In Indonesia l’attenzione si è accentrata sulle elezioni locali, se aiutano od ostacolano la rielezione del Presidente Joko Widodo nelle elezioni presidenziali del 2019.
Il reale significato delle elezioni del 27 giugno scorso per eleggere i governatori di questo immenso arcipelago è che sono state pacifiche con una partecipazione forte degli elettori, oltre il 70%.
Questo ha fatto vedere che c’è un continuo entusiasmo per come gli indonesiani sono governati a livello locale.
Questa dimostrazione dei diritti democratici, unitamente alle recenti elezioni malesi dove è stato scacciato uno dei partiti di governo più vecchi, ci dice come siano prematuri i rapporti sul brutto periodo della democrazia nel sudest asiatico.
In modo signifivativo, il premier malese Mahathir Muhammad a fatto visita in Indonesia a fine giugno nella sua prima visita all’estero per discutere con Widodo di assicurare la democrazia.
Eppure la democrazia non è molto sicura in altre parti della regione dove le transizioni democratiche si sono spente se non invertite.
In Birmania dove le elezioni libere e molto eque videro la vittoria del NLD guidato da Aung San Suu Kyi, sono state tagliati la libertà di stampa e i diritti umani delle minoranze. Nella vicina Thailandia, dopo quattro anni di governo militare non esiste un progetto temporale per un ritorno ad un governo eletto.
In Cambogia si svolgeranno le elezioni generali previste solo dopo che la messa al bando del principale partito di opposizione, che vinse il 40% del consenso alle elezioni locali del 2013.
Nelle Filippine, che guidò la rinascita della democrazia nel sudest asiatico a metà degli anni 80, un presidente autoritario ha calpestato diritti umani, incarcerato critici e ha presieduto allo smantellamento di un sistema giudiziario indipendente.
Una parte del problema è che i cambiamenti democratici regionali seguono differenti cicli nazionali. Mentre Mahathir incarcerava i suoi oppositori e promuoveva i valori asiatici per giustificare il suo governo paternalistico quando fu primo ministro negli anni 80 e 90, la presidente Filippina Corazon Aquino e il primo ministro thai Chuan Leekapi esaltarono la libertà e la separazione dei poteri.
Una ragione per questa continua incertezza è la sottostante natura delle culture politiche che preferiscono assicurare le elite privilegiate sulla sovranità popolare, e che è sostenuta dalla minaccia della forza militare.
Sia Thailandia che Filippine sono facili ad un intervento militare. L’ultimo tentativo do intervento militare nelle Filippine fu nel 2012.
In Birmania i militari mantengono il controllo sui ministeri importanti del governo civile. Il primo ministro Hun Sen si affida sempre più alle leve militari del potere per sostenere il primato politico della famiglia.
Indonesia e Malesia sono per lo più liberi di interferenza militare per varie ragioni.
I militari malesi sono sempre stati apolitici e subordinati all’applicazione civile della legge con la Polizia. E’ un sottoprodotto del sistema britannico di governo parlamentare.
In Indonesia, i militari si riformarono prima dei politici. Il rifiuto dell’esercito indonesiano di sostenere la scommessa di Suharto di restare al potere di fronte alle poteste violente popolari durante la fine del suo comando autoritario nel 1998 fu un fattore significativo che assicurò una robusta transizione alla democrazia.
Gioca un ruolo anche la predominante influenza musulmana nelle società malese ed indonesiana. Il movimento di riforma democratica degli anni 90 nei due paesi fu dominato da figure islamiche moderniste come Amien Rais in Indonesia Anwar Ibrahim in Malesia.Usarono la base morale dell’insegnamento islamico per discutere della maggiore libertà e giustizia.
Entrambi ora settantenni sono coinvolti in politica e probabilmente non accetteranno alcun consolidamento di potere fuori del quadro democratico.
Né le tradizioni feudali della chiesa cattolica filippina né le tradizioni induiste che dominano lo stato negli stati buddisti di Thailandia e Birmania sono molto inclini verso una libertà o uguaglianza senza vincoli. Questo ha posto un vincolo all’evoluzione di una cultura democratica.
In Birmania il capo di fatto Suu Kyi esalta i doveri sui diritti. In Thailandia la giunta militare spinge i thai a anteporre il bene collettivo sulle spinte individuali egoiste. Nelle Filippine il presidente Duterte, nonostante gli insulti contro la chiesa cattolica, ha coltivato un fervore quasi religioso attorno alla lotta di piccoli criminali che per lui sono degni di essere uccisi per i loro peccati.
Naturalmente fattori sociali e culturali non sono fattori determinanti rigidi dello sviluppo politico. I successi democratici malese ed indonesiano non sono garantiti solo perché i militari sono deboli ed i valori islamici immunizzano la società dalla tirannia.
La debolezza interna delle istituzioni tende a premiare sulla personalità più che sulla politica o il processo ed ancora concentra troppo potere nell’esecutivo.
Di conseguenza il contesto politico è prone a sfruttare le fratture sociali e a generare conflitti.
L’esponente di punta di opposizione a Duterte nelle prossime elezioni sarà probabilmente il generale in pensione Prawobo Subianto, comandante delle forze speciali accusati di vari abusi di diritti umani. Ha mostrato la volontà di fare appello alle forze conservatrici musulmane contro il suo oppositore.
Mahathir forse si è ricostruito sotto le vesti di un riformatore liberale, ma la velocità con cui ha consolidato il potere a spese del partner di coalizione indica una prossima lotta di potere che potrebbe significare un abuso di potere.
Ci sarà bisogno che chi sta al potere allenti un po’ la morsa del potere sulle agenzie indipendenti di controllo e sulle commissioni elettorali se si vuole rafforzare ed assicurare la democrazia, cosa che ora sembra accadere in Malesia. C’è anche il bisogno di devoluzione del potere dai governi centrali agli altri corpi eletti come parlamenti regionali e consigli locali, qualcosa per cui sembra pronta l’Indonesia dopo le elezioni locali.
Eppure per milioni di indonesiani e malesi c’è tanto da celebrare. La loro preferenza è per poter liberamente scegliere chi li governa. Le recenti elezioni hanno vendicato la loro fiducia nella democrazia.
Come ha detto Mahathir nella sua visita a Giacarta, le democrazie hanno tanti problemi. Ci sarà chi protesta e prova minarne i risultati.
Ma i vantaggi della democrazia superano alla fine i rischi che comporta.
E’ pietoso che in altre parti della regione ci sono coloro che ancora si arrabbiano contro i rischi e si appellano al potere assoluto.
Michael Vatikiotis, Centre for Humanitarian Dialogue, Nikkei Asian Review