Il quadro della sicurezza nel 2019 nel Sudestasiatico nel campo dell’estremismo violento e dell’insorgenza è in evoluzione.
Molte delle zone di conflitto hanno visto una riduzione della violenza mentre alcune attese minacce non si sono materializzate.
Ma il 2019 è stato un anno di opportunità perse, perché nessuno stato ha colto l’opportunità di questa riduzione della violenza per provare a dare vita a soluzioni politiche durevoli.
Il fattore esterno maggiore ad influenzare la sicurezza regionale è stata l’incomprensibile decisione di Trump di fermare il sostegno agli alleati curdi in Siria che ha favorito l’invasione turca. Le forze di sicurezza turca non hanno più tenuto di guardia vari campi di prigionia dei membri del IS con alcune centinaia di militanti della regione e le loro famiglie.
Non si è mai materializzata un temuto flusso di militanti di ritorno nei propri paesi di origine, ma mancano all’appello una cinquantina di loro. E’ stato limitato il rimpatrio controllato di militanti malesi ed indonesiani fino a metà dicembre quando la Malesia negoziò con la Turchia il rientro di due militanti insieme alle loro famiglie.
In modo simile non si è materializzata la paura che la regione diventasse un grande fronte del IS. Un video messaggio di aprile del capo IS Abu Bakr al Baghdadi non citava affatto il Sudestasiatico. Dopo la sua morte ad ottobre non ci sono stati attacchi di vendetta nella regione. Mentre il Califfato Islamico ha forse adottato un modello globale di insorgenza, i paesi della regione restano un teatro di secondo ordine per il gruppo estremista.
Nel 2019 sono stati uccisi alcuni membri anziani del IS come Muhammad Saifuddin, Akel Zainal e Mohd Rafi Uddin. E’ stato anche decimato ogni parvenza di comando e controllo diretto tra cellule regionali e centro IS.
Forse però il colpo maggiore al IS è stato fatto dai media sociali che hanno chiuso i profili dei membri del IS, come Telegram, lasciando quasi senza voce una organizzazione riconosciuta per la sua abilità di mobilitare e radicalizzare online i giovani. Gruppi e cellule sono ormai disunite ed operano senza una guida o un comando.
Indonesia
In Indonesia il JAD resta un’organizzazione molto resiliente. La polizia ha notato un forte declino delle azioni terroristiche legate al JAD. E quei pochi attacchi sembravano essere controproducenti portando all’arresto di 280 militanti nel 2019.
E’ stato il primo anno che la polizia indonesiana arrestava preventivamente sospettati con la modifica del 2018 alla legge antiterrorismo.
La polizia
antiterrorismo Densus 88 è stata rafforzata ed impiegata in ogni
provincia, una mossa che si è dimostrata intelligente quando otto
militanti JAD sono fuggiti da una Giava pesantemente sorvegliata per
andare a pensare attacchi nella provincia di Papua dove vice una
minoranza musulmana e dove sono stati arrestati.
Nel 2019
l’Indonesia ha lanciato la controversa unità antiterrorismo
dell’esercito con una direttiva presidenziale che comandava ad
un’unità di 500 membri KOOPSUS di coordinarsi con polizia e
agenzia antiterrorismo BNPT, senza però allentare le paure di
permettere il ritorno dei militari, dopo l’uscita nel 1998, in
faccende tipicamente civili.
Nel 2019 ci sono state tre
tendenze chiare nell’antiterrorismo.
La prima è quella di aver individuato il JAD come nemico più vicino, i cui membri continuano a focalizzare i propri attacchi sulla polizia.
A settembre otto sospettati del JA sono stati arrestati per un attacco suicida pianificato a Bekasi, mentre a novembre un suicida ferì quattro poliziotti e due civili ad una stazione di polizia a Medan.
Fu sventato un attacco per impedire le elezioni presidenziali pianificato da cinque cellule separate e furono arrestati 30 sospettati e sequestrate 11 bombe artigianali.
Nel tentato omicidio del ministro della sicurezza Wiranto da parte di un militante JAD, si intravede solo la scelta strategica del nemico più vicino, ma non esistono prove di una campagna di omicidi mirati di rappresentanti di governo.
La seconda tendenza è il ritorno di Jemaah Islamiyah, scomparsa nel 2011 ma capace di riprendersi, di gestire organizzazioni di beneficenza, di pubblicare libri oltre ad una rete di moschee e scuole islamiche.
Il governo si era convinto che il gruppo avesse rinunciato alla violenza, ma il suo capo Para Wijayanto fu arrestato a giugno a ricordare che si trattava di una calma tattica per il JI. Dopo la scoperta di flussi di finanziamenti e prove di un rinnovato raggruppamento si è capito che il gruppo si apprestava a riprendere operazioni violente.
La terza ed ultima tendenza è quella della ripresa del MIT, Mujahideen dell’Indonesia Orientale, che benché decimato sin dal 2014 ha ripreso gli attacchi.
Malesia
La Malesia non ha visto attacchi nel 2019 ,a solo un accresciuto numero di arresti di militanti vicini al IS. Preoccupa molto lo stato Sabah nel Borneo malese che resta un area di transito per militanti stranieri che entrano ed escono dalle vicine Filippine.
Tra gli arresti ci sono anche una dozzina di membri del gruppo Abu Sayaff che fa sempre rapimenti nelle acque malesi, molti dei quali respinti dalla sicurezza malese.
Oltre ai propri militanti la Malesia è un punto di transito e porto sicuro di altri militanti. La polizia arrestò 7 presunti militanti di Al Qaeda tra cui sei egiziani ed un tunisino.
La Malesia è attiva nel rimpatrio di 50 suoi nazionali detenuti in Siria ed Iraq, fiduciosa del funzionamento dei propri programmi per terroristi per il presunto basso livello di recidiva.
La Malesia fu sotto lo sguardo internazionale quando rilasciò, per fine sentenza, Yazid Sufaat che comandava la produzione dl anthrax per Al Qaeda. Sebbene sia libero l’ex capo di Al Qaeda mai pentito ha movimenti ristretti insieme all’accesso ad internet e alle persone che può incontrare.
Il Pakatan Harapan che promise durante la campagna elettorale di cancellare la legge di Prevenzione del Terrorismo deve ancora muoversi in tal senso.
Filippine
Il 2019 delle Filippine ha visto sia progressi che passi indietro in molte delle questioni della sicurezza interna.
In termini positivi continua senza imprevisti l’applicazione del processo di pace col MILF e la creazione, dopo due plebisciti, della BARMM con un governo ad interim fino alle elezioni di metà 2020.
Il governo ad interim prova ad installarsi e a compiere la trasformazione da ribelli ad amministratori nonostante le tante sfide enormi di vari competitori, tutti vicini al ISIS, come Abu Sayaff, BIFF, Gruppo Maute o IS Lanao.
Il BIFF ha portato avanti la sua campagna di attacchi sporadici con bombe per minare la fiducia nel processo di pace, mentre il gruppo Maute ha mostrato l’intenzione di raggrupparsi di nuovo dopo la sconfitta di Marawi usando scontri di bassa intensità.
La sfida maggiore alla sicurezza è Abu Sayaff, guidato da Hatib Hajan Sawadjaan a Sulu e Furuji Indama a Basilan, che hanno assunto il comando del IS nelle Filippine dopo la morte di Abu Dar a marzo 2019, accrescendo l’uso di kamikaze nel 2019.
A gennaio una coppia di indonesiani si fece saltare in aria nella cattedrale di Jolo facendo 23 morti e 100 feriti. A giugno due uomini tra cui il primo filippino suicida si fecero saltare in aria fuori di un campo dell’esercito a Sulu uccidendo altre tre persone e ferendo altre 22.
Dopo una calma di 18 mesi Abu Sayaff ha ripreso i rapimenti estorsivi comprese le operazioni in mare. Hanno rapito un inglese e la moglie filippina mentre un olandese prigioniero da tempo è rimasto ucciso in una battaglia.
Il governo filippino ha continuato a rifuggire colloqui di pace con l’insorgenza comunista, che opera in tutto il paese, sebbene il 2019 ha visto maggiori operazioni a Negros e Samar. L’insorgenza ha accresciuto le proprie operazioni a Mindanao.
Thailandia
Nel 2019 la violenza nel inquieto meridione thai ha continuato a decrescere al livello più basso dal 2014 , anche se gli insorti sono riusciti a fare il loro singolo attacco più mortale a Yala dove hanno ucciso 15 persone in due attacchi gemelli a posti di sicurezza.
La continua decrescita della violenza è un buono sviluppo anche se potrebbe avere l’effetto di prolungare il conflitto. Il governo si può permettere di parlare a vuoto di processo di pace senza fare concessioni alla comunità etnica malay nella sua litania di lamentele.
Il governo appoggiato dai militari giunto dopo le elezioni manipolate di marzo non tollererà alcun cambiamento alla natura unitaria dello stato thailandese. Ad ottobre il comando delle operazioni di sicurezza interno ha accusato 12 politici di opposizione e studiosi per una conferenza in cui discutevano delle proposte di autonomia regionale.
Tra le lamentele della popolazione del profondo meridione la maggiore è l’impunità delle forze di sicurezza.
Ad agosto morì un presunto militante in seguito alle complicazioni di una mancanza prolungata di ossigeno durante la custodia militare. I militari hanno negato ogni cosa loro addebitata, e le telecamere di sicurezza della prigione non funzionavano.
I militari promisero indagini complete ma finora nessuna denuncia è stata fatta, mentre i militari sembrano determinati a far sfumare la situazione. A dicembre una unità della sicurezza ha ucciso tre boscaioli disarmati a Naratiwat scambiandoli per insorti. In un caso unico di responsabilità i due soldati sono stati accusati di omicidio.
Il 2 agosto delle bombe scoppiarono a Bangkok durante il summit ASEAN ma il caso è ancora irrisolto. La polizia ha arrestato alcune persone del profondo meridione senza però che il governo abbia presentato prove che i sospettati fossero legati all’insorgenza e le ragioni dell’insorgenza a lanciare questo attacco.
Birmania e Bangladesh
Il conflitto Rohingya resta del tutto irrisolvibile mentre sono comparse immagini surreali di Aung San Suu Kyi che difende i militari ed il governo al processo per genocidio dei Rohinya a L’Aia.
I governi del Bangladesh e Myanmar si incontrarono per facilitare il ritorno di un po’ di Rohingya, ma senza protezione e senza cittadinanza nessun Rohingya ha accettato il ritorno in Myanmar.
Il governo del Bangladesh lotta per capire cosa fare con oltre 1 milione di rifugiati Rohingya e se metterli su un’isola bassa nel percorso dei tifoni. Non ci saranno progressi prima delle elezioni del 2020 in Birmania, e forse neanche dopo.
Sebbene non si siano materializzate le preoccupazioni sull’infiltrazione di organizzazioni jihadiste, l’irrisolvibilità del conflitto accresce il pericolo del terrorismo. La Malesia ha arrestato almeno tre persone nel 2019 con legami presunti con ARSA.
Conclusioni
Sebbene siano diminuite sia la violenza terrorista che secessionista nella regione nel 2019, i governi hanno fatto ben poco per approfittarne per cercare soluzioni politiche durevoli e chiudere i conflitti di lungo corso.
Restano non affrontate le lamentele centrali ed i conflitti possono incancrenirsi: assenza di violenza non è la pace.
Si aggiunge che vari governi hanno introdotto politiche che possono alimentare le tensioni verso le minoranze. La Malesia per esempio accresce la propria islamizzazione per contrastare la narrativa jihadista, provocando le rimostranze delle minoranze indiana e cinese già bistrattate.
Nelle Filippine, il continuo buttare alle ortiche il governo della legge da parte dell’amministrazione Duterte avrà un impatto sulle risorse legali per la risoluzione delle problematiche.
In fin dei conti l’insorgenza pone delle domande sul buon governo che si indebolisce nelle Filippine.
Infine l’impunità delle forze di sicurezze in tutta la regione, che continuano ad ammassare nuove risorse ed autorità legali, potrebbe ritorcersi contro.
Una cosa in più da osservare nei prossimi anni nella regione è come i gruppi militanti affronteranno il dolore degli altri gruppi, come i Rohingya in Myanmar e Uiguri in Cina.
Mentre i governi malese ed indonesiano si sono lavati le mani della repressione sistematica di quasi 2 milioni di Uiguri musulmani nel Xinjang, i gruppi della società civile hanno accresciuto la militanza anticinese.
Zachary Abuza BenarNews.