Quando il sindaco di Bangkok, generale Asawin Kwanmuang, ordinò a marzo la chiusura di tutte le aree a rischio di COVID-19, innescò un esodo biblico ed un numero immenso di persone che vivono a Bangkok e che iniziò a tornare a casa.
Giornali, televisioni, media sociali erano piene di immagini della stazione di Mo Chit da dove partivano i bus che vanno nel nord e nordest stracolmi di persone che provavano a tornare a casa.
Come si permettono di tornare a casa in un momento così? Perché non ascoltano i ripetuti richiami del governo a starsene a casa per limitare la diffusione del virus? Non lo capiscono che essere stretti a quel modo, nel caso uno tra loro avesse il virus, significa che diffondono ancor di più il virus?
Sono domande che molti spettatori avevano in mente.
Ma fermiamoci a rivedere quella immagine. Perché, in primo luogo, non si guadagnano da vivere nelle loro province e sono costretti a venire a Bangkok per cercare un lavoro?
Queste domande devono aiutarci a capire meglio le loro ragioni per tornare a casa.
Tutte le strade portano a Bangkok
A guardare la storia dello sviluppo thailandese una cosa che emerge molto chiaramente è che il vecchio stato era fatto in modo da centralizzare il potere economico, politico e sociale e le risorse nella capitale, trasformando così Bangkok in una potenza ricca di investitori thai e stranieri
Eppure fu sono nel 1961 che lo stato thai stese il primo piano di sviluppo socio-economico nazionale nello sforzo di tenere lontano il comunismo, mentre nel 1965 fu emanato un piano di sviluppo del Nordest. Si stabilirono molte università regionali per migliorare l’accesso all’istruzione universitaria. Le prime tre università fondate fuori da Bangkok secondo questo piano furono l’Università di Chiang May nel 1964, quella di Khon Kaen nel 1966 e Ubon Ratchathani nel 1990.
Nonostante i molti articoli della costituzione del 1997 per devolvere il potere e le risorse verso le province, il potere economico e politico resta ancora centralizzato a Bangkok originando il motivo pietoso “Bangkok è la Thailandia e la Thailandia è Bangkok”.
Nonostante questo, sembrerebbe che l’Isaan sia stato ben rappresentato in parlamento nei decenni scorsi. Vari partiti governativi quali Thai Rak Thai, Palang Prachachon e Pheu Thai contano molti parlamentari dell’Isaan ma il passo glaciale della centralizzazione non ha mai accelerato.
Poi i golpe del 2006 e 2014 hanno riportato indietro l’orologio dando di nuovo nelle mani dei generali della capitale quei poteri anche abbozzati dati alla gente per determinare il proprio destino.
Poiché lo sviluppo è sempre stato Bangkokcentrico a spese delle province e le loro città la gente non ha l’organismo per gestire i propri affari e risorse nelle proprie comunità, spingendo tantissimi milioni di gente dell’Isaan a dirigersi a Bangkok per le opportunità economiche.
Manovali dell’edilizia, tassisti, comici, ambulanti, cantanti, impiegati sono i lavori ben rappresentati dalla gente dall’Isaan.
Per molti trovare un lavoro a Bangkok con i suoi costi di vita non è affatto ideale. Eppure la possibilità di avanzare nello status sociale, di mandare i figli in una scuola decente e risparmiare per migliorare la vita dei propri familiari nell’Isaan continua a spingerli nelle fauci della capitale.
La struttura dello stato thai non dà loro alcun potere contrattuale con forti limitazioni in termini di opportunità, di accumulare capitali e nel campo di opzioni nella vita. E’ difficile resistere alla prospettiva dell’immenso mercato del lavoro di Bangkok e la possibilità di costruirsi il proprio capitale anche se significasse rischiare la vita ed il benessere.
“Emigrare a Bangkok” è diventato un fenomeno culturale in sé e per sé. Quando la gente emigra a Bangkok per ritornare con i regali dei nuovi oggetti di casa, con nuovi vestiti o persino la macchina per i loro genitori, è notata da tutto il villaggio. Mentre sono a Bangkok spesso mandano soldi a casa diventando anche pubblica conoscenza nella comunità. Si genera così abbastanza pubblicità negli amici, nella famiglia o nei vicini che seguono la loro stessa storia raggiungendo i loro amici nello stesso quartiere a Bangkok.
Quando casa li richiama
Dopo aver passato del tempo a Bangkok, ne segue inevitabilmente che questa gente dell’Isaan torna a casa per un po’, cosa che nella lingua lao dell’Isaan è definita come muea Baan oppure mia baan, e ci sono alcune ragioni per tornare a casa.
La prima ragione per tornare a casa è il bisogno di dare una mano nella stagione della semina del riso. Provenendo da una società agraria, molti dei lavoratori a Bangkok avranno genitori che coltivano ancora il riso la terra che è tramandata da generazioni. Quando finisce il trapianto del riso, non resta nulla per loro e quindi tornano a Bangkok. Quando arriva la stagione del raccolto, prendono ancora congedo dal lavoro per tornare ad aiutare a contribuire ad un’altra fonte di reddito della famiglia.
La seconda ragione più importante che li fa tornare a casa da Bangkok sono le cerimonie e festività importanti, quali il Songkhran, il Nuovo Anno.
Abbiamo visto immagini di masse di persone che in queste occasioni si apprestano a tornare nelle province. E’ una delle poche volte dell’anno che riescono a celebrare e mangiare insieme alla famiglia, prima di tornare a Bangkok quando finisce il loro periodo di ferie.
La terza ragione per tornare è quella di votare. Sin dalle elezioni generali del 2005, sempre più cittadini dell’Isaan hanno fatto il loro viaggio a casa per votare al loro partito politico preferito. E’ un fenomeno relativamente recente. Molti studiosi credono che sia dovuto alla maggiore coscienza dell’importanza del loro voto, dopo aver riconosciuto di aver avuto dei benefici diretti dalle politiche del Thai Rak Thai. Questa novità di benefici tangibili ricevuti dalle politiche governative dalla gente dell’Isaan ha fatto nascere l’espressione di democrazia che puoi mangiare.
Gli esodi di massa per le elezioni generali del 2007, 2011 e 2019 hanno messo a nudo la lotta tra le parti autoritarie e democratiche della società Thai.
Infine tornano a casa quando perdono il lavoro. Potrebbe essere, per esempio, che la fabbrica dove lavorano li ha licenziati per spostarsi in un altro paese. Alcuni restano nella grande città per trovare un altro lavoro, ma altri ritornano a casa per ritrovare le proprie orme per ritornare di nuovo ad affrontare il mondo esterno. Gli amici o la famiglia li convincono forse a tornare a casa, o a cercare fortuna in un’altra parte della provincia.
Esodo del COVID-19
La serrata ordinata a Bangkok durante l’epidemia di COVID-19 ha comportato un altro esodo di massa verso le loro province, ma con qualche differenza fondamentale.
Per prima cosa, la serrata non è stata annunciata presto rendendo impossibile a chi lavora a Bangkok una pianificazione anticipata del loro viaggio.
Se si fosse trattato del periodo della campagna, di un festival o un periodo di vacanza, delle elezioni o di un licenziamento, lo avrebbero saputo per tempo e pianificato per tempo. E’ accaduto che tanti lavoratori si sono ritrovati senza lavoro all’improvviso, mentre i loro datori di lavoro furono costretti a chiudere per prevenire la diffusione del virus.
Il loro ritorno nelle province natie è avvenuto improvvisamente con pochissimo tempo per prepararsi comportando l’affollamento delle stazioni mentre tutti provavano ad acquistare un qualunque biglietto che li portasse direttamente o almeno in parte verso casa e lontano da Bangkok.
Seconda cosa, dovevano tornare a casa come atto di precauzione o di difesa. Quando questi emigranti dovettero lasciare Bangkok, il governo aveva chiaramente ordinato la chiusura della città senza pensare alla logistica di come riuscire a fare uscire la gente dalla città.
Non ci fu organizzazione e la gente cominciò ad arrivare alla stazione di Mo Chit in masse mai viste prima. Non ci fu nessun sistema per seguire tutti questi potenziali portatori di virus quando arrivarono nelle loro province, ma solo un processo di controllo casuale e furono dati ordini alle province, ai volontari nei villaggi per escogitare modi di seguire essi stessi questi migranti.
Parlando con un tassista ad Ubon lui disse:
“Non ho preso nessuno dalla stazione. Mi spaventava l’idea. Facevano un controllo solo quel giorno. Tutti coloro che vengono da Bangkok sono stati ammassati sui bus e la possibilità di beccarsi il virus è alta. Gli aeroporti sembravano molto più sicuri perché controllano ogni singolo volo”
Tutti i passeggeri in aeroporto erano seduti uno a fianco dell’altro come sempre, ma era loro controllata la temperatura col termometro portatile prima dell’imbarco. Chi aveva febbre alta era portato da parte per un migliore controllo. Chi proveniva da aree rischiose ma non mostrava sintomi era supplicato di restare a casa in quarantena.
Terza cosa, la società thai ha cominciato ad apostrofare questa gente come untori di COVID-19 considerandoli come persone che si rifiutano di aderire agli ordini del governo.
Allora perché si rifiutavano di mettersi in quarantena a Bangkok e arrischiarsi nel bus affollato per tornare a casa? Non perché non considerano gli ordini del governo, ma perché il governo non è riuscito ad aiutarli a sopravvivere nella città dopo che hanno perso il lavoro, perché non ha instillato loro la fiducia di poter sopravvivere alla serrata a Bangkok. Coloro che erano manovali giornalieri, ambulanti ed altri non erano neanche noti nei progetti di sicurezza sociale del governo.
Le aree dove alcuni di questi migranti vivevano sono aree ad alto rischio di contagio, come stanze molto economiche in spazi urbani molto affollati, se non baraccopoli.
Finora Bangkok ha il maggior numero di persone infette ed i test di analisi hanno prezzi proibitivi per molti mentre il sistema sanitario per molti senza documenti è inaccessibile.
Non deve sorprendere che il loro primo pensiero fosse di “tornare a casa” e che quella era la ragione per essersi preso il rischio di finire in spazi confinati di un bus per varie ore avendo a fianco anche un possibile portatore del virus. Vedevano casa come molto più sicuro e di certo più economico per sopravvivere di Bangkok.
In ultimo, è un ritorno a casa che non ha la prospettiva di un futuro. Non si sa né quando né se potranno tornare a Bangkok. I loro datori di lavoro li riassumeranno? Li chiameranno egoisti per non aver fatto la quarantena a Bangkok?
Ma ancora di più, non c’è ancora alcuna garanzia di qualche specie di sostentamento nel loro futuro. Il governo sta solo dando 5000 baht al mese per tre mesi per un gruppo preciso di lavoratori senza assicurazione sociale.
Avesse il governo dato o almeno comunicato che ci sarebbero state misure sociali prima di chiudere Bangkok , i lavoratori migranti potrebbero essere rimasti in città.
L’esodo da Bangkok non fu un atto egoistico come dicono il governo o altre parti della società thai. Non erano superdiffusori come li definivano i grandi media.
Certo che si devono seguire strettamente le misure di quarantena in una pandemia per controllare il contagio, ma l’esodo di massa da Bangkok in quelle circostanze è una cosa complessa che tocca molte cose strutturali errate dello stato thai. E’ il prodotto dell’incetta dello stato thai di potere centralizzato e della sola vastità di incompetenza di fronte all’epidemia.
Comprendendo il contesto che circonda questo esodo massiccio ci aiuta a dire che non è stato un atto egoista. Erano solo preoccupati della loro vita e della vita delle famiglie come fanno tutti.
Se la gente potesse dare un voto di sfiducia nello stato thai, sarebbe che hanno letteralmente votato con i loro piedi.
Pattawee Chotanont, Isaan Record