L’immagine degli Uighurs espulsi, coperti con i cappucci neri, prigionieri medioevali sulla strada della forca, disturba, sebbene non abbia la stessa intensità dell’immagine di Aylan Kurdi sulla spiaggia turca. Il bimbo era tra le dodici persone uccise mentre provava ad attraversare il mediterraneo verso un’isola greca, e sarebbe stato uno dei quattro milioni di siriani che sono scappati da una Siria distrutta dalla guerra, se le grandi ondate non lo avessero preso. Quello che colpisce un nervo scoperto, quello che molti credono essere un punto di svolta nella spinta politica a risolvere il problema, è la foto di un bimbo senza vita che giace faccia in giù, così piccolo e così disperato. Non c’era sangue, nessun contesto sensazionale, eppure è una delle immagine più orrende viste questo anno.
Ci sono delle differenze naturalmente. Ci sono differenze geopolitiche e argomenti più sottili, ma il problema umano dei rifugiati nel mondo è lo stesso, dai siriani che fuggono le guerre agli Uighurs che scappano dalla persecuzione o dai Rohingya che fuggono da tutto. Di solito giungono con le barche, e scappano o camminano o pagano trafficanti o poliziotti, perché rischiare la morte in acque sconosciute è meglio che attenderne una nel luogo in cui si è nati.
La morte del piccolo siriano è stato l’ultimo avvertimento che la gente non intraprende quella decisione fatalista, quei pazzi viaggi in un mare crudele, a meno che la vita non dia loro altra scelta.
Ci siamo dimenticati le tombe di massa nel meridione con i cadaveri dei Rohingya? Gli Uighurs incappucciati a bordo dell’aeroplano? Abbiamo visto foto di queste cose e, mentre la composizione fotografica e le foto dettate dal destino non erano così gravi come la foto di Kurdi, le loro implicazioni sono le stesse.
Questa è una difficile situazione umana, ma la soluzione deve essere politica. Eppure in ogni crisi abbiamo persone di destra come il parlamentare inglese che scrive che il piccolo siriano morto era “ben vestito e ben nutrito. E’ morto poiché i suoi genitori erano affamati della bella vita europea.”
Stappatevi le orecchie perché c’è sempre qualche potente che flirta con discorsi provocatori. Ancora in UK il primo ministro Cameron ha usato il termine “nugoli di rifugiati” e, come se questa fosse una competizione, il nostro primo ministro ha di recente avuto il suo momento Uighur quando ha detto che “fanno cucciolate di figli”. Si dice che la nascita sia il momento più tragico, ma affermazioni del genere confermano che la tragedia peggiore viene sempre dall’uomo e non dal destino.
Così il legame degli Uighur nella bomba a Ratchadaprasong è diventato più visibile, nonostante le nuove ipotesi che la polizia sforna giornalmente, persino dopo il loro autoassegnato grattacapo, e anche se dovesse essere altrimenti, il modo in cui li abbiamo trattati resta una macchia scura nella nostra storia. Allo stesso tempo il nostro ribrezzo degli scuri Rohingya talvolta assomiglia ai rantoli di Donald Trump. Ecco dove va il mondo, forse. Nella gestione dei rifugiati che scappano la tirannia e la durezza, credo che abbiamo fatto meglio negli anni 70 con quel milione di cambogiani che fuggivano ai Khmer Rossi. Certo, avemmo tantissimo aiuto dalle organizzazioni internazionali e c’erano tante denunce di corruzione, di abuso e di tacito sostegno di Pol Pot come un tampone contro il temuto Vietnam Comunista. Ma ancora le ONG potevano accedere ai campi e ne uscimmo da quel decennio duro con una dignità umanitaria.
Al momento la retorica nazionalista ha sfortunatamente guadagnato terreno in profondità e larghezza, nella Thailandia governata da militari come in parti della Europa democratica.
Una nazione significa noi, etnicamente, religiosamente, storicamente e quei rifugiati non sono chiaramente noi: sono loro, e “loro” è un veleno blando, un termine di cinica esclusività che è molto utile quando si ha bisogno di rafforzare la propria roccaforte nazionale. Il problema dei rifugiati, 13 milioni in tutto il mondo, è un problema internazionale, e nessuna singola nazione può gestirla da sola. I nostri capi hanno questa visione? L’Europa forse può essere svegliata da quella sola foto di un bambino siriano, ma per noi sembra ci sia bisogno di più di quello in una Thailandia scossa dalle bombe.
Kong Rithdee, BangkokPost