Nei giorni 11 e 12 agosto, degli attacchi coordinati con bombe e incendi nelle destinazioni turistiche in sette province della Thailandia peninsulare uccisero quattro persone e ne ferirono 35. Nessun gruppo si è assunto ufficialmente la responsabilità, e i ministri del governo thailandese quasi immediatamente decisero che le bombe non erano atti di terrorismo.
Essi negarono qualunque legame con i militanti malay musulmani che, da 13 anni, conducono un’insorgenza separatista nelle quattro province più meridionali.
Un portavoce della polizia disse: “la Thailandia non ha conflitti che riguardino la religione, etnicità, territori o minoranze”.
Quella fu una dichiarazione incredibile se si considera l’insorgenza portata avanti dai nazionalisti etnici malay nelle province musulmane malay, dove la violenza ha ucciso 6700 persone dai sui inizi nel 2004.
Il primo ministro Prayuth Chanochoa si affrettò a considerare che la colpa avrebbe dovuto essere diretta all’opposizione politica nazionale fedele ai Shinawatra, che si erano opposti alla nuova costituzione, stesa dai militari, che assicura potere continuo per il circolo di militari al potere in Thailandia. Gli elettori hanno approvato la costituzione il 7 agosto tra pesanti restrizioni alla campagna contro la carta costituzionale.
Vari oppositori del governo, compresi membri delle magliette rosse fedeli a Thaksin, sono stati detenuti, anche se le bombe non sono conformi al modo di operare della violenza precedente associata ai gruppi favorevoli a Thaksin. Nè ci sono somiglianze significative alla bomba del tempio induista del centro di Bangkok di agosto 2015 quando morirono 20 persone.
Comunque le bombe portano i segni delle operazioni del Fronte nazionale rivoluzionario di Patani Malay, o BRN, che è il gruppo principale in lotta per l’indipendenza del meridione musulmano del paese. Gli attacchi erano coordinati in varie province e spesso impiegavano due o più oggetti esplodenti improvvisati che avrebbero dovuto scoppiare in sequenza. Gli oggetti erano piccoli e per quanto letali, non erano pensati o impiegati per causare molte perdite di vita umana.
La polizia thai, contraddicendo la narrativa del governo, disse che le bombe erano tipiche come quelle usate nel profondo meridione thai. Il 15 agosto il vice primo ministro Prawit ammise che i colpevoli potevano essere stati assoldati dalle file dei militanti meridionali.
Le autorità thai hanno una lunga storia di attribuire atti di violenza ai rivali politici nazionali. Nel 2014, dopo che i militanti avevano incendiato 33 scuole nelle del meridione, alcuni ufficiali accusarono il vecchio circolo del potere che aveva perso influenza in seguito al recente cambio nel governo. Dopo l’esplosione di un’autobomba nel garage di un grande supermercato nell’isola turistica di Koh Samui, gli ufficiali accusarono un gruppo di politici che avevano perso il potere dopo il golpe di un anno prima.
Queste accuse non furono mai verificate e la polizia alla fine legò le bombe agli altri attacchi nel meridione. Si cercò di implicare le magliette rosse anche nelle bombe di agosto 2015.
Perché il governo militare è così ansioso di deviare l’attenzione dall’insorgenza malay musulmana?
Per prima cosa, il governo nega sempre cje la Thailandia sia un obbiettivo del terrorismo specialmente quello che nasce da una insorgenza nazionale cronica. Un obiettivo è proteggere l’industria vitale del turismo che contribuisce in complesso a buona parte del PIL nazionale.
Secondo, i militari caratterizzano l’insorgenza come “disturbi” perpetrati da individui mal consigliati, cosa che serve a minimizzare le implicazioni politiche. Le autorità thai nutrono una profonda paura di interventi internazionali che, credono, possano portare ad una partizione. Inoltre riconoscere che gli ultimi attacchi siano il lavoro di militanti malay musulmani significherebbe trovarsi di fronte i fallimenti della controinsorgenza dei militari thai.
Gli elettori nelle tre province più meridionali in modo enfatico hanno rigettato la costituzione riflettendo così la propria opposizione ai militari e alla sua centralizzazione del potere.
E’ vero che l’insorgenza ha evitato in gran parte di attaccare obiettivi thai al di fuori delle quattro province, ma ci sono ragioni plausibili sulla ragione per cui abbiano deciso di espandere ora i loro attacchi.
Lo scorso anno, International Crisis group, organizzazione indipendente di preenzione dei conflitti, notava che l’insorgenza, di fronte allo stallo e a guadagni minori per gli attacchi soliti nel profondo meridione, poteva colpire nelle aree turistiche fuori delle tradizionali zone. I capi anziani del BRN hanno rigettato il processo di pace incerto dei militari, che ai loro occhi sembra designato a mantenere una parvenza di colloqui senza sostanza.
Ora il risultato del referendum potrebbe aver rivelato la futilità di aspettarsi di ingaggiare un governo eletto a Bangkok, poiché la costituzione nuova rafforza il potere del governo militare per almeno altri sei anni.
Se, come indicano le informazioni disponibili, sono stati i militanti malay a portare avanti i recenti attacchi, allora il conflitto è entrato in una nuova fase preoccupante.Per 13 anni l’insorgenza ha avuto poco effetto sulle vite dei thai al di fuori del profondo meridione. Ora un’insorgenza più vasta rischia di accendere il buddismo militante e il conflitto settario.
All’inizio dello scorso anno, nonostante il divieto di adunanze politiche oltre le cinque persone, si tennero grandi manifestazioni buddiste contro la zona dell’industria halal a Chiang Maie la costruzione di una nuova moschea nella provincia di Nan nel nord della Thailandia. Lo scorso ottobre un monaco a Bangkok invitò a bruciare una moschea per ogni monaco ucciso nel profondo meridione.
Sarebbe miope e controproducente per i generali che guidano la Thailandia insistere nel rigettare gli ultimi attacchi attribuendoli ad una vendetta partigiana disconnessa col conflitto meridionale. Dovrebbero riconoscere l’insorgenza come un problema politico che richiede una soluzione politica.
Questo significa restaurare il diritto alla libertà di espressione e assemblea per tutti i cittadini, iniziare un genuino processo di pace con i militanti e trovare modi per devolvere il potere nella regione.
Matt Wheeler, InternationalCrisis Group, NYT