa delle prove è fissata non appena la corte penale accetta l’accusa. Di solito ci vuole un mese” dice l’avvocato dei diritti umani Anon Numpa. “Ma il tribunale militare ha una procedura molto differente e secondo me pochissimo chiara. Non si sa mai quando inizia il processo in un tribunale militare”
“Per almeno un detenuto c’è stato un accordo perché apparisse all’udienza senza i suoi avvocati” dice Anon “In un caso di lesa maestà l’accusato fu portato in tribunale dove gli fu chiesto se voleva confessare il crinine o rispondere all’accusa, senza dargli una possibilità di consultare il suo legale. E poi il giudice emise il verdetto, senza un avvocato difensore presente, cosa inaccettabile secondo tutti gli standard al mondo”.
La mancanza di notificazione delle accuse all’imputato è stato ben documentato in un rapporto sul destino di accusati in una corte militare dal volontario Noraset Nanongtume. In un caso di lesa maestà di un certo Thara l’avvocato della difesa richiese il 1 maggio 2015 di fotocopiare l’ordine di accusa che era stato sottoposto alla corte una settimana prima. Quando poi l’avvocato ritornò alla corte il sette di maggio gli fu detto che erano troppo indaffarati. Quando l’avvocato ritornò un mese dopo a giugno, fu informato che le fotocopie erano state già inviate all’accusato. Il giorno dopo l’accusato in prigione gli disse di non aver ancora visionato l’accusa. Ci vollero alla fine quattro mesi perché la difesa potesse ottenere l’accusa formale scritta contro il proprio cliente.
“Le audizioni nell corti marziali sono sempre previste al mattino. Dicono che giudici e accusa devono seguire cose amministrative nel pomeriggio” dice Anon. “In alcuni casi un testimone dovva essere interrogato in tre audizioni nel corso di tre mesi. Se il testimone non si presenta ad una di queste audizioni, l’udienza è spostata di un mese. Quando il testimone è impossibilitato a presenziare, l’accusa non informa neanche l’avvocato della difesa, ma lo dice il giorno dell’udienza. In un tribunale militare di Chiang Mai l’interrogatorio di un testimone si è protratto per sei mesi. I giudici sono così indaffarati da poter prevedere le udienze ogni due mesi. Un contrasto enorme rispetto alle corti civili. Di solito le corte penali bloccano il giorno intero per l’udienza e prevedono che l’udienza possa durare per vari giorni consecutivi. Questo permette di accelerare il processo e permettere a molti testimoni di essere esaminati in un singolo giorno”
Questo è un grande contrattempo nel caso delle 14 persone accusate dell’attacco contro la corte penale nel 2015. Alla fine del 2016 neanche metà degli 86 testimoni di accusa potrà testimoniare. Avere poi 10 avvocati in rappresentanza di 14 persone non rende più facile la cosa. Dice Winyat: “Ogni avvocato avrà bisogno di quanto più tempo possibile per esaminare e controinterrogare i testimoni dell’accusa per difendere il proprio cliente, aggiungendo ritardo ulteriore al processo”.
“Nelle corti penali i giudici registrano le testimonianze durante i processi ed hanno gli impiegati a digitarli. Nelle corti penali i giudici prendono i loro appunti a mano. E la cosa può davvero rallentare tutto”.
Sfortunatamente questa è un pratica comune nelle corti marziali. Nel caso di un accusato di nome Wichai, la corte rigettò la richiesta della difesa di fotocopiare il resoconto scritto della procedura della corte durante l’udienza alla terza richiesta della detenzione preprocessuale. Secondo la corte il resoconto era stato già comunicato verbalmente alla difesa e non era necessaria alcuna fotocopia. Se la difesa aveva qualche domanda, poteva chiedere alla corte il permesso di rivedere il documento quando voleva.
Nel caso della donna Chayapa, la difesa aveva chiesto il permesso di fotocopiare vari documenti come l’accusa formale, il mandato di arresto, la richiesta preliminare di detenzione preprocessuale, il resoconto scritto dell’arresto ed il trasferimento dell’arrestata e le prove a sostegno dell’accusa, la testimonianza dell’accusata stessa. La corte alla fine diede il permesso della fotocopia dl solo mandato di arresto e delle caratteristiche distintive dell’accusata. Null’altro più.
Per amore dell’equità, Anon ha notato che la Corte di Giustizia ha occasionalmente fatto anche processi a porte chiuse. E molti casi delle corti penali non sono vietati al pubblico. “La decisione di aprire il processo al pubblico o tenerlo segreto è nella discrezione della corte. Certo i processi segreti hanno un impatto sui diritti dell’imputato ma non sono certo limitati alle corti militari”.
L’uso eccessivo della detenzione preprocessuale si è diffusa anche presso le corti civili rendendo sempre più difficile la difesa per chi è accusato di lesa maestà o possesso di armi da guerra. Il diniego della libertà condizionale è giustificata secondo la corte per la minaccia alla sicurezza della nazione e al rischio di fuga a causa della severità della pena.
Ciò spinge Winyat a domandarsi del ruolo dei giudici penali nel garantire il diritto ad un processo equo e giusto.
“I giudici spesso citano la minaccia alla sicurezza nazionale e la severità della pena senza considerare se la prova addotta dall’accusa è degna di fiducia. Mel sistema di giustizia internazionale se la prova non è sufficiente a stabilire che l’accusato ha davvero commesso il crimine presunto la corte orina il rilascio temporaneo dell’accusato. Il processo può andare avanti ma l’accusato resterà libero finché non si dimostrerà la sua colpevolezza. Questo è il modo per assicurare il giusto processo di legge e l’accesso alla giustizia. Ma i giudici thai non attendono quasi mai questo dovere”
In aggiunta i giudici stessi talvolta violano i diritti dell’imputato all’assistenza. In alcuni casi i giudici provano a convincere l’accusato, prima o dopo l’inizio del processo, che la confessione permetterà una sentenza più lieve.
Dice Winyat: “Ciò rende il lavoro della difesa anche più difficile. Talvolta quando abbiamo bisogno di mettere in dubbio una testimonianza o una prova, il giudice usa dire che l’azione serve solo a rallentare il processo e a tenere di più l’accusato in carcere. Ci mettono letteralmente contro il cliente e ci accusano di detenzione non necessaria dell’accusato anche se tutto quello che proviamo a fare è provare l’innocenza del nostro cliente”.
Persino la duplicazione delle prove o le fotocopie dei documenti di corte non è esclusiva dei processi nelle corti marziali. In un caso di detenzione di armi da guerra, la corte penale proibì la duplicazione di un CD che registrava l’interrogatorio di un testimone in un campo militare, usato come base dall’accusa.
“Questa è una violazione dei diritti dell’imputato ad un processo equo” dice Winyat. “Se hai fiducia nelle tue prove perché preoccuparsi di fare una copia che usi per accusare il nostro cliente di un crimine grave? E’ un problema di tanti processi politici sin dal 2010.
La sicurezza nazionale è usata ogni volta che la corte vuole bloccare i tentativi della difesa di assicurare la giustizia per l’imputato”.