La Commissione Elettorale thailandese all’unanimità ha invitato la Corte Costituzionale del paese a sciogliere Move Forward Party dopo che la stessa Corte Costituzionale aveva decretato come tradimento la proposta del partito di emendare la legge di lesa maestà.
Insieme allo scioglimento del partito ci sarà anche il divieto di scendere in politica per gli attuali dirigenti e parlamentari.
Si ripresenta così lo stesso destino che portò allo scioglimento del Future Forward Party facendo poi emergere dalle sue ceneri proprio il Move Forward Party.
La corte costituzionale a gennaio scorso sentenziò infatti che volere cambiare o discutere di cambiare la legge di lesa maestà significa voler abbattere il regime democratico con il re come capo dello stato thai.
Per la Corte Costituzionale la pubblicazione della bozza di proposta di legge significa voler ridurre la protezione della monarchia thailandese anche nascondendo le reali intenzioni attraverso l’uso del processo legislativo.
Poiché la famiglia reale è al di sopra della politica e è neutrale in proposito, fare campagna elettorale su questo emendamento significa “abbassare” il livello dell’istituzione e permettere di essere usata ai fini di partito. Inoltre mette la monarchia in diretto conflitto con la popolazione ed è politicamente divisiva.
Cosa significa che un futuro emendamento della legge di lesa maestà debba essere fatto solo attraverso processo legislativo legittimo, come dice la corte, non si capisce bene. Modificare senza discutere?
A questa sorte la Thailandia è avvezza da molti anni e per motivazioni anche più triviali. Lo Move Forward Party ha previsto questa possibilità e si è attrezzato per una sua dissoluzione come indica il portavoce del partito Parit Watcharasindhu:
“Ci sarà un nuovo veicolo per continuare a portare avanti le nostre idee nella politica thailandese”.
Secondo alcuni commentatori sarà quindi solo temporaneo il danno fatto al tessuto sociale del paese perché ci sarà sempre una nuova guida politica che porterà avanti le idee.
Come accadde nel passato i partiti disciolti di Thaksin hanno poi vinto le elezioni successive e così accadrà anche con il nuovo veicolo politico che sostituirà il MFP, MFP che è diventato il primo partito del paese alle ultime elezioni.
“Sappiamo bene che è facile dissolvere un partito politico, ma è ben più complicato dissolvere la fedeltà politica” sostiene un commentatore il quale però riconosce che ad essere colpiti saranno anche la dirigenza attuale del MFP e i 44 parlamentari che firmarono la proposta parlamentare di riforma dell’articolo 112.
Tutti questi saranno di certo messi al bando dalla politica thai, come già accaduto ai vertici del FFP, e che questo sarà il destino di Pita Limjaroenrat. Si faranno avanti altre persone, ci saranno altre elezioni per giungere magari ad un governo che deluderà ancora il voto popolare.
Sondaggi elettorali di dicembre fatti da NIDA indicano che MFP supera il Pheu Thai di 20 punti percentuali e che il nuovo veicolo politico che Move Forward metterà in campo potrebbe vincere con uno scarto ben maggiore.
Mentre è ancora presto per capire tutte le implicazioni politiche di questa richiesta di scioglimento chiesta alla Corte Costituzionale, vale la pena di ricordare alcune cose che restano costanti nel panorama politico thailandese e che per certi versi lo definiscono.
Prima cosa, ma non per importanza, è l’impunità delle forze di sicurezza come testimoniato da due casi mentre la seconda è che si continua a condannare per lesa maestà tutti coloro che si batterono per la sua riforma e per la riforma della monarchia nelle strade.
Nel primo caso rientrano il proscioglimento dei militari che uccisero il militante Lahu Chaiyaphum Pasae e l’incapacità della giustizia del paese a risolvere un singolo caso di scomparse forzate che secondo HRW sono 76 a partire dagli anni 80, tra le quali quella di Somchai Neelapaijit.
Del caso di Chaiyaphum Pasae, gli avvocati della famiglia del militante Lahu, ucciso nel 2017 quando aveva solo 17 anni, fanno sapere che la lettera di proscioglimento dei militari coinvolti fu emessa nel 2021 ed ha impiegato tre anni per raggiungere la famiglia. Nel frattempo una sentenza della Corte Suprema garantiva alla famiglia di Chaiyaphum un risarcimento di 2 milioni di baht, non ritenendo congruenti le prove presentate in quella fase dalle forze di sicurezza.
Il secondo caso riguarda le scomparse forzate che in Thailandia sono 76, nessuna delle quali ha mai visto un militare sotto accusa.
A 20 anni dalla sua scomparsa, dell’avvocato Somchai Neelapaijit non si sa nulla. Se è morto come probabile, non si ha il corpo, mentre sua moglie Angkhana è da sempre alla ricerca di giustizia per sé e per tutti.
Ricordiamo che Somchai presiedeva il comitato legale di difesa di tanti militanti musulmani del Profondo Meridione torturati durante la detenzione. I suoi presunti rapitori furono prima arrestati e poi prosciolti a dicembre 2015.
Nessuno dei 76 casi di scomparse forzate è stato mai risolto e nessuno è stato quindi mai condannato anche dopo che nel 2022 fu approvata la legge che riconosce la scomparsa forzata come una offesa penale. La legge anzi deve entrare ancora in vigore con la polizia thai che chiede ancora di ritardarne l’applicazione.
“Poiché non ci sono casi di scomparse forzate che arrivano in tribunale, la legge presto diventerà solo un pezzo di carta” dice Amnesty International anche se in sé stessa sembra essere una buona legge.
“Questa legge assicurerà che saranno protetti i diritti delle persone. Permette il controllo tra ufficiali ed aiuta ad incoraggiare gli ufficiali ad essere più attenti ai diritti delle persone” dice Adilan Ali Ishak a Benarnews.
Ma 20 anni dopo la scomparsa di Somchai, nessun ministro del governo thai si reca alla cerimonia di commemorazione della sua scomparsa sapendo che non vogliono ancora varare definitivamente la legge sulle scomparse forzate.