Il cambio di paradigma dopo le elezioni thai porta ad un’intesa tra 8 partiti che si impegnano tra l’altro a togliere la camicia di forza della costituzione militare dalla democrazia thai.
Nel nono anniversario del golpe del 2014, è stata firmata da otto partiti un’intesa generale sui principi per formare il nuovo governo.
Gli otto partiti sono Move Forward Party, Pheu Thai Party, Thai Sang Thai Party, Prachachart Party, Seree Ruam Thai Party, Pheu Thai Ruam Palang Party, FAIR Party e Plung Sungkom Mai Party.
Essi si impegnano a non pregiudicare lo stato della Thailandia come Stato Unitario, come democrazia nel quadro di monarchia costituzionale e lo stato di inviolabilità del monarca.

Tra i punti maggiori su cui hanno trovato l’intesa i partiti vincitori alle elezioni si cita il ripristino della democrazia con una nuova costituzione che non sia la camicia di forza della democrazia e che sia scritta da un’assemblea costituente eletta; una legge sul matrimonio che affermi l’uguaglianza dei diritti di tutte le coppie; la riforma della burocrazia, dei militari e della magistratura perché siano in linea con la trasparenza, modernità, efficienza e massimo beneficio per la gente.
Altro punto delicato è la fine della leva obbligatoria con il servizio militare di volontari, insieme al processo di costruzione di una pace sostenibile nelle province di frontiera meridionale tenendo conto dei diritti umani, la coesistenza in una società multiculturale.
Hanno anche affermato tra l’altro la decentralizzazione del potere e dell’attribuzione dei fondi perché si possa rispondere ai bisogni delle comunità in modo efficiente senza corruzione.
Altra nota dolente è l’abolizione dei monopoli e la giusta competizione tra le imprese con la fine del monopolio delle bevande alcoliche.
Sulle prospettive di questa vittoria elettorale in Thailandia, traduciamo un articolo di opinione di Thinitan Pongsuhdirak sulla costituzione militare odierna, una camicia di forza per imbracare la democrazia thailandese
Costituzione come camicia di forza della democrazia
Il comitato costituente nominato dai militari nominato all’indomani del golpe del 2014 di sicuro sapeva quello che faceva, escogitando una carta costituzionale nel 2017 che fa da camicia di forza sul risultato elettorale del paese dopo le elezioni di domenica scorsa.
Il problema fondamentale dopo le elezioni è chi detiene il potere ha messo delle regole costituzionali per impedire alla gente di avere la parola finale su come governare il proprio paese.
Quello che questa incongruenza tra quanto vuole la maggioranza dell’elettorato e quello di chi detiene il potere dietro le scene non permetterà probabilmente è di portare a gravi venti politici contrari nelle prossime settimane.
Nella maggioranza degli altri paesi i partiti di opposizione vincitori di elezioni starebbero già effettuando la transizione al nuovo governo, perché insieme hanno raccolto oltre il 60% del voto popolare.
Dopo i risultati elettorali delle elezioni australiane a maggio 2022, il capo del partito vincitore assunse immediatamente il comando e volò in Giappone nel giro di qualche ora per partecipare al summit del Quad insieme a India, Giappone ed USA.
In Thailandia non è così immediato. Le ultime elezioni thai hanno funzionato come processo di nomina dove il voto è necessario ma non sufficiente per formare un governo.
Dopo le elezioni c’è una pausa di tre mesi in cui il risultato elettorale è esaminato e valutato da agenzie di riferimento che controllano i partiti politici e i politici, sotto la guida della Commissione elettorale, della Corte costituzionale e della Commissione nazionale anticorruzione. Di concerto, queste tre agenzie hanno sciolto vari importanti partiti politici squalificando decine di rappresentanti eletti negli ultimi anni.
Mentre gli elettori possono scegliere i loro politici, i partiti e le tante politiche presentate, il risultato finale è forgiato e determinato da queste potenti agenzie i cui membri sono stati posti lì durante l’era militare.
Sin da aprile 2006 queste agenzie sono diventate sempre più presenti nel determinare il risultato con lo scioglimento di partiti nel 2007 e 2008 e poi con una serie di altre decisioni interventiste.
Nel 2011 dovettero sottostare ad una grande vittoria con 265 seggi vinti su 500 della camera bassa del Pheu Thai, allineato a Thaksin Shinawatra e sotto la guida della sorella Yingluck. Ma non appena il governo Yingluck fece il passo falso di introdurre una legge di amnistia per azzerare le schedine penali che provenivano dalla polarizzazione politica dopo il 2006, queste agenzie presero l’azione decisa che cacciò l’allora premier.
Il golpe del 2014 rafforzò ancor di più questi enti ed istituì dei meccanismi in più per assicurare che potesse essere controllato e forgiato dalle forze conservatrici il risultato politico delle elezioni.
Il più importante dei meccanismi fu di permettere alla giunta dei militari di nominare un terzo del parlamento, il senato di 250 membri che può votare per la scelta del primo ministro. In questo modo i partiti favorevoli ai militari possono tenere lontani i partiti democratici con l’aiuto di un senato e delle agenzie arbitrali.
Loro usarono questo potere quando sciolsero il Future Forward Party e vietarono alla sua dirigenza di partecipare al parlamento nel 2020.

La politica thailandese si ritrova ora ad un crocevia altrettanto precario. I partiti di opposizione hanno guadagnato una forza sostanziosa alle ultime elezioni a spese dei partiti militari.
Il partito che seguì al FFP, il Move Forward Party, ha sbaragliato il campo elettorale dimostrandosi il partito vincitore e conquistando 152 seggi su 500, di cui 32 su 33 seggi di Bangkok.
Poiché il Pheu Thai ha vinto 141 seggi, i due partiti contano sul 58% dei parlamentari eletti.
I due partiti hanno avuto una forte competizione. Nei giorni precedenti mentre le ricerche statistiche davano oltre 200 seggi al Pheu Thai e 100 a MFP, il giovane partito è riuscito a superare il suo competitore più esperto su due fronti.
Non avendo a disposizione tantissimi fondi per sedurre gli elettori, il MFP ha dovuto operare in modo organico e diretto. Laddove i partiti politici vecchi pagavano chi mobilitava gli elettori sulla base di reti clientelari ed elargitori di soldi, i capi del MFP e i semplici militanti si sono girati il paese per diffondere il loro messaggio della riforma costituzionale.
I giovani militanti del partito diventavano coloro che raccoglievano i voti dalle generazioni più anziane delle province e nelle aree urbane del paese.
Il trionfo del MFP è dovuto alla sua agenda di riforma che ha conquistato oltre 14 milioni di voti sui 36 milioni di elettori nelle schede di partito a rappresentazione proporzionale.
In questa elezioni si è avuto un cambio di paradigma. Come mostra l’attraente piattaforma di riforme del MFP, la conquista del consenso non è più sul populismo e sull’affrontare la divisione tra ricchi e poveri e tra città e campagne, a cui la macchina elettorale del Pheu Thai è stato molto bravo. Il nuovo terreno di scontro è sule riforme istituzionali e strutturali dei militari, della monarchia e della magistratura fino all’economia, al governo e alla costituzione.
Il leader del MFP Pita Limjaroenrat ha annunciato di avere il sostegno di 313 parlamentari eletti di otto partiti per formare il governo, il 62% dei parlamentari e l’intero blocco dell’opposizione.
Di traverso c’è comunque il senato dei nominati perché è richiesta una maggioranza bicamerale di 376 parlamentari per nominare il premier, per la quale fu espressamente disegnata la costituzione del 2017 e minare le scelte democratiche dell’elettorato.
Se il Senato non si divide e vota Pita a primo ministro, è improbabile che MFP riuscirà a mettere insieme una coalizione di governo. Poiché sembra che circa la metà dei 250 senatori sono fedeli al generale Prayuth del UTNP, il premier in carica, ed altri 80 sono fedeli a Prawit Wongsuwan del Palang Pracharat ed altri che sono neutrali rispetto al risultato elettorale, è una sfida incredibile ottenere abbastanza voti al senato per un governo del Mfp guidato da Pita.
Si aggiunga che le agenzie arbitrali potrebbero lavorare insieme con il senato indagando Pita per un piccolo numero di azioni in un’oscura compagnia dei media che la famiglia ha sotto il suo nome.
Se squalificano Pita decapiterebbero il suo eletto premierato ponendo fine agli sforzi del MFP di guidare il nuovo governo. E’ una strada già provata e riprovata. Oltre al caso del FFP del 2020, un premier in carica fu dimesso nel 2008 per la sua presenza ad uno spettacolo culinario per il quale aveva ricevuto un gettone onorario.
La vera questione è se il potere attuale che sta dietro a queste agenzie di riferimento e al senato riusciranno a farla franca come nel passato.
Il sostegno popolare al Move Forward Party cresce. Quello che le forze conservative non possono e non tollereranno è la posizione intransigente del MFP sulla riforma dei militari e della monarchia, ed in particolare la fine della leva obbligatoria e l’articolo 112 del codice penale, la legge di lesa maestà.
Queste proposte di riforma sono le nuove linee di faglia della politica thai. Il risultato delle elezioni è sui ruoli e le funzioni dei militari e la monarchia nel sistema politico thai. Dalle scelte della scheda dietro il MFP sempre più thai dicono che il paese ha bisogno di cambiare.
Se le loro voci restano senza ascolto o sono disconosciute come sempre, è improbabile che se ne staranno zitti e buoni in modo passivo.