La Chiesa cattolica indonesiana non ha mai elaborato una politica ufficiale di rispetto della autodeterminazione di Papua Occidentale
Mentre la visita pastorale di undici giorni di Papa Francesco in Asia e Oceania, in Indonesia essa si limita alla sola Giacarta che lo celebra al massimo della pompa e della gloria.
Quasi nello stesso momento la tribù Awyu a maggioranza cattolica di Papua si prepara alla festività della Croce che va dal 3 al 13 settembre. E’ una festività annuale che vuole non solo esaltare la Croce ma anche un rituale che rafforza il potere della Croce nel difendere la propria terra dalle violazioni dei diritti di chi viene da fuori.
Ogni anno la gente della tribù Awyu a Merauke, Boven Digoel e Mappi si radunano, pregano e installano croci rosse nei vari punti importanti per bloccare l’espansione delle grandi piantagioni e del diboscamento nei loro territori.
Conosciuto come i movimenti delle Croci Rosse, Salib Merah, la tribù combina rituali indigeni e cristiani per invocare il potere del Signore e dei loro Antenati a sostegno dei loro sforzi per difendere le loro foreste e i mezzi di sopravvivenza nelle loro aree dai progetti di sviluppo guidati dalle corporazioni sponsorizzate dallo stato.
A Jayapura, capitale della provincia papuana, gli indigeni papuani cristiani delle varie denominazione commemorano la visita papuale organizzando la Via Crucis il 4 settembre sulle vie principali della città.
Questa via crucis dimostrativa, organizzata dal Consiglio Papuano delle Chiese e dai Preti Cattolici Papuani, mira ad essere un momento di preghiera, ma non è difficile comprendere che mira anche ad attirare l’attenzione del Papa verso le loro vicissitudini.
“Con la Santa Croce, Gesù il nostro salvatore, crediamo che in Lui sia la via di uscita (per Papua)” dice Padre John Bunay, coordinatore dei preti cattolici indigeni.
Un grido di Aiuto
I cattolici indigeni papuani hanno senza sosta provato ad attirare l’attenzione papale alla crisi che loro vivono da più di sessanta anni.
I Papuani accusano il governo indonesiano di occupare illegalmente la loro terra e di opprimerli, e loro cercano i diritti di autodeterminazione nella loro patria libera. Il governo indonesiano lo definisce un movimento secessionista e lo affronta con la forza militare.
Soffrendo per l’oppressione militare indonesiana, di abusi dei diritti umani, l’esproprio delle terre e la distruzione ambientale, i Papuani hanno espresso la situazioni con termini forti di genocidio ed ecocidio.
Nel 2016, un gruppo di attivisti cattolici papuani consegnarono un messaggio attraverso una borsa di corde tradizionale papuana, noken, ad una delegazione di vescovi del Pacifico durante la loro visita a Jayapura.
I vescovi indonesiani che ospitarono la visita impedirono ai militanti papuani di parlare direttamente con la delegazione. I militanti papuani richiesero che i vescovi del Pacifico portassero la causa papuana all’attenzione delle comunità cristiane del pacifico e alla Santa Sede, perché la Chiesa Indonesiana “è in gran parte silenziosa … e non dà voce al nostro grido di giustizia”.
Per la visita del Pontefice in Indonesia, i cattolici papuani avevano preparato un libro da consegnargli. Scritto in indonesiano da 35 autori con una traduzione italiana, il libro si intitola “Preghiere e speranze dei papuani per il Santo Padre Papa Francesco”.
“Siamo in pericolo, Santo Padre. Sollevi la sua voce e faccia qualcosa per salvarci dalla minaccia dell’estinzione”.
Il libro doveva essere dato ai papi indonesiani attraverso il vescovo Yanuarius You di Jayapura e consegnato al Papa a Giacarta.
Consegneranno i vescovi indonesiani il messaggio al papa? E se il papa alla fine riceve il messaggio, ascolterà e farà qualcosa?
Capitalismo, nuovo colonialismo e genocidio
Nella sua visita del 2015 in Bolivia, Papa Francesco parlò del capitalismo senza freni e delle nuove forme di colonialismo. Chiese perdono per i peccati commessi dalla chiesa cattolica contro i nativi americani durante la conquista dell’America.
Poi lui denunciò “una sfrenata ricerca del denaro” come lo “sterco del diavolo”.
“Una volta che il capitale diventa un dio e guida le decisioni della gente, una volta che la cupidigia per il denaro comanda sull’intero sistema socioeconomico, rovina la società, condanna e schiavizza uomini e donne, distrugge la fraternità umana, mette le persone l’una contro l’altra e, come vediamo chiaramente, mette a rischio la nostra casa comune, la madre e sorella Terra” disse.
Sollevò anche le preoccupazioni sulla violenza sofferta da minoranze e gruppi marginalizzati del globo, che definì una “terza guerra mondiale” e un “genocidio”.
“In questa terza guerra mondiale, combattuta in modo frammentario, che stiamo vivendo, si sta verificando una forma di genocidio, che deve finire”.
E’ interessante che il Papa è autocritico sulle persone della Chiesa Cattolica. “Lo dico a voi con dispiacere: tanti gravi peccati furono commessi contro le popolazioni native dell’America in nome di Dio” aggiungendo:
“Chiedo umilmente perdono, non solo per le offese della Chiesa stessa ma anche per i crimini commessi contro le popolazioni indigene durante la cosiddetta conquista dell’America”.
Si pecca oggi per scusarsi domani?
Una grande causa dei problemi dei papuani indigeni è senza dubbio “lo sterco del Diavolo”, una nuova forma di colonialismo e una forma di genocidio, che il Papa Francesco enunciò in Bolivia.
Dubito che il Papa farà un discorso solido così profetico nella sua visita in Indonesia.
L’armonia o la pace interreligiosa sembra essere il centro della visita del papa. Questo obiettivo è diventato il quadro complessivo delle relazioni diplomatiche tra il Vaticano e l’Indonesia.
Da paese a maggioranza musulmana moderato, l’Indonesia è considerata un partner fondamentale nel progetto di costruzione della pace tra l’Occidente e il Mondo Islamico. Non sono sicuro che il papa rischierà di dire la verità su Papua alle elite politiche ed economiche indonesiane.
Ma ci sono altre ragioni per tali dubbi.
Armonia e fedeltà aperta verso lo stato sono anche diventati i principi guida della relazione delle comunità cattoliche indonesiane con lo stato e le corporazioni a Papua Occidentale.
In una situazione in cui i cattolici sono una minoranza, le comunità cattoliche devono mostrare pubblicamente la loro lealtà, come espresso nel famigerato mantra “100% cattolico, 100% indonesiano”.
Questa posizione nazionalistica e patriottica è appropriata nel contesto indonesiano. Ma in Papua Occidentale è diventata una forza ultranazionalista che mina il principio cattolico dell’amore, della compassione e della giustizia sociale.
La Chiesa cattolica indonesiana a Papua Occidentale ha una storia grande di lavoro sui diritti umani specialmente attraverso le commissioni di pace e giustizia. Vari pastori e congregazioni lavorano anche a Papua Occidentale per difendere i diritti sociali, politici ed economici dei Papuani, talvolta in contrasto con la volontà delle elite della Chiesa Indonesiana.
Tuttavia, la Chiesa cattolica è stata anche contestata per il suo silenzio di fronte alle discriminazioni razziali, alle continue violazioni dei diritti umani e all’espansione delle industrie estrattive, tra cui le piantagioni di olio di palma nel territorio delle sue congregazioni, per non parlare della sua lenta risposta alla richiesta delle congregazioni indigene di nominare un maggior numero di lavoratori indigeni della Chiesa.
La Chiesa cattolica indonesiana non ha mai elaborato una politica ufficiale sulla autodeterminazione indigena.
Per loro il problema a Papua Occidentale è la mancanza di sviluppo, per cui lo sviluppo guidato dallo stato e spinto dalle multinazionali è la soluzione.
E’ questo obiettivo dello sviluppo, più specificamente un’attitudine paternalistica a portare il progresso per i Papuani, che loro considerano come arretrati e abbandonati, che porta la chiesa cattolica in un legame stretto con il governo e le corporazioni.
Mentre le congregazioni indigene, comprese le tribù a maggioranza cattoliche, resistono all’espansione delle operazioni di olio di palma nelle loro terre, il vescovo ha accettato finanziamenti da una compagnia di olio di palma dal 2021 al 2024, PT Tunas Sawa Erma (Korindo Group).
Parte del denaro viene utilizzato per finanziare il seminario minore “Pastor Bonus” della diocesi di Merauke. Il vescovo ha anche sciolto la commissione per la giustizia e la pace, che da tempo lavorava con comunità come gli Awyu.
In un altro caso notevole, il vescovo di Merauke Leo Laba Ladjar – ora in pensione – ha ripetutamente rilasciato dichiarazioni pubbliche in difesa dello Stato indonesiano e condannando le pressioni politiche dei Papuasi per il loro diritto all’autodeterminazione.
In una presentazione apologetica durante la visita dei vescovi del Pacifico nel 2016, il vescovo Ladjar ha sostenuto lo sviluppo e condannato il gruppo di resistenza papuano come “facinoroso politico” che “crea problemi alla comunità”. Ha affermato che lo sviluppo guidato dal governo è l’unica soluzione al conflitto papuano.
In un’altra dichiarazione rilasciata insieme ad altri leader della Chiesa nel 2017, ha dichiarato: “Noi, le Chiese di Papua, sosteniamo fermamente… lo Stato unitario della Repubblica di Indonesia”.
Papa Francesco non rischierà di confrontarsi apertamente con lo stato indonesiano per le sue operazioni a Papua Occidentale, quando i papuani da tanto tempo si aspettavano e pregavano che lui potesse dire quelle parole che profeticamente pronunciò in Bolivia nel 2015.
Chiederà scusa per l’attitudine passata e attuale verso le popolazioni indigene di Papua Occidentale?
Il Papa salverà le elite della chiesa indonesiana dalla loro sordità spirituale verso il grido dei papuani?
Se lo fa, la visita papale sarà una benedizione per le elite della Chiesa Cattolica Indonesiana e le congregazioni di Papua.
Cypri Jehan Paju Dale Ucanews