Rivolta separatista papuana e le cause radicali dello scontento a Papua

Gli scherni razzisti che hanno acceso la rivolta separatista nella regione inquieta indonesiana di Papua ha messo in luce le cause radicali dello scontento della popolazione locale per il modo in cui sono governati da decenni dal governo di Giacarta, secondo vari esperti papuani.

“Non siamo scimmie” era un manifesto che si poteva vedere dovunque durante le proteste a Papua e Papua occidentale finite spesso nella violenza.

La protesta è scoppiata dopo che la polizia indonesiana aveva usato scherni razzisti, come scimmie e cani, rivolti agli studenti papuani durante un confronto in una manifestazione a Giava Orientale.

“I papuani di solito non rispondono in modo eccessivo al razzismo che vedono. Ma questa volta c’è stata una esplosione di rabbia e questo vuol dire che ci sono questioni sottostanti da risolvere” dice Adriana Elisabeth, ricercatrice dell’Istituto Indonesiano di Scienza, LIPI, specializzata sulla regione orientale di Papua.

“C’è bisogno di un dialogo per affrontare le cause radicali dei problemi ma ora ci vorrà del tempo perché sono ancora forti le emozioni”

Un libro su Papua di un decennio fa elencava marginalizzazione, discriminazione e violazioni di diritti umani senza risposta come questioni che sottostanno ad un conflitto decennale nella povera regione, dove ribolle dagli anni 60 una ribellione separatista.

I Papuani che sono di etnia melanesiana dicono di aver fatto il callo alla discriminazione da parte degli altri indonesiani per le loro sembianze.

“Il razzismo non è una cosa nuova per i papuani, ma questa volta è stato denunciato grazie ai media sociali e con il coinvolgimento delle forze di sicurezza” dice Freni Tabuni, studente papuano dell’università Pakuan a Bogor, vicino Giacarta. “Questo ci fa ricredere sull’essere parte dell’Indonesia. Non abbiamo fiducia del governo”

Ligia Giay, studente universitario della Murdoch University in Australia ha espresso gli stessi sentimenti di Tabuni.

“E’ un altro esempio di come il governo risponde ad una qualunque espressione politica papuana. C’è un accordo generale che questo è l’apice di un razzismo di decenni” ha detto la studentessa.

In un articolo del sito Tirto.co, Giay ha scritto che i papuani sono cresciuti negli stereotipi che li definiscono ubriaconi, arretrati e casinisti tra le tante cose.

“Nei prossimi giorni mi aspetto di sentire storie sullo sviluppo come antitesi al razzismo. Lo sviluppo eleverà i papuani ad un livello dove non saremo posti sullo stesso livello delle scimmie” ha scritto nell’articolo.

La violenza iniziò quando le folle di manifestanti hanno acceso i palazzi governativi nelle città di Papua occidentale spingendo il governo ad inviare centinaia di altri poliziotti e soldati ed imporre un blocco di internet nei giorni successivi. Nelle proteste del mercoledì fu dato alle fiamme un mercato della città di Fakfak.

I manifestanti davano sfogo alla rabbia contro il razzismo e chiedevano un referendum sull’indipendenza della loro regione.

Venerdì la polizia di Wamena a Papua Occidentale ha ucciso un presunto insorgente dopo essere giunta sotto il tiro di cinque uomini armati. Dopo gli scontri un poliziotto è rimasto ferito e gli altri insorgenti sono fuggiti, secondo il capo della polizia locale.

“Abbiamo provato a persuadersi ad arrendersi ma hanno aperto il fuoco” ha detto la polizia.

Nelle altre città non ci sarebbero state proteste il venerdì nelle altre parti, ma è rimasto sempre attivo il blocco governativo di internet che finirà, secondo il ministro delle telecomunicazioni “fino a che la situazione non tornerà normale a Papua”.

La regione di Papua che è la seconda metà dell’isola della Nuova Guinea, fu incorporata nell’Indonesia nel 1969 dopo un referendum tenuto dall’ONU conosciuto come Legge di Libera Scelta che però molti papuani considerano una truffa perché coinvolte solo 1000 persone.

Il Movimento di Papua Libera, OPM, iniziò la lotta per uno stato indipendente per la regione nel 1965 tre anni dopo che gli olandesi cedettero la sovranità dei territori all’Indonesia. Da allora esiste un’insorgenza separatista di basso livello contro il governo di Giacarta.

Nelle decennali campagne contro l’insorgenza i militari indonesiani sono stati accusati di gravi violazioni di diritti e secondo i militanti l’impunità per queste violazioni è la norma.

Da dicembre 2018 la violenza a Papua è cresciuta quando furono uccisi dai ribelli 19 lavoratori di un progetto governativo di autostrada ed un soldato a Nduga.

“Il governo fornisce istruzione e sviluppo senza mai chiedere di cosa hanno bisogno i papuani. Non prova a vedere le cose dal loro punto di vista” dice Adriana Elisabeth.

Il governo nega però ogni discriminazione contro i papuani.

Il ministro della sicurezza Wiranto ha descritto Papua come “un bambino di oro” notando che il governo aveva speso oltre 7 milioni di dollari per l’autonomia a Papua e Papua Occidentale.

“Ricordiamo ancora che il presidente nelle sue visite lì aveva chiesto di costruire strade il cui prezzo doveva essere lo stesso che a Giava, e questo è stato fatto” ha detto il ministro ai giornalisti.

Il presidente indonesiano Joko Widodo ha fatto una priorità dei progetti infrastrutturali a Papua. La morte dei lavoratori a dicembre e la violenza che ne seguì ha solo rafforzato la risoluzione del governo a sviluppare Papua, disse Joko Widodo.

Il presidente è stato anche criticato, dopo le violenze scoppiate, per aver detto ai Papuani di “perdonare” chi li ha colpiti senza affrontare il trattamento da mano pesante subito dagli studenti papuani a Giava. Il giovedì comunque il presidente ha ordinato alla polizia “di intraprendere una dura azione legale” contro chi era coinvolto nella discriminazione etnica e razziale.

Ha detto che inviterà i capi religiosi e tribali papuani al palazzo presidenziale per discutere come “accelerare la prosperità” della regione.

Ma per i papuani come Tabuni sono parole sentite già troppe volte.

“Le abbiamo sentite troppe volte. Non ci fidiamo del governo quasi al 100%” ha detto lo studente di Bogor. “Il governo non è serio. La soluzione che vogliamo è l’autodeterminazione”

Ahmad Syamsudin Benarnews

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