Le radici del conflitto papuano non sono nuove e si sono accumulate a partire da un referendum molto criticato definito Atto di Libera Scelta nel 1969 con cui Papua divenne parte dell’Indonesia.

E’ passato un mese dal rapimento del pilota neozelandese Phillip Merthens il 7 febbraio scorso a Nduga a Papua occidentale da parte del TPNPB, braccio armato del Movimento di Liberazione di Papua.
I media locali hanno scritto che il gruppo del TPNPB capeggiato da Egianus Kogoya attaccò il piccolo aeroplano della Susi Air appena dopo il suo atterraggio, incendiando il velivolo e prendendo il pilota neozelandese come ostaggio e portandolo nella sua roccaforte dove lo usa come leva politica.
I militari sembrano non avere idea dove il gruppo armato nasconde il pilota grazie anche alle difficoltà ambientali.
I militari indonesiani hanno comunque hanno fatto varie sortite nei villaggi per prendere informazioni sul gruppo armato spingendo molti papuani a fuggire dai propri villaggi dalle reggenze di Nduga e Lanny Jaya. In seguito al rapimento è scoppiato una rivolta mortale e alcuni scontri armati tra gruppi armati e la sicurezza indonesiana con la morte sia di civili che militari a Yahukimo che Puncak.
Finora perciò non si vede alcuna fine a queste ostilità accresciute che sono la piaga a Papua da almeno sei anni e di cui nessuno ormai si sorprende più.
Per riuscire a capire la crescita di queste ostilità è fondamentale guardare ai fallimenti dei vari governi indonesiani nel rispondere a questa crisi.
Il governo centrale di Giacarta si sforza più nell’affrontare gli effetti che le radici del conflitto papuano.
Le sue politiche di controinsorgenza, che siano programmi di sviluppo, autonomia speciale per la regione oppure vere e proprie operazioni militari, mirano a ridurre lo scontento della popolazione indigena e gli attacchi violenti del TPNPB a livelli controllabili.
Non c’è stata un processo politico sincero tra il governo centrale, gli indigeni papuani e i gruppi nazionalisti di Papua Occidentale.
Ecco la ragione per cui queste politiche hanno incontrato la sfiducia degli indigeni papuani proprio mentre i gruppi armati del TPNPB sviluppano maggiori capacità di morte per attaccare civili e forze di sicurezza.
Vale la pena ricordare che le radici del conflitto papuano non sono nuove e si sono accumulate a partire dagli anni 60.
Da quando è diventata parte dell’Indonesia con un referendum molto criticato definito Atto di Libera Scelta nel 1969, la parte occidentale dell’Isola di Nuova Guinea e regione più orientale dell’Indonesia, chiamata come Papua Occidentale, ha rarissimamente goduto di stabilità.
Quel referendum conteso, in cui i militari scelsero meno dell’un per cento dei papuani per votare a favore dell’integrazione con l’Indonesia con la minaccia della violenza, fissò un precedente per il modo in cui lo stato indonesiano ignora gli interessi dei papuani.
Tra gli anni 70 e 90 il governo indonesiano spostò centinaia di migliaia di indonesiani di altre regioni del paese a Papua Occidentale con un programma di transmigrazione per cambiare con la forza la demografia della regione e controllarla, mentre il governo iniziava delle operazioni militari.
Il risultato fu un declino del numero di indigeni papuani nella propria terra, tante morti e una dislocazione massiccia della popolazione.
A causa di queste misure l’identità papuana come distinta dall’identità indonesiana è uscita fuori non tanto da differenze culturali, religiose e fisiche quanto dalla discriminazione razziale da parte dello stato che si combina con le lamentele passate e attuali degli indigeni papuani.
Il conflitto ha portato sia ad un movimento non violento che ad una lotta armata per difendere diritti e identità papuane.
Con l’avvento alla presidenza di Joko Widodo nel 2014, ci fu la speranza di una risoluzione di questa crisi. Lui fece rilasciare alcuni prigionieri politici papuani e promise di affrontare il caso dell’abuso dei diritti umani di Paniai del 2014, un incidente in cui l’esercito indonesiano sparò contro centinaia di manifestanti papuani uccidendo quattro giovani e ferendo altri nelle alture di Papua.
La promessa di aprire Papua Occidentale ai giornalisti stranieri fu percepito come un altro segno della buona volontà del presidente Joko Widodo.
Comunque l’impegno ad affrontare il conflitto andò in pezzi negli ultimi giorni della sua prima amministrazione.
Nella seconda amministrazione di Joko Widodo dal 2019 le lamentele papuane sono cresciute. Lo stato piuttosto che affrontare le cause radicale del conflitto si è concentrato sullo sviluppo e i programmi infrastrutturali quali la strada Trans Papua in costruzione in alcune reggenze, aziende alimentari, zona economica speciale, aree di turismo strategico e piantagioni di olio di palma.
Chi beneficia di queste iniziative sono in gran parte i papuani non indigeni che risiedono sulla costa e nelle aree urbane, mentre gli indigeni papuani come quelli che vivono nelle alture di rado traggono benefici dai progetti di sviluppo. Essi invece vivono in paura costante e nel trauma della crescita della violenza.
Centinaia di migliaia di civili finiscono nel fuoco incrociato e vivono la dislocazione e altre violazioni dei diritti tutte le volte che scoppiano scontri armati tra forze di sicurezza e TPNPB.
Nel 2019 epiteti razziali contro manifestanti papuani accesero manifestazioni pacifiche che si trasformarono in violenta in tutta Papua. Invece di riconoscere e risolvere questo profondo razzismo e discriminazione verso i Papuani, nel 2021 gli indonesiani estesero l’autonomia speciale nella regione, introdotta nel 2001, per altri venti anni. Divisero anche la regione in sei province.
Questo insieme di politiche calate dall’alto, applicate senza consultazioni estese con i Papuani e i loro rappresentanti, riflette la disperata strategia di contenere il conflitto più che risolverlo e mette in luce i fallimenti del governo centrale.
Nel contempo il TPNPB ha sempre rigettato le politiche statali ed attività economiche incluse nelle alture di Papua. Il gruppo ha messo in guardia contro il proseguimento dei voli commerciali ed ha persino sparato contro alcuni aeroplani che volavano sulle aree d’altura. Chiede che i civili non papuani abbandonino le zone di conflitto. Il recente rapimento fa capire che il TPNPB creda che i precedenti avvisi siano stati ignorati.
Il conflitto e la crescita di intensità indicano anche un trauma intergenerazionale irrisolto che i Papuani continuano a vivere e che, insieme alla disponibilità di armi relativamente sofisticate, facilitano campagne armate dal 2018 a Nduga che è la reggenza più povera dell’Indonesia.
Il TPNPB è riuscito ad accedere al mercato illegale di armi sia a quello alimentato da militari e polizia, sia al mercato di armi da Papua Nuova Guinea che da Thailandia e Filippine.
Infatti il TPNPB recluta i propri membri sfruttando le profonde lamentele dei giovani papuani. Il sottoscritto, da volontario locale nel 2019, parlò ad alcuni bambini dislocati di Nduga interessati ad unirsi ai gruppi armati per il trauma profondo che vivevano e la vita di durezze per le condizioni precarie. Loro non ricevevano quasi alcuna istruzione nei loro distretti ed erano entusiasti di incontrare i docenti e studiare in una scuola di emergenza costruita da volontari locali.
Il governo indonesiano ha tuttavia sistematicamente mancato di riconoscere e affrontare il trauma transgenerazionale tra le vittime colpite dal conflitto armato a Papua specie tra i bambini.
Questo è un forte contrasto con i suoi massicci programmi di deradicalizzazione in tutte le parti dell’arcipelago.
Allo stesso tempo TPNPB ha modificato la sua capacità di combattere per intensificare gli attacchi armati contro lo stato e i civili. E’ cresciuto il sostegno finanziario dei simpatizzanti. Si è modernizzato la struttura organizzativa in cui i giovani papuani occupano posizioni importanti. Per ultimo si è sofisticato l’uso dei media sociali per contrastare la narrazione dello stato denunciando gli abusi del potere statale.
In breve la relazione dell’Indonesia con i Papuani sembra destinata a peggiorare. Non è che debba per forza andare così. Una lezione che si ricava dai conflitti armati nel Profondo Meridione Thailandese e nel Meridione Filippino a Mindanao è che la presenza di individui credibili e fidati o di gruppi è fondamentale per iniziare colloqui di pace. Ma questo è proprio ciò che manca nel conflitto papuano.
La cattura del pilota è sintomatico di questa mancanza di fiducia che si sta approfondendo. Il governo indonesiano deve però biasimare soltanto se stesso.
Hipolitus Wangge, ANU, Al Jazeera