La minoranza etnica di 400 anime dei Maramargyi, che vive in capanne malandate nel campo per dislocati interni di Set Yone Su da quando la violenza settaria ha distrutto le comunità nella Birmania Occidentale due anni fa, praticano ostentatamente la “giusta” religione, il Buddismo.
Comunque in un paese dove i nazionalisti buddisti diventano sempre più ostili verso i musulmani . I Maramargyi dicono di avere le sembianze sbagliate: tratti facciali dell’Asia Meridionale e la pelle scura come quella dei perseguitati apolidi Rohingya musulmani.
Di conseguenza anche se sono riconosciuti come cittadini birmani dicono di essere discriminati, che gli sono negate le carte di identità, dimenticati dal governo e dispersi in ripari di fortuna che cadono a pezzi dopo aver perso la casa durante i disordini del 2012 tra musulmani e buddisti.
Un cartello all’entrata dice che ci sono 1172 persone in questo campo, ma nei fatti restano solo qualche centinaia di Maramargyi. I buddisti dell’Arakan, che hanno pelli più chiare e caratteristiche somatiche più vicine a quelle dell’Asia Orientale, e gli Induisti che erano anche nel campo si sono spostati nelle loro case un anno fa, ma i Maramangyi dicono che non hanno idea quando saranno risistemati o quando sarà loro permesso di andare a casa.
“Siamo i soli ad essere lasciati qui” dice un uomo padre di tre bambini, Kyaw Thu.
“Quando gli arakanesi e gli induisti se ne andarono nel luglio 2013 chiedemmo alle autorità le ragioni per cui non avemmo nulla. Ci dissero di aspettare per un po’ ma non è cambiato nulla. Il governo non ci ha dato alimenti, informazioni, nulla” aggiunge, in piedi di fronte alla sua camera, una delle dieci camere della casa stile dormitorio con i tetti in ferro battuto e mura di bambù.
Al di là delle differenze religiose, la distinzione tra Maramangyi e Rohingya sta in una legge discriminatoria del 1982 che definisce i 135 gruppi etnici a cui è conferita ala cittadinanza. I Maramangyi sono inclusi in quella lista al contrario dei Rohingya che sono quindi apolidi e privati dei diritti fondamentali.
Da quando la violenza è scoppiata tra i buddisti arakanesi e i Rohingya nel giugno 2012, il conflitto religioso si è diffuso in tutta la Birmania uccidendo almeno 240 persone e costringendo oltre 150 mila persone, per lo più apolidi Rohingya nello stato dell’Arakan in squallidi campi di profughi. Due uomini, un buddista ed un musulmano, sono stati uccisi ed altre 14 persone ferite negli ultimi disordini di Mandalay, la seconda città birmana.
I Maramangyi di Set Yone Su dicono di aver perso le loro case in attacchi incendiari da parte dei musulmani. Molti hanno perso di conseguenza il lavoro e lottano per ricostruire la propria vita.
“Siamo stati presi nel mezzo del conflitto tra Rakhine e Musulmani e ne abbiamo sofferto”dice un residente del campo Kyaw Maung.
Ma il portavoce del governo dell’Arakan, Win Myint, ha negato le loro preoccupazioni. Prima ha insistito che Hindu e buddisti sono ancora nel campo, ma dopo ha aggiunto che le loro case singole su palafitte nuove, pulite non lontano dal campo sono le stesse come i dormitori. “Non abbiamo spazio per dare ad ognuno nuove case individuali”.
Comunque le capanne malandate del campo non sembra resisteranno un’altra stagione dei monsoni. In molte capanne i muri e i tetti sono crollati. Sono insopportabilmente calde di estate e gocciolano pioggia durante la stagione delle piogge. La trincea di drenaggio che circonda le capanne è piena di acqua verdastra. L’area si inonda quando piove e una comune minaccia è data dai serpenti, dice Kyau Thu che prima possedeva un caffè e che ora guida un tassì per sopravvivere.
I nazionalisti buddisti hanno descritto la violenza come una parte dello sforzo per proteggere la Birmania a maggioranza buddista dal sopravvento dei musulmani che costituiscono ufficialmente il 4% della popolazione di 60 milioni di abitanti.
Eppure i Maramangyi hanno raccontato la discriminazione sofferta anche se sono anche loro buddisti. Diversamente dai musulmani a cui è vietato entrare in Sittwe, i Maramangyi possono viaggiare con relativa facilità sebbene le loro sembianze attraggono talvolta ostilità.
Quando i nazionalisti attaccarono gli uffici delle agenzie di aiuto il 27 e 28 marzo dopo le dicerie che un operatore dell’aiuto estero gestì male la bandiera buddista, nessuno dei Maramangyi di Sittwe, sia quelli che vivevano nel campo che quelli che erano nelle proprie case, provò ad uscire fuori.
“Poiché abbiamo l’aspetto dei Kalar abbiamo paura di essere uccisi” ha detto una donna, che usa la parola negativa usata comunemente per persone di discendenza dell’Asia Meridionale. “Sebbene siamo buddisti possiamo trovarci nei guai facilmente a causa delle nostre facce”.
La maggioranza dei Maramangyi nel campo non hanno tessere di identità, le tessere di registrazione nazionale, NRC, dicono i residenti, sebbene ne abbiano titolo per averne una. Il processo è lento e costoso ma la vita senza di una carta può debilitare visto che una NRC è richiesta per chiedere formalmente un lavoro, per viaggiare o per fare gli esami a scuola.
“Talvolta ci vogliono due anni, talvolta due mesi. Talvolta non hai nulla dopo aver aspettato tanto” dice Kyaw Thu.
Kyaw Maung dice che un suo amico fu costretto a pagare 300 dollari. I due uomini dicono di essere fortunati ad averne una.
“Siamo un gruppo etnico ufficialmente riconosciuto ma trattato differentemente e non abbiamo gli stessi diritti. Di sicuro non dovremmo essere tutti uguali di fronte alla legge?” dice Kyaw Thu.
Thin Lei Win, Irrawaddy,