La euforia della grande vittoria elettorale di appena un anno fa della coalizione malese Pakatan Harapan, guidata dal vecchio Mahathir Mohamad, contro la coalizione screditata da decenni di potere, ha lasciato il passo ad un disappunto diffuso tra promesse irrealizzate e problemi economici.
Sondaggi ultimi mostrano un calo del sostegno per l’alleanza della speranza che sconfisse il governo del Barisan Nasional di Najib Razak nel sorprendente trionfo elettorale del 9 maggio che per molti voleva essere una nuova alba della politica e del governo malese.
Ma nel suo primo anno di potere della coalizione di più razze del Pakatan Harapan, la Malesia che è la terza economia del sudestasiatico ha visto una serie di cattive notizie tra le quali la crescita delle tensioni settarie, un calo dell’investimento estero diretto, una scivolata della sua moneta contro il dollaro e un calo del mercato azionario.
Il malessere è continuato nonostante il progresso significativo di Mahathir nel portare avanti le promesse elettorali di combattere la corruzione e nel rivedere i costosi investimenti infrastrutturali legati al BRI cinese, alcuni dei quali definiti ingiusti o non sopportabili, una azione forte se si considera che la Cina è il principale partner commerciale della Malesia e investitore.
I piani recenti di lotta alla corruzione nel governo includono la regolazione del lobbying politico, la richiesta che politici e burocrati dichiarino le loro proprietà e la riforma del processo di nomina ministeriale.
Nel frattempo Najib è sotto processo per la presunta scomparsa di 4,5 miliardi di dollari dal fondo di sviluppo 1MDB.
L’ex premier si è dichiarato innocente delle accuse di corruzione nello scandalo che ha simboleggiato gli eccessi del suo governo. Allo stesso tempo Mahathir ha sospeso vari progetti cinesi miliardari mettendo in guardia altri paesi della regione del rischio della trappola del debito negli accordi con la Cina.
In difesa di Mahathir, l’economia già rallentava quando arrivò al potere, appesantita dal pesante debito che derivava in gran parte dal fatto che il governo del UMNO amava la finanza infrastrutturale cinese.
I commentatori dicono che Mahathir non conoscesse la scala del debito finanziario prima delle elezioni e forse ha fatto troppe promesse.
Le ansie malesi sull’alto costo della vita aveva spinto la sua promessa elettorale populista di cancellare una tassa sui beni e servizi, ma l’azione insieme allo stallo di nuovi investimenti cinesi ha minato gli sforzi per ridurre il debito del governo. Secondo una previsione esso raggiungerà il 56% del PIL, il maggiore dal 1992.
Con le finanze messe in riga, sono state accantonate le altre promesse di riforma come l’abolizione dei pedaggi stradali e la proroga dei prestiti degli studenti, mentre i sussidi di stato sono stati ridotti. I prezzi tuttavia restano alti.
La frustrazione è particolarmente forte tra la popolazione malay, che rappresenta il 60% di tutta la Malesia, particolarmente nelle aree rurali.
I Malay percepiscono anche che i privilegi e benefici loro accordati sono in pericolo. Le loro lamentele sono sfruttate dall’opposizione, mentre UMNO e partito islamico attizzano le tensioni razziali e religiose.
L’opposizione afferma che Pakatan Harapan, che ha il sostegno di base nelle aree urbane, nei malay liberali e nelle minoranze cinese ed indiana, non riesce a tenere alti i diritti del Islam e dei Malay. Essa è critica perché sono state date a non malay posizioni importanti del governo.
Tutto ciò pone l’amministrazione di Mahathir sulla difensiva. La pressione dell’opposizione e dei gruppi promalay hanno costretto il governo a fare un’inversione di rotta sull’adesione alla ICC e sull’adozione dell’ONU contro la discriminazione razziale come anche la marcia indietro sulla pena di morte.
Le azioni che avrebbero potuto far salire le azioni della coalizione di governo, come l’inchiesta sul 1MDB, il recupero di alcuni fondi scomparsi e il salvataggio del fondo per i pellegrinaggi alla Mecca e l’agenzia dello sviluppo fondiario, sembrano aver avuto un basso impatto. La coalizione è stata infatti sconfitta in tre successive elezioni locali da quando è giunta al potere.
Ma mentre le indagini statistiche di marzo del Merdeka Center mostravano che il consenso al governo e a Mahathir era crollato della metà dall’inizio, due terzi dei malesi erano preparati comunque a dare più tempo al governo. E ci sono segni che, sebbene l’economia rimanga lenta, le prospettive di investimento migliorano e, criticamente, le relazioni con la Cina si riprendono dopo la sospensione dei progetti cinesi.
Gli impegni nel FDI sono cresciuti di circa 19 miliardi di dollari nel 2018, il 49%, dei quali gran parte viene dalla seconda metà dell’anno.
Nel frattempo Mahathir è riuscito a rinegoziare un grande progetto cinese ECRL tagliando i costi di un terzo, ed ha recuperato un altro, Bandar Malaysia, da 34 miliardi di dollari per sviluppo del trasporto e della proprietà.
Sono entrambi progetti del BRI che dovrebbero essere dei magneti per altri investimenti esteri. La Cina ha risposto al favore accettando di aumentare le importazioni di olio di palma di quasi due milioni di tonnellate nei prossimi cinque anni.
Gli sforzi di Mahathir di rafforzare la salute finanziaria del paese non sono stati favoriti dai prezzi deboli delle merci e dalla guerra commerciale tra USA e Cina, perché molte esportazioni malesi in Cina sono beni intermedi che sono poi assemblati e spediti negli USA. Ma il suo tentativo di sfidare la Cina sui termini del suo investimento era un po’ un gioco d’azzardo se si guarda al contributo cinese all’economia malese.
Putrajaya è ora fiduciosa che le relazioni sono tornate normali e che seguiranno altri investimenti cinesi, sebbene si sia indurita l’attitudine lassista malese precedente verso qusti flussi.
Il ministro degli esteri malese Saifuddin Abdullah di recente lo ha segnalato quando ha detto alla Reuters che “gli accordi e i patti devono essere giusti per tutte e due le parti”
Yigal Chazan Asiansentinel,